Impossibile trascorrere un inverno nell’affascinante e austera Ginevra senza imbattersi in un poster del festival Antigel. Colorati, intriganti e sempre innovativi (il design è affidato da qualche anno al messicano ginevrino d’adozione Pablo Lavalley) questi alieni di carta ammaliano i passanti trasportandoli in un mondo dal quale è impossibile uscire indenni. Il 2020 è stato un anno decisivo per la manifestazione che compie dieci anni, e non poteva e non voleva passare inosservata. Difficile per non dire impossibile descrivere in due parole l’Antigel tanto la sua programmazione è pluridisciplinare ed eclettica. Arti della scena, musica, performance, yoga, drag queens, arti culinarie e clubbing, senza dimenticare le esperienze partecipative «Made in Antigel», i cine concerti e le serate extravaganza gender free, il festival sul Lemano non conosce frontiere di genere. Malgrado un’offerta culturale e artistica che ai non addetti ai lavori potrebbe far girare la testa, la coerenza dell’Antigel si ritrova nella volontà di stuzzicare il suo pubblico portandolo là dove non è mai stato, in territori inesplorati ancora da conquistare.
Durante ventidue giorni (24 gennaio-15 febbraio), Ginevra si è aperta alla diversità, all’inclusione e all’innovazione artistica permettendo al suo pubblico di assaporare spettacoli inaspettati in luoghi altrettanto insoliti. Antigel non rivoluziona quindi solo le menti ma anche il territorio attraverso spettacoli partecipativi. Immancabili da questo punto di vista le produzioni «Made in Antigel» che permettono al pubblico di prendere attivamente parte allo spettacolo.
Come ogni anno la musica ha dominato regalando agli spettatori emozioni intense. Maestoso, elegante e ipnotico il live set del padre dell’afrobeat Tony Allen e Jeff Mills, re incontrastato della techno di Detroit, sorta di cerimonia condivisa alla ricerca di un’estasi musicale senza compromessi. I muri di cemento della Cave 12 hanno tremato grazie alle sonorità sperimentali ed elettroniche di Suzanne Ciani, sacerdotessa del design sonoro e fra le prime musiciste a padroneggiare il Buchla, un sintetizzatore modulare dai mille fili colorati che dà vita a ritmi velenosi e inaspettati. La musica elettronica è stata anche il leitmotiv delle serate Antigel, che quest’anno hanno invaso la gigantesca ex caserma des Vernets, un centro festivaliero (Grand Central) dall’allure berlinese che ricorda il rigore architettonico di club mitici quali Berghain e Tresor. Malgrado l’elettronica si sia imposta con forza, il folk e il rock non sono stati dimenticati: Kevin Morby, leader di una nuova generazione americana che dell’indie rock ha fatto il suo credo, Angel Olsen regina dark dalle sonorità misteriose e ammalianti, Philippe Katrine e il suo inimitabile pop anti macho lontano anni luce dalla pretenziosità artistica «à la française», Ride, i paladini dello shoegaze o ancora l’indie folk un po’ hipster di Devendra Banhart, senza dimenticare i pionieri della musica elettronica Kraftwerk, si sono imposti con forza devastante.
Come ogni anno le proposte legate alle arti della scena, danza in primis, sono state decisamente allettanti. Fare una selezione non è facile: gli spettacoli da acquolina in bocca sono molti ed il tempo a disposizione purtroppo non estensibile. Bisogna quindi mantenere il sangue freddo per reperire i nomi assolutamente imperdibili arricchendoli di qualche prelibatezza ancora sconosciuta. Quest’anno sono sei le portate che hanno composto il nostro menu ricco di sapori acidulati e regressivi (Jonathan Capdevielle), dolci e riconfortanti (Charlotte & Vera Nordin), rustici ed energizzanti (Simon Mayer e Oona Doherty) o vanigliati con una punta inaspettata di liquirizia (Annamaria Ajmone e Rafaële Giovanola), senza dimenticare ovviamente l’inebriante Ivo Dimchev. Ritrovare il mitico artista, performer, attore e coreografo bulgaro nelle vesti di cantante è stata un’esperienza davvero singolare. Avendolo scoperto sulla prestigiosa scena del Kaaitheater di Bruxelles dove è stato in residenza per molti anni creando spettacoli radicali spesso conditi di scene crude e trasgressive, non ci saremmo aspettate di riscoprirlo in questo nuovo ruolo. Fedele al suo spirito camaleontico (LGBTIQ) che si insinua dove nessuno se l’aspetta, lo statuario e intrigante performer non ha avuto paura di reinventarsi imponendosi, nel 2018, come uno dei personaggi chiave della trasmissione televisiva X Factor UK. Da quest’esperienza che l’ha aperto a un pubblico molto più vasto e variegato è nato Live, un concerto-performance che non assomiglia a nessun altro, ricco d’una grazia velenosa che lascia senza parole. Anche lui caratterizzato da uno spirito trasgressivo ma questa volta più volutamente adolescenziale, Jonathan Capdevielle ha saputo, con il suo ultimo lavoro Rémi, tratto dal romanzo Sans famille di Hector Malot, trasportarci in un universo onirico fra ingenuità e crudeltà. L’alter-ego di Gisèle Vienne si impone ancora una volta come uno degli interpreti-performer più audaci e interessanti della sua generazione. Di audacia non ne manca di sicuro nemmeno all’irlandese Oona Doherty, lupa alla testa di una muta di belve selvagge che ondeggiano al ritmo di una musica dal sapore seventies. Dopo aver a lungo esplorato gli stereotipi maschili spogliandoli della loro abusività, Oona Doherty libera la forza vitale e sessuale che si annida nelle sue interpreti. Misteriose e anticonvenzionali anche le quattro ballerine di Rafaële Giovanola (Vis Motrix) che attraverso movimenti presi in prestito dalla break dance e dal krumping sembrano trasformarsi in materiale gommoso e malleabile. Ad accompagnare Vis Motrix ritroviamo Trigger del giovane prodigio della danza contemporanea italiana Annamaria Ajmone. Un’esplosione sconcertante di suoni (del genialissimo Palm Wine), gesti e mimiche ipnotiche che trasformano la scena in un vero e proprio safari. Imperdibile anche SunBengSitting dell’austriaco Simon Mayer che, nudo in scena, fa dialogare in tutta libertà folclore austriaco e sperimentazione viennese. A scaldarci il cuore ci ha pensato Charlotte Nordin, mettendo in scena il complesso rapporto instaurato con la figlia Vera, bambina affetta da polihandicap, grazie alla terapia alternativa CPA (Comunicazione profonda accompagnata).