In queste settimane di teatri chiusi e stagioni concertistiche sospese, tanti orfani della classica si rifugiano nel web per ascoltare i grandi capolavori e gli interpreti prediletti, o per scoprire pagine rare e nuovi talenti. Come ad esempio Christian Li, fenomenale violinista che ad appena 12 anni ha inciso un disco per la Decca, più giovane musicista a farlo nella lunga e gloriosa storia dell’etichetta che oggi accoglie orchestre come la Filarmonica della Scala e negli anni Ottanta le registrazioni di giganti come Vladimir Ashkenazy e Itzhak Perlman.
Youtube offre alcuni (seppur brevi) saggi delle clamorosa qualità di Li, nato a Melbourne da padre e madre cinesi. Non si pensi a un fenomeno costruito a tavolino dai manager discografici o da qualche agente che vuol sfruttare i propri artisti grazie agli strumenti mediatici; il ragazzino è un talento vero: tra i vari record di precocità firmati c’è anche quello di più giovane vincitore del Junior First Prize in uno dei maggiori concorsi violinisti al mondo, il Menuhin di Ginevra; accadeva nel 2018, e Li aveva appena dieci anni.
Si capisce che è tutto vero quando lo si vede agitare l’archetto e far correre le dita sul suo violino, un prezioso Amati del 1733 prestatogli da una fondazione di Boston ma che è solo un 3/4 perché per lui quelli a dimensione normale sono ancora troppo grandi; basta ascoltare la Ridda dei folletti di Bazzini, che dà il titolo al disco e di cui la Decca ha prodotto il video come «singolo»di lancio, per capire che ci si trova davanti a un predestinato. «Forse lo sembro ai vostri occhi, io non pensavo proprio di esserlo; né mio padre né mia madre sono musicisti, solo il nonno era appassionato di classica» racconta Li. Però i genitori, più per formazione culturale generale che per aspettative reali, a cinque anni gli proposero di imparare uno strumento, anzi due: «Prima ancora di andare a scuola iniziai a prendere lezioni di violino e di pianoforte, ma quasi subito capii che preferivo il primo: mi risultava più facile tecnicamente, me lo sentivo «sotto le dita» come si dice, e soprattutto mi piaceva la sua possibilità di creare suoni lunghi, come se fosse il canto in un’opera lirica, perché era proprio quel suono che mi permetteva di esprimere quello che sentivo dentro, i miei pensieri e i miei sentimenti».
Non si pensi a vertigini leopardiane o speculazioni filosofiche: il talento può bruciare le tappe, ma per diventare uomini certe esperienze e tempi sono obbligati. «Infatti erano impressioni, intuizioni, ma di un bambino che viveva la musica come un hobby; studiavo mezzora al giorno e seguivo una lezione a settimana. Però presto, visto che imparavo rapidamente, i brani diventarono più lunghi e più difficili, la mezzora quasi non bastava neppure a suonarne uno una volta; e quando arrivò il tempo dei concorsi e dei concerti iniziai a studiare tre-quattro ore al giorno».
Già a sette anni suonava in pubblico, a dieci era direttore e solista nella Quattro Stagioni di Vivaldi, «poi la vittoria al Menuhin ha accelerato clamorosamente tutto, anche se i miei all’inizio hanno cercato di proteggermi, filtrando le interviste e gli incontri, lasciandomi concentrare sui tanti e sempre più impegnativi concerti che dovevo tenere, ma anche lasciandomi gli spazi che un bambino deve avere».Le parole sembrano di un adulto che parla di suo figlio, ma è sempre lui, un ragazzino sveglio e gracile che guarda il mondo con occhi furbi e che lo vive come i suoi coetanei: «Mi piace correre, nuotare, andare in bicicletta; adoro i film di fantascienza, in particolare Gravity e Star Wars; a proposito, se Ciajkovskij è il mio autore preferito e il suo Concerto è quello che vorrei sempre suonare, fuori dalla classica amo le colonne sonore di John Williams, quelle di Star Wars ovviamente, ma anche quelle di Harry Potter».
Un maghetto precoce come lui. E a Hogwarts? «I miei amici? Quando esce qualche mio video mi guardano, ma quando siamo assieme pensiamo a giocare».