«Poi sono matta». Con questa breve formula si chiudeva il primo componimento dell’esordio poetico di Margherita Coldesina (Il gioco era dirsi, LietoColle, 2012), attrice, doppiatrice, speaker ma, anche, conduttrice radiofonica e giornalista culturale che, negli anni, ha saputo portare avanti un percorso artistico personale e libero (proprio recentemente le è stato conferito il Premio Poestate 2019). Con la raccolta Povera mucca (La Vita Felice, 2019), ecco che oggi la Coldesina consegna il secondo tassello del proprio guizzante percorso in versi: una breve silloge in cui, credo, le promesse larvate nel suo «debutto» fioriscono con decisione e autonomia.
E qui occorre fare una piccola premessa. Il caso di Margherita Coldesina rappresenta bene una felice peculiarità che contraddistingue diverse poetesse della Svizzera italiana – penso a Prisca Agustoni, come pure a voci «nuove» come Laura Di Corcia, Lia Galli e Carlotta Silini. Rispetto ai colleghi maschi (salvo casi quali Bianchetti, Miladinovic o, ancora, Mercure Martini), queste risultano, a mio avviso, estremamente più libere. Mentre le voci dei poeti delle ultime generazioni sembrano, in qualche modo, maggiormente legate a modelli riconoscibili e «consolidati», quelle delle donne paiono invece guidate dalla propria personale intuizione. Intendiamoci: lungi da me il parlare di scrittura al maschile e al femminile. Si tratta, piuttosto, di una semplice constatazione.
Ma torniamo alla Coldesina che, fedele a se stessa, già dalla copertina del volume – la radiografia di una scatola cranica in cui, al centro di un annebbiato cervello, fa capolino un ciuffo d’erba – non smentisce il suo «poi sono matta» e, un poco come in Il gioco era dirsi, suddivide la silloge in due tronconi in cui, rispettivamente, sono riuniti testi lunghi e altri fulmineamente brevi (questi raccolti sotto l’azzeccatissimo titolo Polpette). Protagonisti incontestati, qui, sono lo sguardo di chi scrive e un privatissimo modo di vivere il mondo a cavallo della scatenata giostra del linguaggio.
Infatti è evidente, in questo senso, quanto la voce di Margherita sia sua, riconoscibile, scoppiettante e tragica, farsesca e mesta (quasi un baule da teatro), pronta allo sproloquio come al canto – un canto, si intende, fatto di note sghembe, colorate, dalle gambe mozze ma in perfetta armonia col caos che abita il poeta al momento dello «scoppio». Non a caso, nella sua nota introduttiva Fabiano Alborghetti parla di Patafisica, Dada e Surrealismo.
Povera mucca è un libro che, volutamente, non ha strutture «programmate». La Coldesina vive la poesia abbandonandosi a tale pratica con la semplicità (si fa per dire) di chi scrive come se respirasse. «Le mie poesie», afferma in Io uguale Ottanta, anni, «si staccano dal tronco come / licheni o se vuoi come pelle già scartata / Si sciolgono in processione / e di paura non ne fanno / Una mia poesia non ha i peli / Cade nella neve / apre la mela dei timorati / (e non a bella posta) / confonde i liquami loro con la mia sete / Ed escono Principi / Indovina (chi)».
Ma se Margherita Coldesina, nel suo esordio, si era soprattutto dimostrata incline alla concentrazione e all’uso di formule-lampo, ora si rivela anche capace di governare componimenti di più ampio respiro in cui, sovente, è una dimensione interiore lacerata a prendere corpo sulla pagina. Si veda, in questo senso, il bellissimo testo a pagina 28 di cui qui si cita solo un estratto: «Ho i soldati nel cervello / ho la guerra mondiale a portata di mano – nel corpo / risale le gambe, si ferma a fare un tuffo al lago / chiama benzina a soccorso dei disidratati / partorisce sui fianchi sinistri / Mi arrivano in bocca le bombe / ho occhi di bambini per tutti i morti dietro ai pavimenti / «Facile impiccarsi» / tra i pavimenti e le troie / Li ho nel cuore / li porto in spalla / mi curo di loro».
Passando in rassegna i testi che, come brani di uno specchio in pezzi, compongono il curioso scheletro del libro, ci si rende conto che è la capacità di creare immagini con elementi quotidiani e, al contempo, stranianti o assurdi a lasciare il segno in chi legge; trovate come «Non sapevo / si potesse finire / di vivere / Come una coca / che piano si svuota», «Ero incinta di mille albicocche» o «Al posto del petto / io ho una ringhiera» rivelano la dote naturale dell’autrice nel dare una forma non banale al suo universo interiore-emotivo (indole che, come ebbe a segnalare Gilberto Isella in una nota a Il gioco era dirsi, trova alcune affinità con quella di una nota autrice italiana: Vivian Lamarque).
Particolarmente belle sono, anche, le poesie a tema amoroso, dove, con piglio crudo e dolce, l’eros e la sua oscurità affiorano sulla pagina come dal fondo di un pozzo: «Il mio culo bagnato / sporco di amore / Ne vuoi / Il mio sonno / rumore di mondi / Ne vuoi / Ti sento che spalmi / dinamite alle spalle / Butti gli anni per me / Ti sento che tutto ti seghi via». Un altro esempio, in questo senso, lo si trova nella poesia Gli orli si accorciano, si alzano in volo.
Se è vero, come credo sostenesse Amelia Rosselli, che si diventa poeti a partire dal proprio secondo libro, con Povera mucca Margherita Coldesina sembra ora confermare tale tesi. Pertanto, da lettori, ci si augura che a questo passo ne seguano altri ugualmente felici, genuini e guidati dall’istinto.