Molti sono i luoghi comuni sugli scrittori. Figuriamoci se non esistono luoghi comuni sugli scrittori dell’orrore. Siamo convinti che abbiano avuto un’infanzia piena di paure, per esempio, terrorizzati dal babau sotto il letto. Saremmo disposti a giurare che al primo campeggio estivo senza genitori siano stati oggetto di scherzi paurosi. Immaginiamo che siano scarsi o sprovvisti di senso dell’umorismo: una bella risata, assieme all’indifferenza, toglie il fantasma di torno. Come ben sa il fantasma di Canterville – nel racconto con lo stesso titolo di Oscar Wilde: se lo spettro lascia una macchia di sangue sul tappeto la famiglia di americani che abita il castello inglese entra in azione con il detersivo Pinkerton. I pestiferi gemelli Stars e Stripes sottopongono il poveretto a ogni sorta di angherie.
Shirley Jackson, sublime scrittrice dell’orrore che colpisce alla testa – il grado più alto della scala Stephen King: «miro per prima cosa alla testa del lettore, se fallisco miro al cuore, se fallisco di nuovo li colpisco allo stomaco – racconta di aver avuto un’infanzia piacevole, rapida, rilassata». Quando uno dei quattro figli le chiede «viene davvero nostalgia di casa al campo estivo?» lei ripensa alla sua prima notte fuori casa da sola, e risponde «no, in un modo o nell’altro va sempre tutto bene».
Quanto al senso dell’umorismo, ne dà generosa prova in Paranoia, il suo ultimo libro uscito da Adelphi. Oltre a qualche racconto dell’orrore – inedito per i lettori italiani che già conoscono La lotteria e L’incubo di Hill House (dal romanzo è stata tratta una mini-serie ora su Netflix) – contiene i suoi quadretti familiari e le sue opinioni in materia di scrittura e di lettori.
Florilegio di florilegi nasconde sotto il titolo da antologia letteraria uno spassoso ritratto del marito, «recensore di libri per mestiere». Era un professore universitario nel Vermont, si occupava di miti e rituali. Da qui deve essere scoccata la scintilla per scrivere La lotteria: un crudele sacrificio officiato in un bel giorno di sole, da famiglie con bambini che somigliavano molto agli antipatici vicini di casa.
Cosa ho fatto di male per meritarmi un simile castigo? si chiede Shirley Jackson, convinta che «Nel matrimonio di una ragazza giovane e sana le recensioni di libri non dovrebbero trovare posto». Una donna di buon senso sposa un recensore con la speranza che poi il giovanotto trovi un lavoro migliore, per esempio venditore di aspirapolvere. Invece il suo consorte è sempre lì, circondato da pile di romanzi-mattone, che passa alla consorte perché li legga (salvo poi scrivere nella recensione le opinioni della lettrice a cottimo).
Anche il linguaggio ha i suoi vizi. Guai a scrivere «bello», meglio «altamente leggibile», seguito da una serie di aggettivi multifunzione: il preferito dal consorte è «suggestivo» – «riconoscerei una sua recensione a 50 metri di distanza», garantisce. Recensisci oggi e recensisci domani, il critico si convince di essere un artista, e si guarda in giro cercando applausi tutti per lui.
Shirley Jackson scriveva nel tempo avanzato dopo aver messo in ordine la casa, fatto la spesa, preparato la cena e lavato i piatti. Nella postfazione a Paranoia i figli Laurence e Sarah confermano: «gli articoli e i racconti li abbiamo letteralmente sentiti nascere», e ricordano la mamma che prendeva appunti in cucina mentre cuoceva i biscotti al cioccolato.
Molti decenni dopo la morte della scrittrice (nel 1965, aveva 48 anni), Laurence trovò davanti alla porta di casa una scatola senza l’indirizzo del mittente. Dentro c’erano altri manoscritti della madre, fogli di carta gialla con i caratteri della macchina per scrivere Royal. Un’altra bella storia di fantasmi, che spinse i figli a cercare altri inediti nelle quaranta scatole donate dal padre alla biblioteca del congresso di Washington.
Senza questi inediti non avremmo scoperto la passione di Shirley Jackson per le case, anche non abitate da fantasmi. Né le sue fissazioni quando trafficava in cucina: bicchieri del servizio buono che si pavoneggiano, le forchette di servizio che «sono follemente gelose l’una dell’altra», i timidi strofinacci (ma basta afferrarne uno perché i mobili e i pavimenti gioiscano), «la piastra per le cialde che, se non viene tenuta sotto controllo, tenta di strangolare il tostapane». Né il suo odio per gli insegnanti che davano le tesine su di lei: «le maestre di tutto il mondo dovranno pagare per tutto il male che fanno agli scrittori».