È nel bel mezzo di una piroetta o forse di un saltello la Danzatrice con le mani sui fianchi, l’abito leggero tirato su a scoprire le caviglie sottili e i piedi in procinto di staccarsi dal suolo, mentre il viso dall’espressione maliziosa ha la bocca atteggiata in un sorriso gioioso e divertito, così più che una statua quasi di grandezza naturale, sembra un incantesimo: l’essenza dell’armonia e della bellezza femminile colta in un guizzo da Antonio Canova (1757-1822) e trasferita in un marmo che sembra lieve come un passo di danza.
La statua proviene dal Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo ed è uno dei capolavori esposti nella mostra romana: Canova. Eterna Bellezza allestita a Palazzo Braschi che racconta l’artista e l’uomo Antonio Canova soprattutto nel suo rapporto con Roma, i suoi Papi e gli eventi del suo tempo, attraverso le opere, i bozzetti, i gessi, le lettere, le scelte e anche le battaglie come «ispettore delle Belle Arti» nominato dal Pio VII. Uno scultore celebrato dai suoi contemporanei, che ebbe commesse da tutte le case regnanti d’Europa, compreso Napoleone e Thomas Jefferson. Un uomo colto dalla biblioteca sterminata, studioso appassionato di arte classica, come racconta Giuseppe Pavanello, uno dei massimi esperti dello scultore veneto, curatore della mostra che si articola in tredici sezioni con centosettanta opere, non solo di Canova, ma in parte anche di suoi contemporanei per raccontare il vivace contesto che questi, ventiduenne, trovò al suo arrivo a Roma nel 1779.
La mostra mette in luce la modernità delle opere di Antonio Canova, artista capace di far «rinascere l’Antico nel Moderno» e di far affiorare dal marmo sentimenti ed emozioni, tutto all’opposto del «freddo classicismo» di cui venne accusato in seguito. Così nelle prime sale sono messi a confronto quattro grandi gessi: Apollo del Belvedere statua antica e il Perseo Trionfante di Canova dalle forme apollinee; e ancora l’antico Gladiatore Borghese contro il canoviano Pugilatore Creugante muscoloso e possente. Subito dopo si rimane affascinati dall’umana fragilità che emana la figura accasciata della Maddalena penitente di Canova, soggetto sacro che i contemporanei definirono «un’opera figlia del cuore»; e accanto a lei ammiriamo l’Amorino Alato, scultura creata invece, con uno sguardo all’antico; poco più in là la statua di Amore e Psiche stanti dove la bellezza delle due figure pare legata da un segreto e intimo affetto. Dei più noti monumenti funerari creati dall’artista e ricordati in mostra con modellini e gessi anche di grande formato, affascina il busto di Papa Clemente XIII nella sua assorta naturalezza, la statua in marmo è collocata a San Pietro come quella di Clemente XIV e il Monumento agli ultimi Stuart, famoso per la conturbante nudità e la bellezza dei due angeli piangenti, ancora oggi amati e «accarezzati» da folle di visitatori.
«Il ricchissimo ventaglio della creatività di Canova riesce ad esprimere ogni volta cose completamente diverse. Basti pensare che nella fase finale della sua carriera», ci ha raccontato Giuseppe Pavanello, «non solo progetta La Religione, una statua che doveva essere alta otto metri dall’espressione severa che non venne mai realizzata (è la «mamma» della statua della Libertà di New York), ma contemporaneamente scolpisce l’Endimione Dormiente opera di straordinaria sensualità da noi evocata sia nel modello in gesso che con il calco in marmo, per far capire al visitatore la differenza tra le due versioni. La statua di marmo invece è in Inghilterra».
La mostra Canova. Eterna Bellezza è un suggestivo viaggio nel tempo, e nel percorso non solo viene ricreato l’atelier dello scultore di Via delle Colonnette (vicino a Piazza del Popolo), ma l’illuminazione stessa delle sale è studiata in modo da evocare quella prediletta da Canova che riceveva clienti e viaggiatori del Grand Tour solo di sera e alla luce delle torce, perché le ombre e i chiaroscuri che provocava, parevano quasi dar vita alle statue, alcune delle quali erano collocate su piedistalli girevoli, come quello sul quale è esposta, a Palazzo Braschi, la Danzatrice con le mani sui fianchi.
«Canova voleva che il visitatore rimanesse fermo a guardare la statua animarsi», spiega ancora Pavanello, «abbiamo ancora molte delle sue statue di marmo sulle basi originali che si girano, e tra queste vediamo qui anche Ercole e Lica che pure è una montagna di marmo. È il mito di Pigmalione che fa la statua di Galatea, se ne innamora e la vuole “viva” e Canova aveva questa idea, che il marmo doveva essere “carne”, che è anche un’idea molto veneziana e neo-tizianesca per cui Paolina Borghese è come una venere di Tiziano, non è quindi solo un riferimento all’antico, ma anche alla pittura veneziana, ricordando così le origini di questo artista».
Ma sbaglierebbe chi immagina Canova preso solo dalla propria arte, infatti è proprio lui che in veste di Ispettore generale delle Antichità nel 1802, difende il patrimonio artistico di Roma dalle brame di ricchi acquirenti e aggressivi monarchi facendo emanare un bando che vieta l’esportazione di opere d’arte. Se nel caso del Fauno Barberini (in mostra in una copia in gesso) spettacolare scultura ellenistica che Ludwig di Baviera riuscì a farsi dare dal Papa, Canova subì una bruciante sconfitta, pochi anni dopo, nel 1815, all’indomani di Waterloo, fu proprio lui, grazie alla sua fama internazionale e alla sua diplomazia, a ottenere dai francesi la restituzione di una parte delle opere razziate da Napoleone a Roma e in altre città della penisola. Un’impresa lunga e difficile che lo prostrò anche fisicamente, come si può leggere in una sua lettera in mostra, in cui scrive: «Non dormo. Non mangio. Non dormo e non mangio da giorni. Agitazione di stomaco, dubito di cadere ammalato».
La mostra Canova. Eterna Bellezza si conclude con la sorprendente serie di fotografie di grande formato di Mimmo Jodice che con il suo obbiettivo ha colto le eleganti posture delle sculture più famose di Canova, inseguite nei vari musei, immortalandone i volti e gli abbracci in trenta primi piani tanto rivelatori da sembrare quasi indiscreti che mettono a nudo l’anima romantica dell’artista.