Dove e quando
Milano, Piccolo Teatro Grassi, fino al 28 gennaio.


Antonio Barracano: un guappo o un capoclan?

«Il sindaco del rione Sanità» secondo Mario Martone al Piccolo Teatro Grassi di Milano
/ 22.01.2018
di Giovanni Fattorini

Da trentacinque anni il settantacinquenne Antonio Barracano fa da giudice e paciere nel rione Sanità, uno dei quartieri più popolari della vecchia Napoli. In gioventù ha commesso un omicidio di cui non si è mai pentito perché l’ucciso era un’autentica «carogna». L’assoluzione per legittima difesa, ottenuta grazie alla deposizione di testimoni prezzolati, lo ha portato a diffidare dei tribunali. Ha deciso pertanto di amministrare privatamente la giustizia per evitare che i poveri e gli ignoranti possano essere condannati pur avendo ragione, o che si facciano giustizia da soli, dando origine a una serie di ritorsioni e vendette sanguinose.

A tal fine si vale della collaborazione quasi forzata di un medico – il dottor Fabio Della Ragione – che pur non pensandola esattamente come lui offre assistenza clandestina a chi non può presentarsi in ospedale dopo essere stato accoltellato o colpito da un proiettile. Mortalmente ferito nel tentativo di comporre un aspro dissidio familiare, per scongiurare ancora una volta l’innesco di una catena di vendette Barracano disporrà in modo da far credere – con la complicità del medico – di essere deceduto per collasso cardiaco. Ma il dottor Della Ragione, rifiutando questo modo di intendere la giustizia, deciderà di redigere un veridico atto di morte, augurandosi – diversamente da don Antonio – che la violenza abbia libero corso: da essa, forse, potrà nascere il mondo «meno rotondo e un po’ più quadrato» per cui Barracano aveva inutilmente combattuto.

Nel 1990, conversando con Gerardo Guerrieri, Eduardo De Filippo disse che per la figura del protagonista aveva tratto spunto da un personaggio realmente esistito. «Si chiamava Campoluongo. Era un pezzo d’uomo bruno. Teneva il quartiere in ordine. Venivano da lui a chiedere pareri su come si dovevano comporre vertenze nel rione Sanità. [...] Questi Campoluongo non facevano la camorra, vivevano del loro mestiere, erano mobilieri». Chi era dunque Luigi Campoluongo? Era un pre-camorrista, un guappo, come lo è Antonio Barracano, che persegue la pace e la giustizia, ricorrendo anche all’intimidazione, in una zona che tiene sotto controllo. In un’intervista del ’79 (realizzata, cioè, diciannove anni dopo la composizione del dramma), Eduardo disse che don Antonio era una figura negativa; positiva era quella del dottor Fabio Della Ragione (personaggio dal fin troppo esplicito e programmatico cognome). Che nel ’60 lo giudicasse però in modo non del tutto negativo lo dimostra il fatto che la scena finale allude abbastanza chiaramente all’episodio evangelico dell’ultima cena, e che Barracano è visto come un Cristo tradito e sacrificato.

Adottando la formula – così abusata, così logora – dell’avvicinamento temporale, Mario Martone ha ambientato la vicenda ai giorni nostri. Antonio Barracano (Francesco Di Leva) è ora un uomo fra i trentacinque e i quarant’anni. Ha barba e capelli neri; un corpo agile e tonico che tiene quotidianamente in esercizio; un abbigliamento da macho modaiolo (pantaloni neri, camicia e gilet di pelle lucida). L’ampio soggiorno luminoso della sua casa di Terzigno è diventato una pedana quadrata con rari mobili di vetro e acciaio, senza pareti e circondata dal buio. Nella casa del rione Sanità, lo spazio e il mobilio sono gli stessi, ma poltrone e divano sono coperti da teli dorati: segni pacchiani di una ricchezza che si fatica a credere derivante dal possesso degli edifici e dei terreni di cui Barracano parla a Santaniello. Si è portati a credere, invece, che sia frutto di attività illegali. L’eloquio di don Antonio è quasi sempre aggressivo; i suoi gesti sono a tratti violenti (come quando non si limita ad assestare uno schiaffone al feritore di Palummiello, ma lo riempie di pugni mentre due dei suoi uomini lo tengono fermo).

Uno spettatore seduto alle mie spalle a un certo punto ha sentenziato: «è una gomorrata». La suggestione esercitata dalla serie televisiva è in effetti palese. I fatti cruenti che nel testo di Eduardo sono soltanto raccontati, nello spettacolo di Martone o sono esposti a voce ma con gesti fortemente mimetici (l’uccisione di Gioachino per mano del giovane Antonio), o sono esplicitamente rappresentati (il ferimento di Palummiello con un colpo d’arma da fuoco; l’accoltellamento di Barracano, eseguito però con una lama invisibile, per evitare, suppongo, l’accusa di naturalismo). Le contraddizioni più gravi derivano dal fatto che Martone (se si esclude il taglio del monologo finale del dottor Della Ragione, eliminato, penso, perché il suo augurio, nel corso del tempo, si è concretizzato in una incessante guerra di camorra) ha mantenuto sostanzialmente inalterato il testo eduardiano. Il risultato è che Barracano esprime pensieri da guappo «signorile» del 1960 e ha gesti e atteggiamenti da capoclan del 2017.

Il Barracano di Eduardo è una figura del passato. Ringiovanito di molto, e sottoposto a un parziale «ammodernamento» per non risultare del tutto inverosimile nella Napoli odierna, è diventato un personaggio incongruente e ben più che improbabile.