***(*) Blade Runner 2049, di Denis Villeneuve, con Ryan Gosling, Harrison Ford, Jared Leto, (Stati Uniti 2017)
In epoca non proprio idealista come l’attuale, quella di Blade Runner 2049 rappresenta, prima di ogni altra cosa, una sfida ardita. «Mi è stata proposta, non avrei mai osato avere quest’idea». A dirlo è il canadese Denis Villeneuve, autore ormai grande di Prisoners, Sicario e Arrival . Ha avuto il coraggio di dare un seguito all’originale di Ridley Scott, del quale esistono sette messe a punto, divenuto oggi uno degli oggetti di culto da portare sull’isola deserta.
Realizzato nel 1981, il Blade Runner originale si svolgeva nel 2019. Così l’avevamo accolto: «Il protagonista Harrison Ford è una replica dei Bogart, dei Cagney; investigatori privati ormai in pensione, ma costretti da un avvenimento eccezionale a ritornare in attività. Lo sfondo, il tono è invece da fantascienza: ma moderata, ancorata al ricordo dell’epoca del noir. Una Los Angeles del 2019: che permette a Ridley Scott effetti speciali tradizionali, piccole astronavi, gadget elettronici. Il tutto in un universo che ancora ci appartiene, taxi aerei, le città satellite che si perdono con le loro luci nel cielo, la metropoli sottostante non molto dissimile dalle Chinatown attuali. Così, quando il nostro cacciatore di “replicanti” (...) si mette a cacciare le sue prede, lo fa nelle vie affollate da venditori ambulanti, fra passanti che circolano con l’ombrello aperto, tra ragazzini non molto dissimili, sotto le loro vesti eccentriche, dai nostri».
Nel Blade Runner 2049 di Villeneuve accade il contrario. Il seguito della vicenda, sempre ispirata ai romanzi di Philip K. Dick, affonda ormai in un universo post-apocalittico, fra scheletri di grattacieli appena intravisti attraverso la foschia dell’inquinamento radioattivo, con un’umanità quasi interamente evacuata verso pianeti vivibili. Filmata dall’immenso Roger Deakins (autore dell’opera dei Coen) la vicenda non è sempre evidente, ma si dipana meravigliosamente grazie alla scenografia e a un’ambientazione sbalorditiva. A Villeneuve riesce l’impossibile: la fedeltà all’approccio di Ridley Scott (comunque a disposizione dietro le quinte), ma attraverso il cammino opposto, personale, di un blockbuster solo in apparenza, con una narrazione che invita alla contemplazione e alla riflessione. Che ricorre all’azione quasi per obbligo, coinvolgendo lo spettatore in un progressivo processo ipnotico.
L’agente di polizia K (un melanconico Ryan Gosling, di memorabile adeguatezza) dovrà ritrovare l’anziano blade runner scomparso da trent’anni; al quale Harrison Ford apporta non solo il proprio profilo ormai mitico, ma una componente umana che sembrava ormai scomparsa. Sarà lui a commuoverci, cosa non evidente in questo genere di operazione: fondendo alla sua, di icona, quelle di Sinatra, Elvis e Marylin.
**(*) Il colore nascosto delle cose, di Silvio Soldini, con Valeria Golino, Adriano Giannini (Italia 2017)
Un film sulla cecità Silvio Soldini l’aveva già fatto nel 2013, Per altri occhi. Un documentario, nel quale il regista introduceva una sequenza completamente buia, invasa dai soli suoni: per obbligarci ad uscire dal ruolo di spettatori, per farci partecipi, vagamente, di come ci si sente dalla «loro» parte.
L’esperienza viene ripetuta in questo lungometraggio, conservando intatto, in un contesto inventato con la fida Doriana Leondeff e l’altro sceneggiatore Davide Lantieri, tutto il proprio impatto emotivo e per certi versi esplicativo. È d’altronde da sempre uno dei segreti dell’autore quello di costruire (anche nell’oscurità totale) mosaici pudici, ma di grande sensibilità e leggerezza, vibranti ragnatele di legami simmetrici fra i personaggi.
La storia è quella dell’agente pubblicitario Teo (Adriano Giannini, cui l’intimità registica di Soldini regala il ruolo più significativo) e del suo incontro con Emma: uno scontro curioso e laborioso, lontano (come tutto il film) da ogni pietismo, impegnativo. Poiché Emma è sì privata della vista dall’adolescenza, ma è comunque un’osteopata divorziata sulle sue. Una Valeria Golino ruvida come la sua voce, splendida come il suo personaggio.