Di Georges de La Tour ancor oggi si sa ben poco. Mancano documenti d’archivio e sono esigui i dipinti firmati. E pensare che in vita era sicuramente molto famoso e ricco tanto che divenne il «pittore del re», titolo assegnatogli da Luigi XIII nel 1639. Quaranta i dipinti a lui attribuiti.
Pochi e non certi. Pochi, dato che La Tour aveva una sua bottega a Lunéville. Fra il 1620 e il 1651 qui furono firmati cinque contratti di apprendistato con Claude Baccarat, Charles Roynet, François Nardoyen, Chrétien George e Jean-Nicolas Didelot. Unicamente in qualità di garzoni, però, impiegati «a mescolare i colori e a preparare le tele». Naturalmente Georges lavorava assieme al figlio primogenito Étienne il quale viene indicato sommessamente da più parti, senza prove, come collaboratore di zone meno riuscite dei dipinti. Insomma, una bottega organizzata e redditizia.
Non certi, perché a quei tempi la firma sui dipinti non significava automaticamente che il quadro era stato realizzato dal firmatario anche perché «dipingere equivaleva ancora a confezionare un oggetto artigianale». Dalle sue bellissime firme, molto diverse fra loro, possiamo pensare che Georges fosse un uomo colto. Colto ma «brutale e arrogante», come scrive Pierre Rosenberg, preoccupato unicamente della propria ascesa sociale. In più si rende «odioso al popolo per la quantità di cani, levrieri e spaniel, che alleva».
Figlio di un fornaio, nel 1617 sposa Diane Le Nerf, figlia del controllore delle finanze del Duca di Lorena. Da quest’ultimo nel 1620 riceve il privilegio dell’esenzione da ogni tipo di imposta, vita natural durante. Dopo la morte cade nell’oblio. Sino a che, nel 1915 e successivamente nel 1928, lo storico dell’arte Hermann Voss recupera alcuni documenti d’archivio che porteranno alla sua resurrezione grazie alla mostra del 1934 all’Orangerie di Parigi, curata da Charles Sterling, Les peintres de la réalité en France au XVIIe siècle.
Tredici i dipinti allora presentati. Saranno, però i pittori cubisti e metafisici del primo Novecento a decretarne la grandezza. Le altre esposizioni del 1972, con 31 opere, e del 1997, sempre a Parigi, lo tolgono definitivamente dall’oblio.La cronologia delle opere è controversa. Per molto tempo si è divisa la sua produzione in due periodi: quello giovanile con i dipinti «diurni» e quello della maturità con quelli «notturni». In generale oggi si preferisce ritenere che le due categorie si possano interscambiare. Come forse dimostrano i due lavori datati con certezza: San Pietro e il gallo di Cleveland del 1645 e La negazione di Pietro di Nantes del 1650 che farebbero pensare a un’opera giovanile il primo e tarda il secondo. Anche se a dire il vero nel periodo della maturità i «notturni» sono sempre più numerosi.
Altra questione riguarda il fatto se La Tour fosse o meno un seguace di Caravaggio. Non c’è nessuna prova che sia stato a Roma e Jean-Pierre Cuzin nel 1997 ritiene che le sue fonti ispiratrici vadano ricercate piuttosto nella pittura lorenese di Jacques Callot, Jean Le Clerc e Jacques Bellange, mescolata a quella di alcuni caravaggeschi olandesi quali Dirck van Baburen, Hendrick Ter Brugghen e Gerrit van Honthorst.
Ma qual è il significato delle sue opere? Anche qui l’incertezza la fa da padrona. Renaud Temperini sostiene che questo sarà per lungo tempo oggetto di discussioni. Indubbiamente nei suoi dipinti si possono intravvedere tracce delle indicazioni dettate dal Concilio di Trento, come una certa spiritualità francescana mescolata a una moralità stoica. Il rifiuto delle «illusioni mondane e la ricerca delle certezze metafisiche». Proprio come affermava Pascal, secondo il quale «tutti i mali dell’uomo discendono da una sola cosa, non sapersene stare tranquillo in una stanza».
Dopo l’esposizione nel 2011 a Palazzo Marino di Milano con due opere provenienti dal Louvre, L’Adorazione dei pastori e San Giuseppe falegname, in questi giorni possiamo farci un’idea più precisa del suo lavoro a Palazzo Reale, sempre a Milano. La mostra presenta quindici opere provenienti dalle maggiori istituzioni internazionali ed è curata da Francesca Cappelletti e Thomas Clement Salomon, con un comitato scientifico di prim’ordine composto fra gli altri da Pierre Rosenberg, già direttore del Louvre, Gail Feigenbaum, direttrice del Getty Research Institute e Annick Lemoine, direttore del Musée Cognacq-Jay.
L’esposizione è organizzata in otto sezioni tematiche: dalla Maddalena agli apostoli, dal realismo alla solitudine. Il tutto con l’aggiunta di una discreta scelta di opere coeve. Da citare una delle quattro Maddalene penitenti conosciute e il San Giovanni Battista nel deserto – attribuito a La Tour nel 1993 da Pierre Rosenberg – nel quale un magrissimo adolescente dai lisci capelli lunghi sfama un agnello; una tela quasi monocromatica, che ricorda l’ascetismo e il nulla.
Qui però è meglio sottolineare il lungo saggio in catalogo di Dimitri Salmon che prende in considerazione l’indefinibile indefinitezza di tutto quanto ruota attorno alla sua opera: il valzer delle attribuzioni e quello della cronologia. Mettiamola così: sino all’inizio del secolo scorso l’artista era praticamente sconosciuto. Poi con la prima esposizione si sono fatti avanti i mercanti, i conoscitori, gli storici… Ognuno di loro aveva l’interesse (monetario) a scoprire un suo lavoro. Secondo Salmon almeno 150 dipinti sono stati negli anni seguenti considerati come autentici. Opere di Gerard Seghers, Trophime Bigot, Gerrit van Honthorst, Adam de Coster, Godfried Schalcken, Paul La Tarte… e tanti altri. Si attribuiva una tela a La Tour e poi magari se ne scopriva una simile ma di fattura migliore e così si declassava la prima.
Questo tourbillon si ripercuote ovviamente sulla datazione delle opere e sulla cronologia, con grande imbarazzo degli specialisti interessati. La Maddalena Fabius – chiamata così dal nome di un suo proprietario, proveniente dalla National Gallery of Art di Washington e in mostra a Milano – è stata collocata da Sterling intorno al 1635-45, da Cuzin nel 1638, da Rosenberg e Thuillier nel 1638-42, da Nicolson e Wright nel 1639-41, da Blunt nel 1645, da Pariset nel 1628 e così via. Oggi si è trovata una via di mezzo: 1635-40. Insomma, per Salmon un puzzle di errate attribuzioni e repliche sgraziate. Tanto che con La Tour «tutto è in movimento: ciò che oggi è considerato vero potrebbe benissimo non esserlo domani».
Oppure, come ha sostenuto Jean-Pierre Cuzin nel 2005, è «possibile che ci siano creazioni di La Tour di cui non è mai esistito un esemplare interamente autografo. Va forse accettato che certe creazioni di Georges de La Tour non siano state dipinte da lui, o lo siano state solo in parte».
Dove e quando
Georges de La Tour. L’Europa della luce. A cura di Francesca Cappelletti e Thomas Clement Salomon, Palazzo Reale, Milano.
Fino al 7 giugno. Catalogo Skira, euro 45.
www.latourmilano.it