Per molti anni parlare di postmodernismo è stato quasi un’eresia. Ma tutto torna. E se prima quelle forme geometriche dai colori accesi erano tristemente démodé, adesso, a ben guardare, sembrano un’ottima soluzione. Così succede ovunque. In musica, in letteratura e, senza eccezioni, anche nel design. Sintomo di questa riscoperta è la mostra dedicata dalla Triennale di Milano ad Ettore Sottsass in occasione dei cento anni dalla sua nascita e in corso fino all’11 marzo 2018. A questa si aggiunge un’altra esposizione retrospettiva dedicata a Sottsass da poco conclusasi al Metropolitan Museum di New York e una monografica dedicata alla sua produzione vetraria alla Fondazione Cini di Venezia. Se servisse un’ulteriore conferma del suo ritorno, basterebbe osservare la costante ascesa dei prezzi che i lavori di Sottsass registrano sul mercato.
In realtà Sottsass aveva cominciato la sua attività di designer e architetto ben prima dell’affermazione del Postmodernismo. Nato a Innsbruck nel 1917, studia al Politecnico di Torino; nel 1949 sposa Fernanda Pivano. Fra i due non sarà una storia semplice, ma proprio grazie a lei inizia a viaggiare, scopre gli Stati Uniti e ha modo di incontrare molti personaggi che determinarono la cultura di quegli anni: Allen Ginsberg, Bob Dylan, Rudolf Nureyev, Ernest Hemingway, Lawrence Ferlinghetti e molti altri. Sul finire degli anni Cinquanta comincia a lavorare per la Olivetti, nel momento in cui l’azienda di Ivrea si affacciava sul mondo tutto nuovo dell’elettronica e poteva contare su un parterre irreplicabile di intellettuali. Qui disegna alcuni dei prodotti più fortunati, come la rossa macchina da scrivere portatile Valentine e il calcolatore ELEA 9000.
Entrambi gli sarebbero valsi il Compasso d’Oro, il più prestigioso premio a cui si possa ambire nell’ambito del disegno industriale. Sarà con la fondazione del Gruppo Memphis nel 1981 che Sottsass, insieme ad Arata Isozaki, Alessandro Mendini e altri, segna indiscutibilmente l’ingresso del design sulla scena postmoderna. Si autorizza l’uso di colori vivaci e l’impiego di materiali «poveri», si fa ricorso al kitsch con ironia e si mescolano rimandi alla cultura popolare e colta. Tutto per superare il minimalismo e l’eleganza imperanti nei decenni precedenti. I pezzi più celebri di Sottsass raccontano questa commistione di registri: le librerie in legno laminato ispirate alla antiche architetture babilonesi, dai colori sgargianti e le linee oblique, o i vasi in vetro di Murano come personaggi geometrici di una favola futurista.
La mostra di Milano si intitola There is a Planet dal titolo di un progetto non concluso (ma ora pubblicato da Electa) che doveva raccogliere le fotografie scattate dall’autore per raccontare i molti modi che l’uomo ha di abitare la terra. Si tratta di immagini dai moltissimi viaggi fatti da Sottsass nel corso della sua vita, dall’India al Trentino, dai Caraibi alla Polinesia. Le immagini sono accompagnate da testi: negli ultimi anni di vita, infatti, egli si occupò per lo più di critica, ma da sempre era stato uno scrittore prolifico, data l’abitudine di corredare i propri progetti con spiegazioni, schizzi e racconti per permettere di seguirne la genesi. Molte delle immagini di questo progetto sono visibili in mostra, sui muri della galleria principale, sulla quale si affacciano le altre nove sale.
Si comincia dai primi lavori, ancora influenzati dalla grande stagione del design italiano degli anni Cinquanta: tappeti, tavolini, altri oggetti per l’abitare. Ma già dalla seconda sala gli oggetti creati da Sottsass si distaccano con forza da questa linea creativa: colori tutt’altro che neutri, forme solide tanto da diventare pesanti, materiali nuovi. Quasi una trasposizione della Pop Art nella vita di ogni giorno. Eppure egli riesce a fare convivere con queste novità dirompenti anche gli spunti tratti dalla sua profonda cultura: studia per esempio le architetture arcaiche, ama l’archeologia che è fonte di ispirazione per i suoi pezzi, come avviene per le librerie sviluppate come moderni ziggurat. Queste illuminazioni sono ben espresse nella mostra di Milano, dove gli oggetti sono esposti a fianco degli schizzi di viaggio, come avviene per l’altare di Pergamo o per le facciate di Petra. Il suo design è ispirato da mondi fantastici, da lui stesso creati, disegnati e istoriati.
La mostra non è in nessun modo una mostra antologica: per ciascun ambiente non sono molte le opere esposte, che vengono allestite in maniera estrosa, quasi a creare delle installazioni. La curatela dell’esposizione è ad opera della seconda moglie di Sottsass, Barbara Radice. Per questo non possiamo aspettarci un approccio critico imparziale da una figura così vicina all’autore in questione. La scelta è stata quella di non offrire alcuna guida, alcun supporto didattico al visitatore, se non le parole stesse di Sottsass che sono stampate sulle pareti delle sale espositive e scorrono su schermi luminosi. Lo stesso vale per il catalogo, che non presenta alcun testo critico, se non una brevissima introduzione. D’altra parte è proprio Sottsass a scrivere: «A spiegare troppo c’è sempre rischio di negare i misteri, di appesantire la dinamica, di soffocare le vibrazioni, di escludere l’ignoto».