Coordinata da Adria Nabekle, già ideatrice del progetto, e guidata dal direttore artistico Egon Dejori, Calanca Exhibit è una rassegna estiva che si sviluppa su diversi piani, con diversi media e in diverse forme e spazi all’interno del nucleo storico di Santa Maria Calanca, presentando un percorso espositivo che si estende dal cimitero, intorno alla chiesa e al castello sino alle sale interne alla Torre, recuperata per l’occasione.
In primo piano, sul terreno dell’antica necropoli, siamo accolti dalle statue di Franz Canins, scultore di Ortisei e quindi anch’egli trilingue, che opera con materiali del legno e acciaio non senza riferimenti in forme ruvide e arcaiche della plastica alpina.
Tra le opere in visione, nella quasi totalità situate all’esterno, troviamo anche fotografi. Per primo il fotoreporter ginevrino Guillaume Briquet, il quale fornisce due immagini emblematiche, provenienti da zone sensibili del mondo; la prima di una bambina africana alle porte del deserto e un’altra di una ragazza nelle tende dell’Onu, a seguito del terremoto ad Haiti nel gennaio del 2010.
Sulla superficie esterna della chiesa di Santa Maria, la pietra a vista viene ricoperta da alcune immagine del brasiliano Tadeo Vilani che presenta il suo progetto sugli uomini della Pampa in un bianco e nero che ricorda il suo celebre conterraneo Sebastião Salgado.
Nella torre del castello, infine, un autore apparentemente insolito per il luogo, attivo soprattutto nel campo della moda, l’australiano Nino Ellison; la struttura porta inoltre i segni luminosi dell’intervento del giovane grafic-designer iraniano Reza Mousavi.
Oltre alle istallazioni, vi sono stati in questi mesi anche altri interventi artistici sotto forma di performance, come quello progettato e condotto dai due land artist Renato Tagli e Sabina Oberholzer – già autori della progettazione e della realizzazione dell’immagine coordinata. Essi infatti il 2 giugno hanno liberato quattrocento farfalle «Vanessa», nell’intento di far loro sorvolare le Alpi, simboleggiando un percorso e la speranza di un approdo sicuro ai migranti che, negli stessi mesi, hanno cercato di attraversare il Mediterraneo.
Nella cornice della Val Calanca l’iniziativa, sostenuta da molti attori locali e dal Percento Culturale di Migros Ticino, riesce senza dubbio in uno degli intenti, ovvero quello di recuperare un dialogo con il territorio, anche sul piano strettamente fisico.
Si sono infatti riaperti, resi nuovamente accessibili e recuperati spazi che erano dismessi e abbandonati – oltre a utilizzare quelli preesistenti. Come se, sia per gli abitanti sia per i visitatori, si fossero inaugurate nuove possibilità di lettura del territorio.
Ciò è avvenuto in contemporanea anche a poca distanza: nel paese di Rossa, la Swiss House di Davide Macullo decorata all’esterno da un intervento a bande colorate di Daniel Buren è stata raggiunta a luglio dal restauro e decorazione della chiesa e delle due cappelle seicentesche decorate dalle suggestive forme geometriche dal noto artista britannico David Tremlett (v. «Azione» 2 settembre 2019).
Si legge da più parti che queste iniziative potranno aumentare il turismo culturale della regione. Ma forse varrebbe la pena pensare in senso più ampio. D’altronde, in un’epoca come quella attuale, iperconnessa e in cui si confondono il tempo di lavoro e quello del tempo libero, ha ancora senso parlare di centro e periferia in termini di semplice contrapposizione? Oppure, serenamente, si potrebbe sottolineare il valore rigenerativo della frequentazione di tali iniziative culturali, l’arricchimento fornito da alcune esperienze visive il cui merito è, sul territorio e in misure che non possono essere frutto di un mero calcolo economico, quello di riattivare un tessuto sociale e relazionale che la velocità della modernità – in meno di un secolo – ha in parte disperso.