Non era soltanto un atelier quello aperto nel 1954 a Biasca, in via Lucomagno, dalla ceramista Raffaella Columberg e da sua sorella Cerere: era bonariamente chiamato «la baracheta» ed era un vero e proprio punto di ritrovo per i giovani del paese che qui si incontravano per discutere di arte, di società e di politica.
Anche quando negli anni Sessanta le due sorelle si trasferiscono in zona ai Grotti, nella spaziosa casa-chalet di famiglia circondata da grandi alberi di castagno, non viene meno il loro spirito di accoglienza che fa della nuova sistemazione un luogo altrettanto amato e abitualmente frequentato da pittori, scultori, architetti e intellettuali. Con Raffaella artista e Cerere impegnata in ambito politico e sociale (sebbene fosse anche preziosa assistente della sorella), l’abitazione diventa una fucina d’arte e di pensiero, uno spazio aperto alla pratica e al dibattito.
Proprio con la ricostruzione dello studio dei Grotti si apre la mostra, curata da Daniele Agostini, che la Pinacoteca Züst di Rancate dedica a Raffaella Columberg a dieci anni dalla sua morte. Mentre gli strumenti del mestiere, le prove per la preparazione degli smalti e i libri sulla tecnica ceramica ci raccontano come l’artista di origini biaschesi sperimentava e ideava le sue opere, alcuni lavori degli «amici di Raffaella» ci raccontano il fervido contesto culturale in cui si è mossa, animato da assidui contatti con figure di spicco ticinesi e internazionali.
Ad arricchire la formazione della Columberg ci sono gli studi a Zurigo, le frequentazioni nei primi anni Cinquanta delle lezioni di Leoncillo Leonardi a Roma e negli anni Sessanta dei corsi all’Istituto Statale d’Arte di Faenza, dove inizia anche a lavorare nel laboratorio aperto dal ceramista greco Panos Tsolakos. Un’occasione, quest’ultima, che si dimostra estremamente importante per l’artista sia per i rapporti instaurati con gli esponenti del vivace gruppo gravitante attorno all’atelier faentino sia per il saldo legame con lo stesso Tsolakos, sua guida e mentore.
Ci sono poi anche i numerosi viaggi in Europa e Oltreoceano, preziose opportunità per raccogliere nuovi spunti da rielaborare nel silenzio dello studio di Biasca: sebbene fortemente legata alla terra ticinese, la Columberg alimenta sempre la sua arte con esperienze cosmopolite, sintomo della sua curiosità e dell’attitudine a confrontarsi con linguaggi espressivi differenti.
Estrosa e innovativa, Raffaella Columberg ha dato un contributo non trascurabile allo sviluppo dell’arte ceramica nel nostro cantone, raggiungendo esiti di notevole interesse in un percorso di ricerca segnato dalla sperimentazione e dalla capacità di veicolare messaggi profondi. È proprio grazie alla sua dedizione e alla sua inventiva che le si può attribuire ampio merito nella riabilitazione di questa forma d’arte, ancora considerata dai più una semplice pratica artigianale.
Con questo medium antichissimo e molto duttile la Columberg ha dato vita a opere di diverso genere in cui non è mai venuta a mancare l’attenzione all’originalità. Partendo da materie prime locali, l’artista era solita produrre da sé quasi tutti i semilavorati compresi gli smalti utilizzati nella decorazione, a dimostrazione della sua abilità in tutte le fasi del processo creativo e della volontà di ottenere risultati inediti.
La mostra di Rancate documenta bene la variegata produzione della Columberg, il cui filo rosso è rintracciabile proprio nell’inesausta esplorazione della materia attraverso la forma e il colore.
Nella prima delle quattro sezioni in cui è suddivisa l’esposizione troviamo una serie di manufatti legati alla vita quotidiana. Si tratta di piatti, ciotole, tazze, teiere, vassoi e gioielli dagli smalti brillanti e dalle eleganti decorazioni che testimoniano l’alta considerazione della Columberg per l’oggetto, trattato come un’opera d’arte unica e irripetibile.
Dai lavori presentati nel nucleo successivo si evince con maggior chiarezza quanto per la Columberg sia stata importante l’indagine formale, pungolata soprattutto dagli studi a Faenza e dalla frequentazione di Tsolakos. Qui troviamo opere in cui l’artista si focalizza sui volumi, creando sculture geometriche a incastro che vengono scomposte e ricomposte.
Oltre agli aspetti più prettamente stilistici la Columberg ritiene fondamentali quelli contenutistici, peculiarità evidente soprattutto nelle ceramiche delle due ultime sezioni, in cui sono raccolti lavori che richiamano ora le vicende più controverse del suo tempo, come ad esempio l’inquietante Centrale di Černobyl’ o il tragico Trittico dei busti, ora temi sociali e spirituali a lei cari quali la disuguaglianza, l’emarginazione e la solidarietà.
Guardando queste opere vengono alla mente le parole di Leoncillo Leonardi racchiuse in un brano del suo Piccolo diario: «Creta, creta mia, materia mia artificiale, ma carica per metafora di tutto ciò che ho visto, amato, di ciò a cui sono stato vicino, delle cose che ho dentro, con cui, in fondo, mi sono, volta per volta, identificato».