Chernobyl, la verità sullo schermo

Un capolavoro per chi trova il coraggio di vederlo
/ 09.09.2019
di Alessandro Panelli

Chernobyl, miniserie televisiva composta da cinque episodi scritti da Craig Mazin (Una notte da leoni, Scary Movie) e diretta da Johan Renck (Breaking Bad, The Walking Dead, Vikings) è la nuova opera prodotta da HBO nel 2019 e narra le vicende dell’esplosione nella centrale nucleare di Chernobyl, avvenuta il 26 aprile 1986 nei pressi della cittadina di Pryp’jat’, in Ucraina.

La serie ha il compito di mostrare l’orrore di quella notte, e sicuramente lo fa senza andarci piano. Ogni puntata è un vero e proprio pugno nello stomaco per lo spettatore, che dovrà confrontarsi con ambienti di lavoro tossici (ove la corruzione radicata nei piani alti della politica sovietica causerà la morte di migliaia di persone) e con l’ingenuità e l’inconsapevolezza della popolazione di Pryp’jat’ di fronte a una fine certa.

Chernobyl non è uno show televisivo adatto a tutti, ma ritengo che chiunque debba trovare il coraggio per visionarlo. Ebbene sì, perché Johan Renck e Craig Mazin ci mostrano senza alcun sconto le ripercussioni della strage, facendo leva sulla dannosa egemonia dettata dall’URSS sulla popolazione, ignara di ciò che stava accadendo, ma chiaramente coinvolta e pronta a intervenire per rimediare a un «errore» che le costerà la vita.

Le riprese sono impressionanti e dominate da colori come un blu molto freddo, un verde che ricorda il senso di alienazione, un rosso che richiama il pericolo. L’immensa e colossale colonna sonora di Hildur Guðnadóttir ci spinge in uno stato d’animo di angoscia, terrore, rabbia e misantropia.

La trama si focalizza sull’importante rapporto fra il chimico sovietico Valerij Alekseevic Legasov (Jared Harris), che ha come obiettivo quello di scoprire la ragione dell’esplosione del reattore principale della centrale, e Boris Shcherbina (Stellan Skarsgard), capo dell’ufficio per il combustibile e l’energia, incaricato dal Cremlino di guidare la commissione governativa dopo il disastro. In questo modo nasce un conflitto tra chi è alla ricerca della pura verità e chi ha dovuto nascondere le cospirazioni e i dannosi segreti che quello che in realtà è un impero tiene nascosti ormai da molto tempo.

All’interno del suo dramma storico Craig Mazin si è preso la libertà di inventare un personaggio: Ulana Khomyuk, interpretata da Emily Watson, è una scienziata nucleare bielorussa ben delineata e ben contestualizzata all’interno dell’opera che rappresenta tutta la serie di scienziati impegnati nel rendere pubblico il vero motivo dell’esplosione… ma che purtroppo all’epoca furono messi quasi tutti a tacere.

Chernobyl non è un prodotto d’intrattenimento ma piuttosto di autolesionismo. Durante le cinque ore di durata della fiction veniamo trafitti da una lama ghiacciata e affilata che ci lacera il corpo fino a suscitare le peggiori e più negative emozioni che riusciamo a provare davanti a uno schermo. Ma queste emozioni negative ci mostrano unicamente la realtà, rendendoci consapevoli del fatto che essa può essere anche più tragica della fiction.

A distanza di più di trent’anni Chernobyl torna a far parlare di sé, e dopo la visione di questo capolavoro rimarrà una vicenda che non scorderemo mai, impiantata nei nostri ricordi. Al termine della visione siamo consapevoli di uno dei più grandi e gravi errori che causò la caduta dell’impero dittatoriale. Ciò che fa venire i brividi è che ancora la popolazione innocente e allora ignara paga il prezzo delle devastanti conseguenze del disastro nucleare passato alla storia.