«Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. La realtà d’oggi è destinata a scoprircisi illusione domani». Pubblicato per la prima volta nel 1926, a puntate, sulla rivista «Fiera Letteraria» e successivamente in un volume, Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello, può essere letto come un romanzo, decisamente il più celebre dell’autore siciliano, o adattato come monologo.
È quest’ultima dimensione teatrale che ha affascinato Emanuele Santoro riuscendo a debuttare un paio di settimane fa al Teatro Foce di Lugano, pochi giorni prima di dover rinunciare ad altre date. La maschera, la follia, l’uomo e la sua identità nella sua dimensione individuale e in rapporto con la collettività: i temi della letteratura e del teatro del Nobel di Caos sono un concentrato di filosofia sulla condizione umana. Ma in quest’opera, come nel Fu Mattia Pascal, emerge particolarmente la figura dell’uomo qualunque che scopre che l’esistenza è per sé stessa un problema difficile da risolvere. Un fil rouge immaginario che congiunge Vitaliangelo Moscada (detto Gengè), il protagonista del racconto, a certi eroi di Ibsen, Cechov, Strindberg, Wedekind, Musil e altri. Gengè è un uomo come tanti, conduce una vita tranquilla e agiata grazie alla banca ereditata dal padre, accanto alla pratica dell’usura. Un uomo senza particolari qualità. Sennonché quando si accorge allo specchio di un banale difetto fisico, il naso leggermente storto, la sua vita si trasforma in una quotidianità paradossale, grottesca, in cui ogni suo momento lascia spazio a equivoci che mettono in discussione la sua stessa esistenza. Inizia così un percorso alla ricerca del suo essere autentico, paragonandolo alle maschere indossate per apparire, per poi finire a dover fare i conti con nessuno (o con centomila).
La sua è la ricerca di un’identità che finirà per tradursi in un gioco paradossale, ossessivo, dove il confronto continuo lo porta a inimicarsi il prossimo e gli affetti fino allo spasmo, fino alla scomposizione di sé e dei suoi tanti alter ego verso un grottesco processo di distruzione della personalità e una progressiva follia scandita da una memoria lacerata dal presente. Un appassionato saggio della poetica pirandelliana che Emanuele Santoro traduce in un maturo monologo (suoi l’adattamento, la regia e la scenografia). In scena per circa un’ora e mezza, fra teste distribuite sul palco e appese a un filo invisibile, la recitazione di Santoro accompagna il progressivo crollo del protagonista con una prova composta e efficace, in bilico sulla sottile piattaforma umoristica del celebre capolavoro.
Centomila sfumature di Pirandello
Maschere e follia nella nuova produzione di Emanuele Santoro
/ 23.03.2020
di Giorgio Thoeni
di Giorgio Thoeni