Con le crisi finanziarie sempre in agguato la buona zia Fé farebbe comodo un po’ a tutti. Un’ottuagenaria ancora lucida e combattiva, che sa mettere in guardia di fronte ai rischi e ai tranelli del mercato e parla di economia con la vivacità di chi dispensa storie e favole per ragazzi. Del resto proprio a loro è rivolto il suo racconto: alla piccola Fanny, all’adolescente Fabian e alla diciottenne Felicitas, la più vecchia dei tre rampolli di casa Federmann al centro del «breve romanzo economico» (così suona il sottotitolo) del grande Hans Magnus Enzensberger, Parli sempre di soldi! edito da Einaudi nell’ottima versione di Isabella Amico di Meane con splendide illustrazioni di Riccardo Guasco.
Ancora una volta lo scrittore bavarese, classe 1929, l’ultimo di quella agguerrita schiera di autori che nel dopoguerra rifondarono la letteratura tedesca, si cala nei panni del pedagogo illuminato e corrosivo. L’aveva già fatto, in forma ben più fantasiosa in Storie raccapriccianti di bambini prodigio pubblicato nel 2007 col nome di Linda Quilt, traducendo favole e storie per ragazzi in spassosi apologhi per adulti. Del resto un certo côté favolistico lo ha sempre accompagnato fin dall’inizio, arricchito dal gusto per il paradosso e l’ironia pronte a distruggere certezze e a seminare inquietudini tra gli apologeti del capitalismo. Lui è rimasto l’intellettuale di un tempo nei suoi vari ruoli di poeta e critico, romanziere e drammaturgo, nemico del vuoto che ci scava dentro il progresso e fautore del pessimismo della ragione che, sotto sotto, sembra nutrire anche l’originale zia Fé.
Una signora della buona società, con una madre ebrea e un passato avventuroso, un bel po’ di quattrini e una villa sul lago di Ginevra con tanto di maggiordomo. Emigrata in America con i genitori al tempo del nazismo, aveva fatto la bella vita, frequentato la bohème newyorkese, girato il mondo e s’era sposata un paio di volte. Ora va a trovare, ogni tanto, i vecchi parenti, la famiglia Federmann che abita a Monaco di Baviera. E naturalmente alloggia in una suite del migliore albergo della città, il Vier Jahreszeiten. È qui che l’infaticabile prozia incontra i suoi nipoti per spiegare loro l’abbiccì dell’economia e introdurli nell’universo del denaro, «l’invenzione delle invenzioni» a sentire lei. Felicitas e Fabian si mostrano entusiasti e perfino la piccola Fanny partecipa non di rado con gioia a quello strano evento mentre gusta panini, marzapane e coppe di gelato, incuriosita dall’amabile incantatrice che sciorina storie e definizioni bizzarre.
Anche il lettore non sfugge alla bacchetta magica di zia Fé che trasforma il suo abbecedario in un racconto ricco di sorprese e curiosità. È il mago Enzensberger che ne guida il percorso traducendo i concetti più astrusi in godibili e chiare parafrasi. Non senza qualche escursione nei secoli passati quando parla della falsificazione del denaro o della creazione della cartamoneta che perfino Mefistofele elogia nel Faust, come ricorda la zia declamandone i versi. Ma alle banconote si aggiunsero col tempo ben altri foglietti, suggerisce l’insolita docente: cambiali, lettere di credito, assegni e un numero sempre maggiore di azioni, in origine artisticamente illustrate e dall’aspetto sfarzoso. Il quadro poi si arricchisce, fra l’altro, con le banche centrali, i fallimenti e i trucchi per ridurre il debito, l’inflazione (che, val la pena ricordarlo, viene dal latino flatus!), le aste pubbliche, la congiuntura e un tema oggi ben noto, e non solo ai più sprovveduti in materia, cioè i derivati, vere «armi di distruzione di massa della finanza».
Nelle sue infinite divagazioni la zia Fé ricorda lo strano ometto apparso in sogno al piccolo Roberto, protagonista del libro Il mago dei numeri: (1997), che per molte notti gli proporrà giochi di prestigio facendogli scoprire l’universo misterioso e affascinante della matematica. Anche allora Enzensberger, come ora nei panni di zia Fé, si mostrava nel suo duplice ruolo di uomo dotto e scrittore, pedagogo e affabulatore. Mentre il racconto segue una sua calcolata drammaturgia: stacchi, pause, divagazioni, discussioni coi nipoti, assenze prolungate della cara vegliarda. Perfino una gita in bus nella vicina Repubblica Ceca, un tuffo nella piscina del prestigioso hotel monacense, una visita con Felicitas a un’asta di oggetti smarriti e un’avventura sul sentiero dei pianeti, lungo il fiume Isar. Insomma queste strane lezioni di economia diventano l’occasione per un dialogo incalzante fra una gioventù ansiosa di risposte e una vecchiaia vivace e disincantata che cerca di far luce sui rischi dei labirinti finanziari aiutando a progettare un possibile futuro.
In realtà Enzensberger propone uno splendido apologo sul mondo moderno e le sue inevitabili contraddizioni, osservando le cose, come sempre, da un’ottica inusuale. Come quando parla del lusso a cui «dobbiamo i primordi del nostro benessere» e dell’epoca della Rivoluzione francese, in cui nacquero come funghi trattorie e bistrot. Per non parlare dei ricchi, ineluttabili come il tempo, uno strano zoo, di cui nessuna società è mai riuscita a sbarazzarsi: perfino il rivoluzionario Lenin guidava una Rolls-Royce esposta in un museo di Mosca. Gente comunque di altra levatura se paragonata ai vip di oggi, che compaiono in tivú e sui tabloid, calciatori, popstar, casalinghe con il bestseller e maestri della chiacchiera.
La zia Fé è troppo vecchia per cedere alle illusioni e sa che una società giusta, come la sogna il giovane Fabian, non è mai esistita. Ci hanno provato in tanti, ricorda, da Spartaco a Mao e Pol Pot, ma ogni tentativo è fallito. Il che non la esime dal tessere a sorpresa un elogio di Karl Marx che non era né un parolaio né un imbroglione. Sarà pure ricca la signora, ma ha anche una mente ben nutrita di passato e sa divagare senza preclusioni.
Se non fosse per quel malore che mette fine alla sua vita chissà quante storie potrebbe ancora raccontare. Ma ai nipoti come ai suoi lettori lascia in eredità un originale Vademecum con gustose annotazioni e citazioni letterarie sul denaro. È la giovane Felicitas, cui dobbiamo tutta questa storia che lo ha conservato in appendice. A lei è andata l’eredità della zia: certo un bel po’ di quattrini, ma soprattutto una sana lezione morale. Non si chiede che cosa farà dei soldi, ma piuttosto che cosa i soldi faranno di lei. Non certo una ricca ereditiera, avendo già donato un quinto del patrimonio. Perché ha deciso di guadagnare da sola nella vita quello di cui avrà bisogno. L’anziano Enzensberger non disdegna alla fine, come si vede, una piccola ma confortante dose di utopia.