Davvero vogliamo sapere chi ha ucciso Laura Palmer, la reginetta del liceo di Twin Peaks ritrovata nel sacco di plastica in riva al lago? Non è detto, per vari motivi che ora proviamo a elencare. Primo: le due stagioni precedenti della serie ideata da David Lynch e Mark Frost nel 1990 avevano tempo a sufficienza per svelare il mistero, e invece facevano di tutto per infittirlo, aggiungendo personaggi, misteri, possessioni diaboliche, richiami telepatici. Puntata dopo puntata, l’agente dell’FBI Dale Cooper beve caffè nero e mangia crostata di ciliegie, scoprendo che nella tranquilla cittadina ai confini con il Canada il male ha fatto radici.
Non è detto che la terza stagione abbia intenzione di scioglierli, i nodi. Un cast di oltre duecento attori – con partecipazioni speciali di Naomi Watts, Michael Cera, Laura Dern, Jim Belushi, Monica Bellucci, era previsto anche David Bowie che nel frattempo è morto – sembra poco adatto a costruirci su una trama solida. Lo stesso vale per il copione, che nella prima versione era lungo 500 pagine.
Secondo: venticinque anni non sono passati invano, da quando per la prima volta i rintocchi della sigla firmata da Angelo Badalamenti risuonarono sinistri nei nostri salotti con l’apparecchio a tubo catodico (o forse sinistri diventarono dopo, quando il sacco di plastica e i brillantini sulla fronte di Laura Palmer diventarono icone riconoscibili e parodiabili). Per la televisione, innanzitutto. David Lynch fece da battistrada, a quei tempi lavorare per il piccolo schermo (non solo per i registi, anche per gli attori) era come dichiarare al mondo che non avevi offerte migliori.
Oggi succede il contrario: dopo il successo di serie come Mad Men di Matthew Weiner e I Soprano di David Chase, i registi di cinema – a cominciare da Martin Scorsese, che nel 2010 ha diretto la prima puntata di Boardwalk Empire – fanno la fila per lavorare in televisione. Tempi più rapidi, e maggior coraggio nel dare il via a progetti adulti e di nicchia, mentre Hollywood sembra interessata solo ai supereroi o ai sequel: la lista delle uscite estive americane non promette che giocattoloni rumorosi.
Intanto Martin Scorsese è passato dalla tv via cavo alle piattaforme streaming. Netflix – quest’anno a Cannes nel ruolo della multinazionale cattiva – produrrà il prossimo film del regista, The Irishman, rifiutato dalle principali case di produzione. Ha sborsato 100 milioni, per un cast con Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel. Non si capisce perché non possa destinarlo ai suoi abbonati saltando l’uscita in sala – se le leggi locali non permettono la contemporaneità tra i due canali distributivi. E non c’è motivo perché un futuro Festival di Cannes lo rifiuti in concorso, accettando il ricatto dei distributori come è accaduto quest’anno.
Intanto nella Selezione Ufficiale – parole che il direttore Thierry Fremaux pronuncia sempre con solennità – le produzioni televisive che nel 2010 avevano dato scandalo con la miniserie Carlos di Olivier Assayas nel 2017 sono state accolte con tutti gli onori. C’è Top of the Lake: China Girl di Jane Campion, unica donna ad aver vinto la Palma d’oro con Lezioni di Piano. E c’è appunto la terza stagione di Twin Peaks. In anteprima, speravamo. Niente affatto, i festivalieri l’hanno vista quattro giorni dopo gli spettatori americani. Per non parlare dei fortunati che hanno sfruttato il Twin-Leak: per un paio d’ore, sul servizio on demand di Sky, Twin Peaks era disponibile prima del fatidico 21 maggio.
Terzo. Non stiamo svegli la notte a interrogarci su chi ha ucciso Laura Palmer perché 25 anni sono passati anche per David Lynch. Il regista che per primo forzò le convenzioni della tv, lavorando dall’interno, è diventato un cultore della libertà estrema, e chi se ne frega dello spettatore: chi ha visto un delirio intitolato Inland Empire – L’impero della mente può capire. Dopo Mulholland Drive e Una storia vera, il crollo è stato precipitoso, mentre il regista si dedicava alla meditazione e alla pittura.
Non vogliamo sapere chi ha ucciso Laura Palmer, vogliamo solo riprovare il brivido di quella televisione. Nostalgia canaglia (le canzonette hanno sempre la formula felice per descrivere i nostri sentimenti più elevati). La stessa nostalgia esibita qualche giorno fa sul sito del Post, da Luca Sofri che ha riscoperto il vinile, il giradischi, il disco tolto dalla busta frusciante, e ne parla con toni liricheggianti. Se poi, come Mark Frost promette, All will be revealed, sarà tutto di guadagnato.