Gobbo, sciancato, e con un braccio «secco e vizzo come uno stecco morto», nel monologo di apertura della tragedia di cui è protagonista il futuro Riccardo III così parla di sé: «[…] io che sono deforme, non finito, mandato anzi tempo in questo spirante mondo, […] dal momento che non riuscirei davvero a fare l’innamorato […] ho deciso di assumere, per contro, la parte del cattivo e di portare ogni sorta di invido odio agli oziosi piaceri di questo tempo». È quel che si dice: una reazione compensatoria. Ne aveva già parlato Freud in Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicanalitico (1916). L’amarezza e la precisione con cui Riccardo descrive la sua deformità – dice Freud – sono tali da farci avvertire – anche se siamo consapevoli di quanto sia malvagio – un senso di comunanza e di simpatia nei suoi confronti. «Riccardo è lo smisurato ingrandimento di qualche cosa che troviamo anche in noi stessi. Tutti crediamo di avere motivo di rancore verso la natura e il destino per le menomazioni congenite e infantili; tutti pretendiamo una riparazione che ci indennizzi delle precoci frustrazioni del nostro narcisismo e egoismo».
Ben diversa è la lettura offerta da Jan Kott nel celebre saggio Shakespeare nostro contemporaneo: «Riccardo è impersonale come la storia. Mette in moto il rullo compressore della storia, dopo di che il rullo lo stritola. Riccardo non è neanche crudele. Non rientra in nessuno schema psicologico. È la storia pura. Non ha volto». Ma necessariamente, «l’attore che recita Riccardo deve avere un volto». Il volto che per me si associa indelebilmente alla figura di Riccardo – ben più di quello così spesso in primo o primissimo piano di Al Pacino, protagonista e regista di Looking for Richard (1996) – è quello di Laurence Olivier, nel film da lui diretto e uscito nel ’55. Confesso di essermi avviato verso il Teatro Strehler di Milano – dove è andato in scena per tre soli giorni il Richard III firmato da Thomas Ostermeier, direttore della Schaubühne di Berlino – avendo ancora negli occhi e negli orecchi, dopo aver rivisto il film, la sobria, magnetica espressività facciale di Olivier e i suoi mirabili effetti di «staccato» e di «legato» nel pronunciare i pentametri giambici di cui si compone quasi per intero la tragedia.
Nel testo shakespeariano abbondano i monologhi e gli «a parte» in cui il protagonista, rivolgendosi al pubblico con varia intonazione, anticipa verbalmente i suoi propositi delittuosi e manifesta senza remore la sua natura di simulatore. Di conseguenza, Laurence Olivier ha ritenuto necessario che Riccardo parlasse allo spettatore guardandolo negli occhi, per «agganciarlo», per renderlo testimone consapevole e quasi complice dei suoi pensieri e dei suoi atti criminali. Si rivolge quindi direttamente alla macchina da presa, che lo fronteggia, lo segue o lo accompagna, docilmente, come se fosse lui, Riccardo, a guidarla, per indirizzare lo sguardo dello spettatore verso ciò che intende fargli vedere.
Anche il Riccardo III interpretato da Lars Eidinger si rivolge spesso direttamente al pubblico. Fino a quando è soltanto il duca di Gloucester – prima cioè dell’intronizzazione – Riccardo sembra un incrocio fra un ciondolante giovinastro «diversamente abile», un rockettaro agitato e un cabarettista che di tanto in tanto afferra un microfono che penzola a mezz’aria, munito di una lampadina che gli illumina fortemente il volto e di una mini-telecamera che ne proietta l’immagine ingrandita e sfocata sulla parete di fondo. Beffardo, cinico, spietato, vuole apparire disponibile e diretto nei modi e nel linguaggio, un tipo anche scherzoso, non diversamente da certi leader populisti dei giorni nostri.
Ci vorrebbe parecchio spazio per analizzare le componenti (a cominciare dalla traduzione e dall’adattamento del drammaturgo Marius von Mayenburg) di uno spettacolo a tratti avvincente, che nell’insieme, però, mi è sembrato di una complessità decisamente meno grande di quella del testo shakespeariano, anche a causa di certe scene ad effetto. Mi limito a due note conclusive. 1) Poche ore prima della morte, il Riccardo III di Lars Eidinger si specchia in un piatto di lucido metallo dopo essersi imbiancato il viso con una crema che gli confonde i lineamenti: diventa cioè l’impersonale Riccardo senza volto di cui parla Jan Kott nel capitolo sui re. 2) Nella tragedia di Shakespeare, nei film di Laurence Olivier e di Al Pacino, la seduzione di Lady Anna è affidata al fascino delle parole e al simulato trasporto con cui vengono pronunciate da Riccardo. Nello spettacolo di Ostermeier, il futuro re d’Inghilterra mette completamente a nudo il proprio corpo. Più che sulla fascinazione verbale e vocale, punta forse sull’esibizione di ammennicoli che non sono neppure king size?