Dove e quando
Albrecht Dürer e il Rinascimento fra la Germania e l’Italia. A cura di Bernard Aikema. Palazzo Reale, Milano. Fino al 24 giugno. Catalogo con l’indice dei nomi 39 euro. www.mostradurer.it

Albrecht Dürer, San Girolamo (ante 1496), olio su tavola (© 2018. Copyright The National Gallery, London/Scala, Firenze)


Alla ricerca della bellezza perduta

Albrecht Dürer a Palazzo Reale di Milano
/ 12.03.2018
di Gianluigi Bellei

La Riforma protestante del XVI secolo non ha avuto soltanto riflessi sulla vita ecclesiastica e religiosa, ma anche su quella artistica. Il dibattito sull’utilizzazione delle immagini è infatti uno dei campi di battaglia fra cattolici e protestanti. Tutto è cominciato nel 1522 a Wittenberg con Andreas Bodenstein von Karlstadt (Andrea Carlostadio) il quale sosteneva che le immagini sacre fossero una forma di idolatria e servissero al controllo delle masse.

È iniziata così la distruzione delle icone e dei dipinti religiosi che da Wittenberg si è diffusa, anche grazie a Ludwig Hätzer, a Zurigo, Norimberga, Strasburgo. Questo perché le immagini potevano portare alla tentazione; soprattutto quelle del Cristo nudo. Ciò ha spinto i contadini alla cosiddetta «Bildersturm», all’iconoclastia, che ha portato alla distruzione degli altari e dei tabernacoli. Molti gli artisti che hanno preso parte alla sollevazione con esiti infausti, come riportano Rudolf e Margot Wittkower. Tilman Riemenschneider è stato messo in prigione e torturato; Jerg Ratgeb è stato imprigionato e squartato in piazza; Georg Pencz e i fratelli Barthel e Sebald Beham sono stati imprigionati; Hans Herbst è stato imprigionato e rilasciato solo dopo una pubblica ritrattazione; Matthias Grünewald è stato costretto all’esilio.

Nella disputa dell’ottobre 1525 Huldrych Zwingli ha rifiutato l’utilizzazione delle immagini sia in ambito pubblico sia privato. Alcuni esponenti moderati della Riforma, come Erasmo da Rotterdam e Martin Butzer, invece distinguevano fra un loro uso buono o cattivo. Questo ha portato a una diminuzione delle ordinazioni dei dipinti. Ma non solo. Già nel 1452 Giovanni da Capestrano nei suoi sermoni invitava a bruciare ogni tipo di vanità, dalle slitte ai dadi, dalle tavole da gioco agli abiti di moda. Insomma, un periodo di crisi; solo due corporazioni se ne sono avvantaggiate: quella dei pittori di vetrate e quella degli orefici.

Massima espressione pittorica di questo secolo inquieto, fra luci e ombre, come scrive Marcel Brion ne La pittura tedesca, è Albrecht Dürer con la sua opera «multiforme e composita». Colui che meglio incarna l’anima della Riforma e, contemporaneamente, quella dell’artista come intellettuale. Dürer nel 1518 partecipa alla Dieta di Augusta per discutere assieme all’imperatore Massimiliano I, Martin Lutero, il canonico Johann Tetzel e Federico di Sassonia sulle novità insite nella Riforma per cercare una conciliazione fra le due anime della cristianità.

La sua è una costante ricerca della bellezza, anche se alla fine della carriera scrive: «Was aber die Schönheit sei, das weiss ich nicht» (ma cosa sia la bellezza, io non so). Filippo Melantone, amico di Lutero e di Dürer, scrive nel 1546: «Da vecchio ha iniziato a guardare la natura cercando di tenere conto del suo aspetto inalterato. Allora ha compreso che proprio questa semplicità è il sommo decoro dell’arte. Non potendola realizzare appieno egli, come disse, non ammirava più come un tempo le sue opere, bensì spesso sospirava quando osservava i suoi dipinti, pensando alle loro imperfezioni».

Nel 1500 si ritrae come Cristo benedicente; un dipinto forse blasfemo ma che, nella rappresentazione di un forte ego, riflette lo status sociale dell’artista. La sua bottega è la principale di Norimberga con collaboratori di prim’ordine. Amato, stimato e ricco. Nel 1519 per 200 incisioni del ritratto del cardinale Alberto di Brandeburgo riceve 200 fiorini d’oro. Niccolò Macchiavelli a titolo di paragone, anche se la moneta toscana ha un valore più elevato, è pagato come segretario della Repubblica fiorentina con 128 fiorini d’oro all’anno.

I suoi lavori subiscono l’influenza del Rinascimento italiano che scopre durante due viaggi: nel 1494 e nel 1505-1506. Qui studia Giovanni Bellini, Jacopo de’ Barbari e soprattutto Leonardo da Vinci con i suoi disegni e le sue riflessioni teoriche. A seguito del secondo viaggio in Italia inizia a scrivere una serie di trattati sulle proporzioni e la prospettiva. Nel 1525 pubblica Underweysung der Messung mit dem Zirkel und Richtscheyt (Istruzioni sulle misurazioni con riga e compasso). Postumo l’opera sulle proporzioni umane (Proportionslehre, 1528); mentre rimane incompiuta e frammentaria la sua opera maggiore Speis der Malerknaben pubblicata a cura di Konrad von Lange e Franz Louis Fuhse nel 1893.

A Palazzo Reale di Milano è in corso un’esposizione incentrata sui rapporti fra il Nord e il Sud delle Alpi seguendo i viaggi e lo sviluppo artistico di Dürer. Tema sicuramente più stimolante per il pubblico italiano che il dibattito, pur fondamentale, riguardo l’uso delle immagini fra Riforma e Cattolicesimo e sul ruolo dell’artista in questo contesto. 

Non si tratta della solita mostra monografica tradizionale, ma tematica nella quale Dürer è il «protagonista di un cambio di passo paradigmatico», come sostiene il curatore Bernard Aikema. Una mostra geografica, forse, nella quale il Rinascimento non viene letto come un ritorno al naturalismo classico bensì come periodo di circolazione delle idee e delle forme artistiche in un’Europa interregionale che pone le radici di quella moderna e attuale. Insomma, una storia della diffusione, dell’intreccio e del rapporto con l’altro per misurarsi e confrontarsi. Un Rinascimento che non si presenta «come un movimento centrifugo, che parte dalla norma classica di origine italiana, ma come un fenomeno composito, che nasce da dialoghi e da momenti di trasmissione particolarmente intensi e fecondi», come scrive il curatore in catalogo. Viaggi di formazione, ma non solo. Senza negare il fatto evidente che questi siano avvenuti prevalentemente da Nord verso Sud e soprattutto che erano rischiosi, complicati e costosi.

Centrale il dibattito sul primo viaggio di Dürer in Italia nel 1494. Già nel 1913 si discuteva se questo fosse realmente avvenuto, come testimoniano Moritz Thausing e Wilhelm von Bode, e messo in discussione ancor oggi. Questo fantomatico primo viaggio appare nella letteratura artistica solo nel 1865 all’interno di una tipica lettura di imitatio e superatio. Una lettura idealistica che vede il primo viaggio come esplorativo e il seguente come formativo. Ma, come si diceva, sono anni di grande circolazione di oggetti e non di viaggi. Da Augusta o da Norimberga ogni settimana partivano, e tornavano, convogli di mercanzie e oggetti d’arte per Venezia ove si trovava il centro commerciale del Fondaco dei Tedeschi.

In ogni caso è proprio a Venezia che Dürer realizza alcune opere come La festa del rosario, il Cristo fra i dottori e il Ritratto di giovane veneziana che dialogano con le opere di Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio e Alvise Vivarini.

In mostra troviamo 130 opere: 12 dipinti di Dürer, 3 acquarelli e 60 disegni, incisioni, libri in edizione originale e manoscritti, oltre a opere di suoi contemporanei come Lucas Cranach, Hans Baldung Grien, Martin Schongauer e Tiziano, Giorgione, Andrea Mantegna, Leonardo da Vinci e Andrea Bellini.

Parte centrale dell’esposizione sono le incisioni. Tecnica imparata durante il suo apprendistato presso Michel Wolgemut. Ed è proprio nell’incisione, su legno o su metallo, che Dürer raggiungerà quella perfezione e quella sintesi che lo renderanno così importante e imitato. In mostra i cicli dell’Apocalisse e della Grande Passione. Quest’ultimo, composto da 11 xilografie realizzate fra il 1498 e il 1510, è il risultato di un’attività giovanile che offre una monumentalità unita a un effetto luministico preziosissimo. Da più parti si sono letti questi legni come critica nei confronti del potere pontificio e germe della Riforma. Ma è già con Adamo ed Eva del 1505 che i suoi studi sulle proporzioni umane tratti dai testi di Luca Pacioli e Jacopo de’ Barbari trovano una sintesi prima di arrivare a capolavori come San Girolamo nello studio del 1514 vera e propria «pietra miliare dell’incisione» e massimo esempio di organizzazione prospettica e fusione dello spazio con l’elemento luministico.