Povera mucca, Margherita Coldesina, Milano, La Vita Felice 2019


Coi soldati nel cervello

La Vita Felice pubblica la seconda raccolta poetica di Margherita Coldesina
/ 16.09.2019
di Daniele Bernardi

«Poi sono matta». Con questa breve formula si chiudeva il primo componimento dell’esordio poetico di Margherita Coldesina (Il gioco era dirsi, LietoColle, 2012), attrice, doppiatrice, speaker ma, anche, conduttrice radiofonica e giornalista culturale che, negli anni, ha saputo portare avanti un percorso artistico personale e libero (proprio recentemente le è stato conferito il Premio Poestate 2019). Con la raccolta Povera mucca (La Vita Felice, 2019), ecco che oggi la Coldesina consegna il secondo tassello del proprio guizzante percorso in versi: una breve silloge in cui, credo, le promesse larvate nel suo «debutto» fioriscono con decisione e autonomia.

E qui occorre fare una piccola premessa. Il caso di Margherita Coldesina rappresenta bene una felice peculiarità che contraddistingue diverse poetesse della Svizzera italiana – penso a Prisca Agustoni, come pure a voci «nuove» come Laura Di Corcia, Lia Galli e Carlotta Silini. Rispetto ai colleghi maschi (salvo casi quali Bianchetti, Miladinovic o, ancora, Mercure Martini), queste risultano, a mio avviso, estremamente più libere. Mentre le voci dei poeti delle ultime generazioni sembrano, in qualche modo, maggiormente legate a modelli riconoscibili e «consolidati», quelle delle donne paiono invece guidate dalla propria personale intuizione. Intendiamoci: lungi da me il parlare di scrittura al maschile e al femminile. Si tratta, piuttosto, di una semplice constatazione.

Ma torniamo alla Coldesina che, fedele a se stessa, già dalla copertina del volume – la radiografia di una scatola cranica in cui, al centro di un annebbiato cervello, fa capolino un ciuffo d’erba – non smentisce il suo «poi sono matta» e, un poco come in Il gioco era dirsi, suddivide la silloge in due tronconi in cui, rispettivamente, sono riuniti testi lunghi e altri fulmineamente brevi (questi raccolti sotto l’azzeccatissimo titolo Polpette). Protagonisti incontestati, qui, sono lo sguardo di chi scrive e un privatissimo modo di vivere il mondo a cavallo della scatenata giostra del linguaggio.

Infatti è evidente, in questo senso, quanto la voce di Margherita sia sua, riconoscibile, scoppiettante e tragica, farsesca e mesta (quasi un baule da teatro), pronta allo sproloquio come al canto – un canto, si intende, fatto di note sghembe, colorate, dalle gambe mozze ma in perfetta armonia col caos che abita il poeta al momento dello «scoppio». Non a caso, nella sua nota introduttiva Fabiano Alborghetti parla di Patafisica, Dada e Surrealismo.

Povera mucca è un libro che, volutamente, non ha strutture «programmate». La Coldesina vive la poesia abbandonandosi a tale pratica con la semplicità (si fa per dire) di chi scrive come se respirasse. «Le mie poesie», afferma in Io uguale Ottanta, anni, «si staccano dal tronco come / licheni o se vuoi come pelle già scartata / Si sciolgono in processione / e di paura non ne fanno / Una mia poesia non ha i peli / Cade nella neve / apre la mela dei timorati / (e non a bella posta) / confonde i liquami loro con la mia sete / Ed escono Principi / Indovina (chi)».

Ma se Margherita Coldesina, nel suo esordio, si era soprattutto dimostrata incline alla concentrazione e all’uso di formule-lampo, ora si rivela anche capace di governare componimenti di più ampio respiro in cui, sovente, è una dimensione interiore lacerata a prendere corpo sulla pagina. Si veda, in questo senso, il bellissimo testo a pagina 28 di cui qui si cita solo un estratto: «Ho i soldati nel cervello / ho la guerra mondiale a portata di mano – nel corpo / risale le gambe, si ferma a fare un tuffo al lago / chiama benzina a soccorso dei disidratati / partorisce sui fianchi sinistri / Mi arrivano in bocca le bombe / ho occhi di bambini per tutti i morti dietro ai pavimenti / «Facile impiccarsi» / tra i pavimenti e le troie / Li ho nel cuore / li porto in spalla / mi curo di loro».

Passando in rassegna i testi che, come brani di uno specchio in pezzi, compongono il curioso scheletro del libro, ci si rende conto che è la capacità di creare immagini con elementi quotidiani e, al contempo, stranianti o assurdi a lasciare il segno in chi legge; trovate come «Non sapevo / si potesse finire / di vivere / Come una coca / che piano si svuota», «Ero incinta di mille albicocche» o «Al posto del petto / io ho una ringhiera» rivelano la dote naturale dell’autrice nel dare una forma non banale al suo universo interiore-emotivo (indole che, come ebbe a segnalare Gilberto Isella in una nota a Il gioco era dirsi, trova alcune affinità con quella di una nota autrice italiana: Vivian Lamarque).

Particolarmente belle sono, anche, le poesie a tema amoroso, dove, con piglio crudo e dolce, l’eros e la sua oscurità affiorano sulla pagina come dal fondo di un pozzo: «Il mio culo bagnato / sporco di amore / Ne vuoi / Il mio sonno / rumore di mondi / Ne vuoi / Ti sento che spalmi / dinamite alle spalle / Butti gli anni per me / Ti sento che tutto ti seghi via». Un altro esempio, in questo senso, lo si trova nella poesia Gli orli si accorciano, si alzano in volo.

Se è vero, come credo sostenesse Amelia Rosselli, che si diventa poeti a partire dal proprio secondo libro, con Povera mucca Margherita Coldesina sembra ora confermare tale tesi. Pertanto, da lettori, ci si augura che a questo passo ne seguano altri ugualmente felici, genuini e guidati dall’istinto.