Dove e quando
Origini. Arik Levy e l’arte aborigena, oceaniana. The Gallery, Riva Caccia 1D, Lugano. Fino al 15 luglio 2019. Per informazioni: didierzanette@gmail.com; Tel. 076 4764242.

Maschera rituale del popolo Baining dalla Papua Nuova Guinea


Agli albori dell’umanità

Alla The Gallery di Lugano l’arte dell’Oceania dialoga con l’Occidente
/ 24.06.2019
di Rebecca Luini

La creazione artistica in Oceania è qualcosa di intimamente legato a ogni aspetto della vita dell’uomo. Essa appartiene ai riti della quotidianità così come a quelli celebrativi, divenendo uno strumento di mediazione tra presente e passato, tra viventi e antenati, tra uomini e spiriti.

Nelle lingue oceaniane per indicare il verbo creare si usa il vocabolo parlare, a rimarcare come l’espressione artistica sia comunicazione, narrazione, proprio come avviene attraverso l’uso della parola. L’arte è racconto.

Non è un concetto immediato da capire per la nostra cultura. E non è nemmeno facile per noi riconoscere le numerose sfaccettature artistiche di questo continente agli antipodi della vecchia Europa, costituito da territori anche molto diversi tra loro, un mondo di grandi e piccole isole spesso abitate da comunità che non si capiscono l’una con l’altra e che elaborano ciascuna stili autonomi e ben definiti.

Tra mito e sogno, qui l’arte nasce come attività condivisa, come frutto di una coscienza collettiva: creare è diventare tutt’uno con la terra generatrice, è custodire la storia, è onorare gli avi. La ricchezza delle arti oceaniane rispecchia il bisogno che le popolazioni di questi luoghi hanno di mettere a disposizione la loro immaginazione per compiacere gli spiriti ancestrali, alla ricerca di una bellezza che possa glorificarli nel migliore dei modi.

È così che, in una cultura in cui la natura impone i suoi colori, i suoi materiali, la sua vitalità e il suo mistero, sono arte le tele degli aborigeni australiani dalla stupefacente tavolozza cromatica, capaci di condensare tracce millenarie di esperienza vissuta e di conservare un profondo senso del primitivo che nemmeno il recente utilizzo da parte degli artisti di nuovi mezzi tecnici, come gli acrilici, ha saputo offuscare. Ma sono arte anche le decorazioni che i papuani realizzano durante le cerimonie sul proprio corpo per diventare sculture viventi animate dal respiro degli antenati: i bianchi più immacolati, i rossi più scintillanti e i gialli più luminosi, in contrasto con i neri più scuri, ornano insieme a piume di uccelli e gioielli fatti di conchiglie i volti e i fisici di questa gente, per perpetuare, nel tempo della performance, i gesti e i pensieri che hanno guidato per secoli i progenitori.

Sebbene in Occidente un vero e proprio interesse per la cultura dell’Oceania non sia ancora maturato, un eloquente segnale dell’apprezzamento del valore estetico dell’arte di questi territori arriva da una delle più prestigiose gallerie al mondo, la Gagosian Gallery di New York, che in questi giorni sta ospitando un’importante rassegna di pittura contemporanea indigena australiana.

A Lugano è invece il neonato spazio The Gallery a condurci nell’affascinante universo dell’arte aborigena e oceaniana, grazie al lavoro svolto da oltre due decenni da Didier Zanette, tra i maggiori esperti in materia, instancabile esploratore alla ricerca delle più significative testimonianze creative delle terre d’Oceania, dall’Australia alla Melanesia alla Polinesia. La sua è una conoscenza scaturita dal contatto diretto con i popoli autoctoni, con cui ha vissuto per lunghi periodi al fine di comprenderne a fondo gli usi e il patrimonio di tradizioni; una conoscenza che va al di là dell’ambito prettamente artistico per assumere un valore antropologico di più ampia portata.

Obiettivo della galleria non è solo far scoprire la bellezza della cultura dei popoli dell’Oceania attraverso le opere da loro create, ma è anche dar vita a un dialogo tra l’arte di quel continente e l’arte occidentale, puntando su ciò che accomuna questi due mondi apparentemente così diversi tra loro.

Proprio da questa volontà nasce l’attuale rassegna allestita alla The Gallery di Lugano, di cui l’Ex-Asilo Ciani ha ospitato una prefazione ai primi di giugno, una mostra che vive dell’accostamento inedito tra manufatti aborigeni e oceaniani e sculture realizzate da Arik Levy, artista nato in Israele e parigino d’adozione, nel segno di un ritorno a uno stato primordiale ispirato dalla natura.

Emblematico è il titolo scelto per l’esposizione: Origini, a rimarcare quel filo rosso che lega, non nel risultato finale ma nelle intenzioni, l’arte dell’Oceania alla ricerca di Levy. Ecco quindi da una parte le opere che Zanette ha portato dalla sua esperienza di vita tra giungle e deserti, lavori privi di qualsivoglia condizionamento concettuale generati dalla simbiosi con l’ambiente naturale percepito nella sua cosmica globalità, dall’altra le sculture di un artista che riflette sugli albori dell’uomo e della sua coscienza lasciandosi stimolare dagli elementi della terra.

Minimaliste ed eleganti nella loro riuscita commistione di tecnologia e poesia, di rigore e sensualità, le opere di Arik Levy si avvalgono di un linguaggio formale che richiama la natura e l’ordine strutturale che la caratterizza. La materia è plasmata per evocare minerali, rocce e fusti arborei, in una celebrazione delle geometrie del creato che diviene profonda indagine della matrice del pianeta e dell’umanità. I modelli mutuati dalla natura vengono eternati dall’artista nel bronzo, nel marmo, nel corten o nell’acciaio inossidabile, quest’ultimo lucidato a specchio per produrre giochi di riflessi che distorcono e reinterpretano l’ambiente circostante. Materiali nuovi e tradizionali che Levy lavora fino a esibirne la perfezione di volumi e superfici. A dispetto della loro impeccabile solidità, le sculture dell’artista paiono in evoluzione, prive di un principio e di una fine: estensioni del mondo naturale che si ergono libere nello spazio, sono metafore di una nuova origine che racchiude in sé passato e futuro, sono presenze che ci conducono in un viaggio nelle trame della terra per riscoprirne la potenza generatrice.

Accanto ai lavori di Levy anche le opere dipinte dagli artisti aborigeni australiani ci raccontano dell’intima unione tra uomo e natura. Trasposizioni visive di storie ancestrali, queste ampie tele dai colori brillanti fungono da mappe dello spazio reale così come del regno del sogno e della memoria. Attraverso le composizioni di linee e puntini dagli effetti ipnotizzanti, patrimonio di codici tramandati da millenni, questi pittori rappresentano territori simbolici e fenomeni naturali, a rinsaldare il rapporto con i luoghi che hanno accolto e custodito la loro gente.

I totem in legno provenienti dalla Papua Nuova Guinea ci parlano poi di antenati mitici e spiriti protettivi, mentre una rara placca Barava finemente intagliata nella conchiglia della vongola gigante, realizzata nelle Isole Salomone prima del XIX secolo e utilizzata come ornamento per sottolineare lo status sociale dei capi, diviene una preziosa testimonianza di come l’universo naturale sia indissolubilmente legato alle culture oceaniane, strumento insostituibile per dispiegare i tesori di immaginazione con cui questi popoli mantengono vivo il loro vincolo con la fonte primigenia dell’esistenza.