Durante tutto l’Ottocento la vita intellettuale e artistica parigina era divisa, si fa per dire, fra i cenacoli e i Salon. I primi – come quello della Rue Royale i cui rappresentanti furono immortalati in un celebre dipinto di James Tissot nel 1868 – servivano sia alla carriera che alla creazione di una rete sociale influente. Frequentati da artisti, critici e scrittori erano un trampolino di lancio verso la notorietà. Marcel Proust ne dà un resoconto impietoso e «acido». In questi cenacoli contavano soprattutto le ragioni politiche, le origini sociali e il capitale finanziario. I Salon, al contrario, rappresentavano l’ufficialità dello Stato.
Tutto è cominciato all’Académie des Beaux-Arts. Questa era una sezione dell’Institut de France guidato da quaranta membri eletti a vita che consigliavano gli acquisti di opere per lo Stato e selezionavano gli studenti per l’ammissione all’École des Beaux-Arts. Ai migliori la scuola consentiva l’accesso al famoso Prix de Rome che consacrava il giovane artista e gli prometteva fama, onori e una vita professionale sicura. I membri dell’Académie selezionavano anche gli studenti che dovevano partecipare al Salon. Una gerarchia con meccanismi perfettamente oliati e chiusi alla quale alcuni si opponevano preferendo studiare nelle sale del Louvre, a diretto contatto che le opere, o frequentando degli istituti privati, come quelli di Gleyre, l’Académie Julian o l’Académie Suisse.
Il Salon veniva organizzato ogni due anni fino al 1833, poi ogni anno; a parte il periodo compreso fra il 1852 e il 1863. Diventò con gli anni sempre più grande. I dipinti erano appesi alle pareti uno sopra l’altro. I visitatori aumentarono anche loro esponenzialmente. Sarebbe lungo raccontare la storia di questa istituzione. Diciamo che la giuria, per esempio, durante la Restaurazione era formata da critici, funzionari e artisti. Venivano pertanto accettate opere diverse da quelle ufficiali e accademiche e artisti quali Géricault o Delacroix. Durante la Monarchia di Luglio, al contrario, la giuria era composta esclusivamente da membri dell’Académie e di conseguenza chiusa alle novità.
Émile Zola descriveva le inaugurazioni dei Salon come si potrebbe fare oggi per un qualsiasi vernissage. Le famiglie dei pittori davanti alle tele, i pittori con le amanti, una Sarah Bernhardt che saluta la folla, due linguacciuti che bofonchiano davanti a un’opera, il tizio che fa dello spirito con le signore, il buffet di mezzogiorno «coperto, camerieri, le sale si svuotano», le carrozze, la fiumana di persone che arriva, le sciocche frasi del pubblico che entra e che dopo un piovasco sa di cane bagnato, i fiori dei cappelli femminili che contrastano con quelli neri maschili, le donne con gli occhialini, i custodi in uniforme. Le frasi udite: avete visto la mia roba, oh una sciocchezza, non ci capisco granché, ah, quell’orrore.
Charles Baudelaire, invece, nei suoi scritti ne dà un taglio maggiormente critico. Nell’introduzione al Salon del 1845 sosteneva che il suo metodo consisteva semplicemente nel dividere i lavori in quadri storici, ritratti, quadri di genere, disegni e sculture; di «collocare gli artisti secondo l’ordine e il grado che la stima pubblica ha loro assegnati». Anche se non sottaceva la sua predilezione per Delacroix.
Dal 1864, accanto al Salon ufficiale, Napoleone III istituì il Salon des Refusés al quale partecipavano gli artisti rifiutati. Questo è l’anno convenzionale con il quale si fa iniziare l’Impressionismo.
Quello che qui è interessante notare è come a quei tempi gli artisti dei Salon erano osannati mentre tutti gli altri sempre derisi. In seguito, con l’ascesa di un’agguerrita borghesia e di galleristi-mercanti senza scrupoli come Paul Durand-Ruel, la situazione si è capovolta. Gli artisti rifiutati diventavano i veri artefici della storia dell’arte e gli altri venivano dimenticati e chiamati spregiativamente pompier. In questi ultimi decenni la situazione è nuovamente cambiata e gli artisti dei Salon rivalutati, come testimoniano la svariate esposizioni a loro dedicate (vedi per esempio Jean-Léon Gérôme al Musée d’Orsay, «Azione» 10 gennaio 2011, e Charles Gabriel Gleyre sempre al d’Orsay, «Azione» 2 agosto 2016).
Chi fosse interessato a notizie dettagliate sui Salon, e le altre esposizioni collaterali, dal 1675 al 1914, anno per anno, autore per autore, quadro per quadro, può consultare la pagina salons.musee-orsay.fr.
In questi mesi il Kunsthaus di Zurigo propone una mostra – a cura di Sandra Gianfreda e con opere provenienti da musei quali il Louvre e il d’Orsay di Parigi, l’Art Institut di Chicago e il Metropolitan Museum of Art di New York – che si propone di ribaltare ulteriormente la situazione. Cento dipinti realizzati fra il 1820 e il 1880, uno accanto all’altro, divisi solo dall’argomento, con lo scopo di mostrare quanto i vari artisti avessero tutti una base comune. Indipendentemente dalla loro appartenenza al filone accademico o meno. Anzi, si spinge oltre prospettando la tesi secondo la quale gli artisti accademici siano stati innovativi al contrario degli avanguardisti.
D’altronde le categorie storico-critiche alle quali siamo abituati non sono altro che una sintesi di concetti dati a posteriori e spesso in forma dispregiativa. Infatti le definizioni di Gotico, Barocco, Impressionismo hanno radici nel disprezzo. Gotico significa arte da Goti cioè da barbari; Barocco deriva da «barrueco» che designa le perle non tonde ma mostruosamente bitorzolute. Robert Rosenblum definisce questi concetti simili a «camicie di forza semantiche che è divenuto impossibile sia usare che abbandonare». E soprattutto che cambiano di significato con il tempo.
Una mostra, questa zurighese, fuori dagli schemi, ma non tanto, tutta da vedere, anche se non ci sono i capolavori assoluti del periodo. Sei le sezioni: I dipinti di storia; Le immagini dell’Oriente; Scene di vita contemporanea; L’erotismo del corpo; Ritratti e nature morte nello studio; La raffigurazione della natura fra idealismo e realtà.
Fra le opere La campagna di Francia di Ernest Meissonnier, Giovani ragazze spartane che sfidano i ragazzi di Edgar Degas, le visioni dell’Oriente di Alexandre Cabanel e di Eugène Delacroix, Ballo all’opera di Eugène Giraud, i nudi di Gustave Courbet, Charles Gleyre, Jules Dalou, il ritratto di Napoleone di Paul Delaroche… Alcuni dipinti molto simili, altri particolarmente innovativi o con un linguaggio personale (come per Delacroix, ad esempio) da vedere tutti assieme; questa volta senza preconcetti.