Giuseppe Curonici, autore che si è fatto conoscere in questa veste soltanto in età avanzata, ha recentemente pubblicato il suo quarto romanzo, apparso a Locarno da Dadò dopo una fortunata triade edita a Novara da Interlinea tra il 2002 e il 2012 (da L’interruzione del Parsifal dopo il primo atto, Premio Bagutta Opera Prima, a Nell’isola distante, fino a L’incendio della montagna blu).
Come era accaduto in passato, anche in questo caso Curonici condensa nel titolo un intero immaginario, di più, la partitura retorica e morale su cui la storia si regge: nella Fine precoce del giovane D.S. c’è tutto il poco (o molto) che succede nel libro, cioè nient’altro che il consumarsi brevissimo e insensato di un’esistenza il cui destino era già inscritto nel nome del protagonista. Dietro la sigla D.S. stanno infatti un nome e un cognome che più ebrei non potrebbero essere: «Daniele» e «Sichem», un giovane economista un po’ introverso, che «si occupava di denaro senza essere né avido né egoista».
Se le parole hanno un peso, Curonici le seleziona con grandissima attenzione, per sgravare Daniele da qualunque stereotipo o colpa potenziale; a parte naturalmente il «peccato originale» della sua origine razziale, uno scandalo che da quattromila anni – ma con un tremendo apice nel Novecento – non ha ancora esaurito la sua azione nefasta: «Da qualche parte nel tempo era avvenuta una malvagità collettiva, di una tale vastità che era impossibile a un ragazzo capacitarsene con pensiero lucido. Sei milioni di persone erano state assassinate».
Il tema, si capisce, è dei più delicati, come sempre quando si torni ad affrontare la questione dell’antisemitismo, trattata da Curonici in termini prima di tutto filosofici e culturali. A fare da numi tutelari a questo denso libretto sono infatti, assieme a una fitta rete di riferimenti a Kant, a Celan, a Sant’Agostino, il Camus del capolavoro (citato in esergo: «Il bacillo della peste non muore mai») e la grande lezione di Primo Levi («È avvenuto, quindi può accadere di nuovo»), di cui nel testo non compare mai la citazione esplicita, ma torna continuamente la parafrasi: «Non poter essere sicuri di niente. La paura. Se una cosa è capitata, vuol dire che è possibile, che può tornare» (p. 17), «Non serve dire che l’acqua passata non macina più, l’acqua non è passata» (p. 125). Davvero l’esempio di Se questo è un uomo aleggia tra le pagine, nonostante l’ambientazione contemporanea della storia, tra Zurigo, Roma e la Lombardia, in un mondo di imprenditori senza scrupoli e di agguati nell’ombra.
I lettori scopriranno da soli la trama, che in fondo conta poco perché la colpa non è tanto dei «cattivi» del libro, i trafficanti d’armi che farneticano di complotti sionisti e spionaggio aziendale, quanto di tutti noi, perché siamo tutti immersi in una società che ha da sempre, con l’altro, un rapporto conflittuale: «Il piacere di mentire e disprezzare te lo trovi accanto al tavolino del bar, nella smorfia disgustata di una signora al supermercato o nello sguardo di un uomo importante dalla sua scrivania, oppure nel volto melenso di un professore che a scuola per non avere storie tace la verità ai ragazzi». E ancora: «Una persona incontra qualcuno in strada. Lo saluta. L’altro non risponde al saluto. Un evento proprio minimo, ma è l’inizio, ti pare? Considerare gli altri uno zero».
A rischio di eccedere nell’esplicitazione delle proprie tesi, Curonici punta sulla chiarezza di dettato, aprendo sovente nel libro – comunque di impianto narrativo – brevi parentesi di natura filosofica sulla nostra percezione del tempo e dello spazio, sul misterioso scorrere dell’esistenza o ancora sul nostro rapporto, non censurabile, con una dimensione ultraterrena. Non mancano, infine, i riferimenti alla contemporaneità, se vero che il libro si chiude con una commovente lettera postuma di Daniele, dopo la sua «fine precoce», nientemeno che a Martin Heidegger, di cui nel 2015 sono stati resi pubblici gli Schwarze Hefte. In questa «Lettera nell’al di là da un ebreo morto a un nazista morto» si condensa tutta la provocazione e l’insensatezza di quanto è successo nel cuore più tragico del Novecento.