Dopo aver festeggiato con brio la sua ventesima edizione, il festival ginevrino Black Movie ritorna quest’anno sulle sponde del Lemano con una programmazione a dir poco allettante, singolare e decisamente controcorrente. Sì, perché il Black Movie di normativo e consensuale non ha davvero nulla. Il motto delle sue carismatiche e intriganti direttrici Kate Reidy e Maria Watzlawick è sempre stato lo stesso: regalare a Ginevra un festival cinematografico «diverso», una vetrina internazionale del meglio del cinema alternativo.
Al Black Movie il termine «alternativo» è da interpretare in senso ampio poiché il festival ingloba film molto diversi tra loro: dal kitsch low budget in stile John Waters al cinema verità in presa diretta, passando per opere sperimentali tra poesia e ultra modernità. Insomma, le direttrici del festival non indietreggiano di fronte a nulla, solo la qualità dell’opera conta.
Il cinema si trasforma in un mezzo per svegliare le coscienze, espressione artistica che spinge il pubblico a riflettere su problematiche spesso scomode quali il razzismo, l’omofobia o ancora la violenza contro le donne e la radicalizzazione. Unico nel paesaggio dei festival di cinema svizzeri, il Black Movie si impone grazie a una programmazione sempre esigente composta da film inediti (spesso esclusi dai circuiti ufficiali di distribuzione) e capitanata da una nuova generazione di cineasti che privilegiano scelte estetiche e narrative audaci e intransigenti. Durante le passate venti edizioni, numerosi sono stati i giovani registi che hanno potuto mostrare a un pubblico internazionale, curioso ed esigente, le loro prime o seconde opere.
Per la ventunesima edizione il Black Movie si avvale di una concezione grafica accattivante e misteriosa firmata Neo Neo, un duo di creativi attivi a Ginevra nel campo del grafismo e della direzione artistica. Sul poster una piscina tutta nera domina all’esterno d’una villa californiana apparentemente disabitata, il tutto arricchito dalla scritta «Black Movie» in lettere cubitali gialle. Come detto dalle direttrici durante la conferenza stampa, questa piscina nera rappresenta la nostra società capitalista, disperatamente standardizzante, in opposizione ai film programmati dal festival, alternativi e atipici. A completare l’universo décalé del festival, l’istallazione dell’artista Cetusss composta da una serie di cactus gonfiabili disseminati nelle varie locations.
Dal 17 al 26 gennaio il Lemano si trasformerà quindi, grazie al Black Movie, in una piscina multicolore nella quale tuffarsi alla ricerca di emozioni forti. In totale 102 film, dei quali 53 lungometraggi e 49 corti e non meno di 22 invitati alimenteranno la nuova edizione in un’atmosfera sempre festiva e inclusiva.
Delle produzioni in provenienza da 43 paesi: una prima internazionale, tre prime europee e 59 prime svizzere, suddivise in dieci stuzzicanti sezioni: il «Petit Black Movie pour adultes» che accoglierà una serie di cortometraggi dal sapore acidulato, «La fureur de voir», sezione dedicata a giovani protagonisti alle prese con le difficoltà della vita ma sempre animati da un «furore di vivere» che li rende per certi versi invulnerabili, «Solitaires singuliers» che mette in scena le innumerevoli facce dell’isolamento, «À suivre…», vera e propria vetrina per i cineasti preferiti del festival, «Labyrinthe des femmes» che metterà in scena delle eroine moderne che lottano per i loro diritti, «Marcos, Ceausescu&cie», sezione che raggruppa sei coraggiose finzioni ispirate dalle derive del potere autoritario, «Rituels» che permetterà al pubblico di assaporare delle opere magiche accomunate dall’idea di rituale come antidoto al caos, e infine «Poor Lonesome Cowboys», ricettacolo di sei film stranianti abitati da personaggi solitari che ricordano i cowboys selvaggi dei western americani (e italiani).
Impossibile non citare anche la retrospettiva dedicata al documentarista algerino Malek Bensmaïl che ha incentrato tutta la sua opera sulle contraddizioni di un paese che sembra non riconoscere più. Una volontà la sua di mantenere viva la memoria e di trasformare il documentario in strumento di riflessione e democrazia. Malek Bensmaïl e Pedro Costa (ancora da confermare) saranno presenti al Black Movie per due eccezionali Masterclass aperte al pubblico. Pedro Costa presenterà a Ginevra il suo ultimo lavoro Vitalina Varela (Pardo d’oro a Locarno). Decisamente importante e attuale anche la tavola rotonda «Femmes, Islam et intégrisme religieux» durante la quale il pubblico potrà discutere con gli ospiti presenti delle problematiche legate alla questione delle donne e dell’Islam: come sono definiti i rapporti di genere? Come esprimere la propria identità in quanto donne nei paesi musulmani?
Numerosi i film selezionati che propongono tematiche controverse o ricerche formali audaci. Tra questi, A Girl Missing del regista Koji Fukada, thriller elegante che ci fa entrare nelle viscere di una società nipponica che non permette errori, fredda fino all’ipotermia. Nella stessa sezione «A suivre…» ritroviamo A Tale of Three Sisters di Emin Alper, fiaba realista che esplora le ambivalenze emotive e i dilemmi esistenziali che uniscono le tre eroine. Emin Alper parla di una società patriarcale nella quale le donne ma anche gli uomini devono interpretare un ruolo tristemente prestabilito. Manuel Abramovich affronta anche lui i rapporti di potere attraverso il sorprendente e magnificamente crudo documentario Blue Boy che mette in scena sette escort boys rumeni in un bar berlinese.
In un registro più festivo e kitsch ritroviamo Technoboss del portoghese João Nocolau, sorta di ibrido tra una commedia musicale amatoriale e un road movie esistenziale. João Nicolau parla di mascolinità e vecchiaia con uno sguardo al contempo tenero e ironico, come a volerci ricordare che l’autoironia è il miglior antidoto contro l’invecchiamento.
Nella stessa vena anticonformista e poetica ritroviamo El prìncipe del cileno Sebastiàn Muñoz, adattamento filmico del libro omonimo di Mario Cruz, un dramma carcerario sull’esplorazione sessuale di un giovane efebo che vuole scoprire se stesso malgrado la violenza che lo circonda. Immancabile anche Basil Da Cunha, una delle giovani speranze del cinema elvetico, che grazie al suo thriller sociale O fim do mundo farà scoprire al pubblico del Black Movie la bellezza crudele della bidonville di Reboleira (alla periferia di Lisbona). Crudele e maestoso anche Acid del giovanissimo beniamino del cinema russo Alexander Gorchilin.
Anche se lo meriterebbero, impossibile citare tutti i film presenti, non resta quindi al pubblico che farsi personalmente un’idea tuffandosi nelle acque agitate e misteriose di un festival che non ha certo intenzione di mettere la testa a posto.