La statuetta, uno dei premi più ambiti (Wikipedia)

L’attrice Donna Reed prima della cerimonia di premiazione in un’immagine del 1955 (Keystone)


Buon compleanno, caro zio Oscar!

La statuetta più ambita del mondo del cinema compie i suoi primi novant’anni
/ 18.02.2019
di Giovanni Medolago

Quella che si terrà domenica prossima sarà la 90esima notte degli Oscar. La prima si tenne infatti il 16 maggio 1929 alla Blossom Room dell’Hollywood Hotel di Los Angeles; venne presentata da William C. deMille (fratello maggiore del regista di kolossal Cecil B.) e Douglas Fairbanks. Non aveva certo il glamour odierno e la sua copertura mediatica fu prossima allo zero. Durò 4 minuti e 22 secondi: giusto il tempo per attribuire tre statuette al film Settimo cielo di Frank Borzage – straziante storia d’amore tra un poverissima ragazza e uno spazzino che torna cieco dalla Prima guerra mondiale in una Parigi improbabile – e altrettante a uno dei capolavori di F.W. Murnau, Aurora.

Borzage (nato tra i mormoni dello Utah, ma figlio di un immigrato del Trentino e di una svizzera) si vide premiato anche per L’angelo della strada: stavolta la città improbabile è Napoli, dove la disperata Angela cerca ingenuamente di prostituirsi per procurarsi le medicine per la madre malata. La pellicola muta, dove un ruolo importante è ricoperto dal cantante Alberto Rabagliati, fu immediatamente vietata agli spettatori italiani poiché il fascismo aveva pubblicamente abolito prostituzione e miseria (come di recente ha fatto Di Maio parlando però, bontà sua, solo di povertà). Eroina della serata fu tuttavia Janet Gaynor, protagonista di tutti e tre i lavori premiati; un riconoscimento andò anche a Charlie Chaplin per Il circo.

Da qui nacque la prima polemica riguardo agli Oscar: si parlò di combine poiché il presentatore Fairbanks nel 1919 aveva fondato la United Artists Corporation proprio col suo carissimo amico Charlot, sua moglie Mary Pickford e il regista David W. Griffith. Infondato gossip d’antan, poiché Il circo da decenni conserva degnamente la definizione di «capolavoro»; Chaplin lo sistemava tra le sommità da lui raggiunte («Dobbiamo ridere in faccia alla tragedia, alla sfortuna e alla nostra impotenza contro le forze della natura… se non vogliamo impazzire») e Vladimir Majakovskj gli dedicò una poesia dal celebre incipit: Un debole omino calpestato / da Los Angeles a qui / recita attraverso gli oceani.

La presunta combine, ma soprattutto la caccia alle streghe del periodo maccartista, costrinsero uno dei più grandi cineasti della storia a restare a bocca asciutta sino al 1972, quando l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences gli attribuì l’Oscar alla carriera «per aver fatto delle immagini in movimento la principale forma d’arte del Ventesimo secolo».

Quello «alla carriera» è un Oscar creato dai membri dell’Academy per lavarsi la coscienza dopo le loro clamorose dimenticanze, ed è andato a figure leggendarie quali Greta Garbo, Buster Keaton, sir Alfred Hitchcock, Orson Welles e tra gli altri, dopo 7 nominations andate a vuoto, a Robert Altman. Singolare il caso di Laurence Olivier, che ricevette il premio alla carriera nel 1947, due anni prima del premio per la regia di Amleto.

L’Oscar, in realtà, nacque nel 1927 quando tre amici al bar (il produttore Louis B. Mayer, il regista Fred Niblo e l’attore Conrad Nagel) cominciarono a riflettere attorno all’idea di creare un’associazione che riunisse le principali «professioni cinematografiche allo scopo di elevare gli standard di produzione sotto l’aspetto educativo, culturale e scientifico». Allora si pensò a sole cinque categorie, oggi sono quasi una trentina.

Festeggiamo allora il 90esimo con poche, personalissime quanto arbitrarie Nomination!

Assenze e presenze
: detentrice del record assoluto con ben 4 statuette, Katherine Hepburn non andò mai a LA per ritirare il premio. Si presentò una sola volta, nel 1974, quando nella sua bacheca ancora mancava l’Oscar  per Sul lago dorato (1982). Fu accolta da un’interminabile standing ovation.

Woody Allen (21 Nomination di cui 6 andate a buon fine) trionfò nel 1978, quando a Io & Annie vennero attribuite ben quattro statuette. Ma lui non c’era: quel lunedì stava in un club di New York, impegnato a suonare il clarinetto (male! L’abbiamo sentito anni dopo a Lugano). Stessa scusa 25 anni dopo per disertare la vittoria della sceneggiatura di Midnight in Paris. Fece una sola eccezione nel 2002, dove però andò a LA per lanciarsi in un monologo/atto d’amore verso la sua città, sconvolta pochi mesi prima dall’attentato dell’11 settembre.

Nessuna Nomination e dunque nessun Oscar per Marilyn Monroe, che fu sul palco della Notte delle Stelle in una sola occasione, nel 1951. Per lei fu una serata da incubo: chiamata da Fred Astaire a premiare l’autore della miglior colonna sonora, dietro le quinte Marilyn si strappò il vestito pochi istanti prima della cerimonia. Turbata dall’inconveniente, lesse il verdetto senza mai alzare gli occhi dal foglio, anzi, seguì con le mani il testo scritto come fanno i bimbi che hanno appena imparato a leggere. Trovate il filmato su youtube.

Notte da incubo: quella vissuta da Cecil B. deMille sempre nel ’51. Tentò invano di boicottare il rivale Joseph Mankiewicz convocando poche settimane prima della Notte delle Stelle una riunione di registi per accusarlo di simpatie comuniste. Fu zittito da un vecchietto con le scarpe da tennis e un basco sulla testa: «Mi chiamo Ford, faccio western. Tu CB sei un bravo regista e sai cosa vuole il pubblico. Ma qui stasera hai detto un sacco di stronzate. Perciò propongo di votare una dichiarazione di fiducia a Joseph, così possiamo andarcene tutti tranquillamente a casa a dormire!» Eva contro Eva si aggiudicò poi 6 Oscar, a deMille (e al suo Sansone e Dalila) restò la battuta di Groucho Marx: «Non avevo mai visto un film dove il protagonista avesse più tette della sua partner»!

Gaffes: «Sei un bastardo! Sputtanare così l’industria che ti ha creato, ti ha dato da mangiare e ti ha fatto ricco! Eppoi, chi vuoi che vada a vedere un film che si apre con un cadavere che parla?!?» Così urlò Louis B. Mayer a Billy Wilder dopo la prima di Viale del tramonto, film premiato con 4 Oscar e inserito nel 1998 al dodicesimo posto dall’American Film Institute tra i migliori 100 del cinema USA.

«Via col vento sta per diventare il più grande flop della storia del cinema, per fortuna sarà Clark Gable a perderci la faccia e non io». Questo il commento di Gary Cooper dopo essere stato scartato per il ruolo del Capitano Butler. Il film più popolare di sempre nel 1939 vinse ben 8 Oscar, tra cui il primo a un’attrice afroamericana: Hattie McDaniel, indimenticabile Mamie.

Per il riconoscimento a un afroamericano si dovette attendere il 1964, quando trionfò Sidney Poitier (I gigli del campo) e solo nel 1983 un altro afroamericano riuscì ad agguantare la statuetta: Louis Gossett Jr., attore non protagonista in Ufficiale e gentiluomo. I due Oscar andati poi a Denzel Washington non bastarono a evitare all’Academy l’accusa di razzismo non proprio latente, avanzata ancora di recente da Spike Lee.

Repetita iuvant: già miglior protagonista per Accadde una notte ma clamorosamente escluso dal trionfo di Via col vento, Clark Gable commentò il verdetto ribadendo la sua ultima battuta in quel film: «Francamente me ne infischio!»