Dove e quando
Rubens e la nascita del Barocco, Palazzo Reale, Milano. A cura di Anna Lo Bianco. Fino al 26 febbraio 2017. Catalogo Marsilio, euro 34.
www.mostrarubens.it


A cavallo verso l’Italia

Rubens a Palazzo Reale di Milano
/ 21.11.2016
di Gianluigi Bellei

Pieter Paul Rubens è sicuramente uno dei maggiori pittori del Seicento europeo. Fine intellettuale, grande diplomatico, prolifico artista, anticipa il Barocco con i suoi dipinti magniloquenti, grossi e grassi di colore e di forme. Celeberrimi i cicli dipinti su tela – vere e proprie «macchine compositive» – come le 21 grandissime tele realizzate per Maria de’ Medici, moglie di Enrico IV, per il Palazzo del Lussemburgo a Parigi che si possono ammirare al Louvre, realizzate fra il 1622 e il 1625, o quelle per il Padiglione di caccia di Torre de la Parada vicino a Madrid eseguite per Filippo IV che rappresentano scene dalle Metamorfosi di Ovidio e arrivate nella città spagnola nel 1638.

Rubens è molto famoso in vita e le sue opere richiestissime, tanto che si avvale della collaborazione di un centinaio di pittori specialisti, da van Dyck a Jean Bruegel, da Wildens a Paul de Vos. Questi eseguono i dipinti sotto la sua supervisione o semplicemente dipingono le parti meno importanti dei quadri come i fiori, gli animali, i paesaggi o i vestiti. A lui spetta il compito di realizzare le mani e i volti delle persone. Magari anche i corpi dei suoi famosi nudi femminili, sinuosi e opulenti. Come non dimenticare il fascino delle Tre grazie al Museo del Prado di Madrid?

Naturalmente essendo un artista prolifico e importante le esposizioni e gli studi su di lui e sulla sua opera abbondano. L’aspetto meno conosciuto, almeno alle nostre latitudini, è sicuramente il soggiorno di formazione in Italia e la sua influenza sulla nascita del Barocco italiano. A suo tempo Michael Jaffé (1923-1997) ha scritto nel celebre volume del 1977 Rubens e l’Italia dell’influsso dell’arte classica italiana sul suo lavoro e questo debito è stato messo in luce in seguito nella mostra Rubens and the Italian Renaissance organizzata da David Jaffé nel 1992 a Canberra e Melbourne e poi, sempre a cura dello stesso David Jaffé, con Rubens a Master in the Making a Londra nel 2005 dedicata al rapporto fra disegno, bozzetto e opera finita.

Un’intrigante esposizione a Palazzo reale di Milano, a cura di Anna Lo Bianco, vuole colmare questa lacuna e lo fa intessendo un dialogo continuo fra Rubens l’arte antica, la statuaria classica e l’influenza che l’artista ha esercitato su artisti come Pietro da Cortona, Gian Lorenzo Bernini e Luca Giordano. 

Otto anni dura il soggiorno del giovanissimo Rubens in Italia, dal 1600 al 1608. Dopo cinque anni, precisa Michael Jaffé, è in grado di scrivere una lettera come un toscano e delle «sei lingue che aveva imparato a scrivere e parlare correttamente, l’italiano rimase la sua preferita». Otto anni proficui che lo vedono spostarsi da Venezia a Mantova, da Genova a Roma e a imparare a conoscere e amare Tiziano, Veronese e Tintoretto dai quali prende il colore, la luce, il gusto scenografico e le prospettive ardite. Molti gli esempi di tali contaminazioni in mostra soprattutto per quel che riguarda l’arte classica. In Seneca morente del 1615-1616 Rubens raffigura la scena della morte del filosofo condannato al suicidio. Tacito negli Annales descrive la sua tragica fine prima con la cicuta e poi con il taglio delle vene. Visto che la morte tarda a venire Seneca si immerge in un bacile d’acqua calda per meglio far fluire il sangue.

Rubens lo ritrae contornato dai suoi amici mentre a sinistra un uomo gli recide vistosamente le vene. Il volto del filosofo assomiglia a quello di Erma del cosiddetto Pseudo-Seneca, una scultura della prima metà del secondo secolo dopo Cristo. Una sua replica è stata acquistata dall’artista nel corso del suo soggiorno in Italia. Nel Busto di santa Domitilla del 1607 si intravvedono le stesse ciocche a turacciolo davanti alle orecchie e la medesima crocchia di treccine sulla nuca di un busto femminile del secondo secolo dopo Cristo. Una delle icone di tutto il Rinascimento è senz’altro il Torso del Belvedere: una scultura, raffigurante probabilmente Ercole, di grande possenza e plasticità. Michelangelo lo prende come modello per i suoi nudi della Cappella Sistina e Rubens lo cita attraverso molti disegni e dipinti come per esempio il Cristo risorto del 1615-1616.

Il Massacro degli Innocenti del 1670-1675 richiama, nella concitazione dei personaggi, da una parte lo stesso soggetto dipinto da Tintoretto per la Scuola grande di San Rocco e dall’altra una statuetta di Niobide tipo-Psiche del primo secolo dopo Cristo. La scultura, una copia romana riconducibile probabilmente a un originale di Skopas o di Prassitele, ha la stessa torsione delle braccia piegate davanti al corpo e la testa rivolta verso l’uomo, che brandisce un fanciullo per ucciderlo, della figura inginocchiata sulla destra del dipinto. Ne Le figlie di Cecrope scoprono Erittonio infante del 1615-1616 è ritratta una scultura con molti seni, rappresentazione di Gea, come nella Statuetta di Ertemide Efesia del secondo secolo dopo Cristo rappresentata come multimammia, anche se queste fila di ghiandole da sempre credute mammelle in realtà sono probabilmente scroti di toro che venivano offerti alla dea. 

Molte altre sono le analogie, tutte da scoprire. La mostra termina con un’Allegoria della pace dipinta da Luca Giordano nel 1682-1683 ispirata alle Conseguenze della guerra realizzata da Rubens cinquant’anni prima, purtroppo non esposta in quanto non trasportabile. Dipinto tragico, quest’ultimo, tutto in diagonale realizzato mediante un intreccio di corpi in movimento nel quale Marte e Venere sono rappresentati in «contrasto con i terribili danni della guerra», mentre una lugubre matrona vestita di nero è l’infelice Europa. Perché Rubens è sì il pittore dal «furor di pennello» – decantato da Giovan Pietro Bellori nelle sue Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni del 1672 – dell’erotismo femminile oltreché della bellezza platonica soprasensibile e panteista, come sottolinea Alejandro Vergara in catalogo, ma è anche, e soprattutto, un idealista che con la sua attività diplomatica si è sempre speso per il bene comune della pace.

Settanta le opere in mostra, delle quali quaranta di Rubens, provenienti da istituzioni come il Museo del Prado di Madrid, l’Hermitage di San Pietroburgo, la Gemäldegalerie di Berlino, i Musei Capitolini e la Galleria Borghese di Roma, la Galleria degli Uffizi di Firenze e il Museo di Palazzo Ducale di Mantova.

Un’esposizione tutta da vedere con un buon allestimento di Corrado Anselmi e un’ottima illuminazione sviluppata da Toshiba Materials mediante un’applicazione denominata TRI-R tramite Led che riesce a riprodurre una luce bianca simile a quella dello spettro solare. Raffinato il catalogo con carta pannosa, testo in grigio, esaurienti schede dei dipinti e indice dei nomi finale.