Quello fra musei e cibo è un connubio sempre più attuale. Ma non è sempre stato così e ancora oggi qualche purista si chiede se sia lecito portare un ristorante all’interno di un museo, mischiando arte ed intrattenimento. Ma sarebbe inutile negare il piacere che offre la pausa in un’accogliente caffetteria per recuperare le energie spese visitando le mille stanze di un grande museo.
I primi a capirlo sono stati gli inglesi, che continuano ad avere molto da insegnare in tema di attenzione per il visitatore: il Victoria and Albert Museum di Londra ospitò per primo al mondo un ristorante, aperto nel 1854, in seguito decorato addirittura da William Morris. Con lui si inaugura anche la pratica di coinvolgere un artista per migliorare il design di questi spazi, estendendo quindi il progetto culturale dell’istituzione alle sale per l’accoglienza del pubblico.
La formula si è rivelata fortunata e negli ultimi anni si sta dimostrando sempre più fertile. Così, a New York, il ristorante della nuova sede del Whitney Museum è stato realizzato da Renzo Piano, mentre quello del Guggenheim Museum, il ristorante «The Wright», ospita una grande installazione dell’artista inglese Liam Gillick. La Serpentine Gallery di Londra, invece, può contare sugli ambienti disegnati da Zaha Hadid. All’artista tedesco Tobias Rehberger è stata affidata la decorazione del caffè della Biennale di Venezia. Philippe Starck ha invece disegnato il ristorante del Museum of Islamic Art di Doha, in Qatar, dove il menu è firmato da Alain Ducasse. (La presenza degli chef stellati è infatti un altro elemento che da alcuni anni sembra non poter mancare nei ristoranti dei musei e non solo, considerato che Ferran Adrià nel 2007 ha preso parte alla prestigiosa Documenta di Kassel.)
Anche il MASI, nella sua sede presso il LAC, ha deciso di invitare un’artista per decorare gli spazi multifunzionali che ospiteranno, oltre all’ingresso alle sale espositive, anche il nuovo ristorante. Si tratta di Christine Streuli, nata a Berna nel 1975 e ora attiva Berlino, che è intervenuta sulle pareti dell’ambiente. In un’intervista, racconta del suo lavoro, della pittura e di come ha sviluppato l’opera che sarà presto visibile a Lugano.
Ci descrive la sua installazione al nuovo ristorante del MASI al LAC?
I visitatori potranno vedere delle gigantesche pennellate che percorrono le superfici dell’ambiente, seguiranno i colpi di colore che si muovono vitali attraverso l’atrio d’ingresso. Questi gesti erano stati precedentemente eseguiti da me su fogli di carta in dimensione A3. Ho ingrandito e stilizzato gli originali, che avevo realizzato a mano, trasformandoli nel simbolo della pittura stessa, dell’espressione, del movimento. Ho indagato quindi le questioni della superficie e della profondità, dell’originale e della copia, del colore, della forma e del supporto, della materialità. Ho cercato di affrontarle in modo giocoso e attento.
Come ha affrontato questa commissione e cosa pensa degli interventi degli artisti nello spazio pubblico?
Portare l’arte in un luogo specifico è sempre una grande sfida. Ho già avuto esperienze in questo senso, realizzando molteplici progetti di «Kunst am Bau». In generale, lo spazio deve essere prima calpestato e assimilato metro per metro. Le condizioni di luce e le energie che aleggiano nell’ambiente devono essere percepite e interpretate. Quindi, anche in questo caso, è stato importante visitare la sala dove sarei intervenuta, trascorrerci del tempo in situazioni diverse e analizzarne le condizioni.
L’arte ha il potere di mettere a confronto i visitatori con le energie, con il visibile, e quindi di generare domande, che collegano le persone con il luogo. Può darsi anche che riesca a farle sostare e le inviti a pensare e a guardare con più attenzione. Al LAC incontriamo una situazione molto particolare.
Entriamo nell’atrio di un museo d’arte, che ospita anche il suo ristorante, eppure l’architettura è progettata in modo tale che, prima di poter entrare nelle sale espositive, si debba usare un ascensore o una scala mobile. Questo spazio multifunzionale serve quindi come una camera d’acclimatazione. Il mio quadro dovrebbe dare modo di prepararsi alla visita del museo. La contemplazione del dipinto può fornire degli spunti utili per osservare le opere d’arte che si andranno a visitare.
Che tecnica ha usato, e come si rapporta al contenuto del lavoro?
I grandi cerchi di colore hanno la loro origine in piccole opere di carta fatte a mano. Sono stati digitalizzati e ingranditi. Una trasformazione da analogico a digitale. La questione della scala e quella dell’originale e della copia viene qui ulteriormente indagata. I gesti sono stati trasferiti alle pareti in due strati, tramite stencil fatti di alluminio. Quello che sembra un ricciolo eseguito da una gigantessa a pennello è il tentativo di raccontare il gesto pittorico.
Le sue opere trattano il significato della pittura,come mezzo tradizionale e mezzo contemporaneo: ci spiega il suo rapporto con essa?
Sono interessata ad indagare la pittura, partendo dalla tradizione e fino alla sperimentazione. Al contempo, mi interessa indagarne contenuto e tecnica. Tento di trovare e inventare modi di affrontare la materia e il colore, con il loro assoluto potere di seduzione, illusione e repulsione. Provo a riconoscere i gesti, imparo a lasciarli accadere, per poi interpretarli, analizzarli e ripeterli più e più volte. La pittura è incontro e coinvolgimento. Dipingere è conoscere la propria sensibilità e quella dell’altro, imparare a valutarla, per poi dimenticarla e rinegoziarla più e più volte.
Che impressione ha avuto del LAC e dei suoi spazi, durante il suo soggiorno a Lugano?
Il LAC è una grande nave. Quando si entra nell’edificio, ci si confronta contemporaneamente con moltissime informazioni: materiali, impianti, infissi, ingressi, uscite e personale. Prima di poter andare in qualsiasi direzione, dobbiamo avere una visione d’insieme. Lo stesso è successo anche in versione ridotta durante la mia prima visita negli spazi dedicati al MASI nel LAC. Era quindi mia intenzione creare un’unità fra lo spazio e il mio murale, un’unione, un’armonia. Spero quindi di avere contribuito a determinare un luogo dove è piacevole sostare, mentre si viene guidati nelle direzioni possibili grazie alla dinamica del dipinto.