«Essere uno del posto»: nel perpetuo, incessante sforzo di distinguersi dagli altri, quella informe massa grigia che chiamiamo turisti, questa sembra essere l’ultima aspirazione dei viaggiatori più navigati. Niente più noiosi musei, trappole per turisti, ristoranti letali dove il cibo è raffigurato da fotografie; molto meglio condividere la quotidianità di chi in quel posto ci vive e quindi si suppone lo conosca meglio di ogni altro. Anche le grandi aziende hanno fiutato al volo l’aria che tira, adeguando le loro proposte.
Per esempio, il portale di prenotazioni Airbnb sta sviluppando la sezione «esperienze» dove propone «attività uniche organizzate dalla gente del luogo»: e così potreste imparare a fare la pasta casereccia a Roma con una vera nonna, passare una giornata con un DJ a Cuba o navigare il deserto dell’Oman con un cammelliere.A Milano troverete chi vi accompagna nei migliori bar, nei luoghi perfetti per una foto vincente sui social, in una camminata nel Cimitero monumentale o a cena con amici in una casa sui Navigli. E infiniti altri siti sono pronti a suggerirvi nuove possibilità (per esempio www.spottedbylocals.com).
Per rendere ufficiale il legame con la gente del posto si stringono anche degli speciali patti (pledge), con i quali i visitatori promettono per esempio di rispettare la natura, di seguire le regole e di non correre rischi inutili per qualche like in più su Instagram. L’Islanda (poco più di trecentomila abitanti, quasi due milioni di turisti l’anno) sostiene di averci pensato per prima, già nel giugno 2017 (www.inspiredbyiceland.com/pledge), anche con un certo umorismo («Scatterò foto belle da morire senza morire» è una delle promesse). In settantacinquemila hanno già sottoscritto l’impegno. Molti hanno imitato l’esempio islandese, a cominciare dalla Nuova Zelanda alla fine del 2018 con Tiaki Promise (tiakinewzealand.com, Tiaki nella lingua locale vuol dire aver cura). Ultima (per ora) potrebbe essere la Finlandia, con la campagna Be more like a Finn (www.visitfinland.com/sustainable-finland-pledge).
Qualcuno è scettico sulla reale efficacia di queste iniziative, al di là di una generica sensibilizzazione del turista. Nel caso dell’Islanda per aderire basta schiacciare un bottone davanti a uno schermo in aeroporto… Justin Francis, fondatore di «Responsible Travel», ha sottolineato come sarebbe invece ben altrimenti efficace raccogliere fondi per proteggere i luoghi minacciati dal turismo di massa. E così cinque città di montagna degli Stati Uniti incoraggiano apertamente delle donazioni: «Ti invitiamo a considerare un’offerta di un dollaro per ogni ora spesa in mountain bike, salendo verso epici picchi o prati di fiori selvatici, pescando in fiumi e laghi incontaminati o per qualsiasi altra avventura tu abbia appena vissuto» (www.pledgewild.com). Anche il giovane Stato di Palau, un arcipelago della Micronesia, ha cercato di rendere più stringente il patto, timbrandolo sul passaporto dei visitatori; se non lo firmano l’ingresso è negato e chi non lo rispetta rischia pesanti multe. Le Isole Faroe invece hanno scelto una strategia diversa, «chiudendo» per una settimana ai turisti e invitando dei volontari per lavorare al ripristino dei sentieri insieme ai locali. Grande successo (cento prescelti tra tremilacinquecento candidature), tanto che l’iniziativa è già stata rinnovata («Chiuso per manutenzione», ci si può proporre per l’aprile 2020).
Lo scrittore David Whitley su «The Independent» ha criticato la stessa idea di voler essere «come un locale», partendo dalla sua esperienza personale. «Lo scorso fine settimana è stato sorprendentemente noioso. Ho fatto la spesa al supermercato, un paio di lavatrici, ho riparato la recinzione danneggiata dalla tempesta e ho visto un paio di film mediocri, scelti tra quelli gratuiti su Amazon Prime. Non mi pare granché come fonte d’ispirazione. Se qualcun altro me l’avesse proposto per un fine settimana di turismo urbano, mi sarei infuriato. Immagina di perdere un paio di giorni preziosi a Barcellona o a Roma sbrigando le faccende domestiche, girovagando e guardando Tom Cruise… Se vai da qualche parte per un fine settimana è del tutto sano e logico concentrarsi su quel che rende veramente unico quel luogo, o almeno insolito e sostanzialmente diverso da quello che potresti vedere entro cinque miglia da casa tua».
È una posizione provocatoria ma con qualche fondamento. Chi vive in una città spesso non ha visitato neppure le attrazioni più famose (dopo tutto può andarci quando vuole) e magari non frequenta neanche posti così speciali. Continua David Whitley: «La gente di qui non va nei bar più interessanti: va nei suoi ritrovi abituali che ha frequentato per anni, perché sa che ci sono i suoi amici».
Non a caso far vivere la propria città a chi viene da fuori sta diventando un nuovo mestiere (quasi sempre si paga il servizio). E alcune delle guide migliori sono stranieri residenti in città da qualche tempo, abbastanza per farsi un’idea di cosa vedere senza però cadere nell’abitudine. Sono quelli che hanno dovuto capire i luoghi, essere socievoli con estranei con i quali non sono cresciuti e comprendere le differenze. Come dire che i buoni viaggiatori sono anche i migliori locali.