Bibliografia
Veronica Raimo, Marco Rossari, Bambinacce, Milano, Feltrinelli, 2019.


Bambine in rima

Feltrinelli ha recentemente dato alle stampe Le bambinacce, raccolta di filastrocche di Veronica Raimo e Marco Rossari: un altro modo di guardare alla femminilità
/ 18.11.2019
di Laura Marzi

Abbiamo incontrato Veronica Raimo e Marco Rossari, autori insieme di una raccolta di filastrocche Le bambinacce, che a partire da un unico incipit «c’era una bambina…» raccontano in versi tematiche difficili da dire, dal sesso alla malinconia, passando per la vergogna e il desiderio. Lo fanno a partire da un punto di vista giocoso, che non ignora la complessità tragica dell’esistenza, la guarda di sghembo, forse: «non sappiamo come dovrebbe essere una bimba o una donna. Ogni donna crea un rapporto mutevole, faticoso, inebriante con l’altro sesso e con il proprio desiderio verso l’altro sesso. Trovare un equilibrio è difficile e forse non sempre è necessario. Bisogna forse imparare a vivere il desiderio e il rapporto con intelligenza e sensualità, senza scegliere mai un dogma». 

Siete entrambi scrittori di prosa. Da dove nasce questa raccolta di filastrocche, questa meravigliosa deviazione?
Probabilmente nasce proprio dalla voglia di emanciparsi da quello che oggi sembra diventato un diktat: se vuoi legittimarti come scrittore, devi scrivere un romanzo. Questo libro è nato per gioco, poi ci abbiamo preso la mano, ed è stato divertente per una volta tanto non star lì a fare schemini, ragionare sulla trama, i personaggi, accumulare appunti, angosciarsi dalla prospettiva di mesi da passare dietro al nuovo libro.

Potete raccontarci della fatica del verso e di quella della rima?
Non è tanto una fatica, quanto una piccola indagine, una quest, un movimento enigmistico verso l’eco. Nei versi abbiamo cercato di seguire l’orecchio, l’eco infantile, l’ecolalia. Quindi niente metrica stretta e più versi sciolti, liberi, scombinati, che poi tornavano nei ranghi all’appuntamento con la rima, come appunto una bambina che oscilla di continuo tra la marachella e la disciplina. È stato bello tornare nel regno fatato e insieme artefatto delle filastrocche.

Il tema del desiderio femminile è un caposaldo del femminismo della seconda ondata, una questione politica, certo, che come tale di rado viene affrontata con allegrezza. Voi avete scelto di dare al desiderio femminile la centralità necessaria, ma di scriverne giocosamente...
Recentemente per questo libro siamo stati invitati a un festival per prendere parte a un incontro dal titolo Il tabù del piacere femminile. Si può parlare davvero ancora di tabù? Una serie come Fleabag ha fatto incetta di premi quest’anno, e ci sembra un’ottima cosa, ma non vorremmo che dopo esserci ritrovati a parlare per anni di desiderio femminile da un punto di vista teorico e filosofico, oggi sia possibile farlo solo attraverso un’autoironia iper-consapevole. In questo libro ci siamo lasciati più trasportare da un senso del comico, da un gusto ludico, o da quello che Wittgenstein definirebbe il «non mi ci raccapezzo».

Tutte le filastrocche iniziano con «c’era una bambina…». Sarebbe bello poterle analizzare con voi, ma bisogna fare delle scelte. Inizierei con La bambina che aveva la malinconia: «È una bella compagnia? Non lo so, ma è mia». Vi va di dirci la vostra su questo rapporto d’elezione tra le donne, le bambine, e la malinconia?
Abbiamo esplorato temi diversi: c’è il sesso gioioso, quello perverso. C’è la libertà, ci sono i tabù. C’è la masturbazione, l’omosessualità, il sadomasochismo, ma anche semplicemente l’innamoramento in ogni declinazione. Poi a un tratto c’è venuto di scrivere una cosa sulla malinconia, quello sgomento vuoto e perfino dolce che ti prende da ragazzino e a cui non trovi facilmente un nome. È una delle tante bambine teneramente indolenti, che scelgono di non essere, di non vivere, di aspettare a scegliere, di cullare perfino il loro dolore.

Ne La bambina senza vergogna raccontate di una tragedia che può toccare le ragazzine: la diffusione su social della loro intimità. Lo fate ribaltando i ruoli di vittima e carnefice, trasformando la bambina senza vergogna in una regista. A una ragazza oggetto di dileggio e infamia e che la vergogna, purtroppo, la sente da morire, cosa direste?
Siamo i primi a non sapere come reagire di fronte a un’offesa o un’umiliazione. Sarebbe facile rispondere che bisogna avere coraggio e affrontare il mondo a testa alta. Nel caso di questa filastrocca, la bambina si appropria del torto subito rivendicandolo con orgoglio. È una strada. Ma abbiamo anche il timore che tutta questa nuova retorica sull’affermazione del sé, dall’empowerment alla mindfulness, finisca per generare un’ansia di prestazione insieme a un nuovo senso di inadeguatezza. Se ci sentiamo in dovere di ribellarci a tutti i costi, la ribellione in sé perde significato. Quando la parola d’ordine era «resistere!», gli Offlaga Disco Pax provocatoriamente proponevano uno slogan diverso: «desistere!» Ecco, non pensiamo che occorra per forza essere giovani eroine, si può anche essere pigre, timide, scombinate, indecise e caciarone.

Nelle filastrocche ci sono i maschietti e ci sono gli uomini e sono come sono: fantastici, orrendi oppure sono: «Tutto qua?», come esclama La bambina che voleva vedere un maschietto quando finalmente realizza il suo desiderio. Cosa crede una bimba femminista che non vuole essere separatista?
Non sappiamo come dovrebbe essere una bimba o una donna. Ogni donna crea un rapporto mutevole, faticoso, inebriante con l’altro sesso e con il proprio desiderio verso l’altro sesso. Trovare un equilibrio è difficile e forse non sempre necessario. Bisogna forse imparare a vivere il desiderio e il rapporto con intelligenza e sensualità, senza scegliere mai un dogma. I maschietti delle filastrocche a volte sono terribili, deludenti. Altre volte teneri, buffi. Ce n’è uno che s’è infilato abusivamente nel gruppo solo perché voleva far l’amore, ma che ci vuoi fare, concediamo un po’ di impertinenza perfino agli uomini.