Una lotta per la sopravvivenza

Viaggiatori d’Occidente - Dalla crisi di Airbnb alla chiusura di sedi importanti della Lonely Planet, per tacere di chi ha già perso il posto di lavoro, ma forse non tutto è perduto
/ 27.04.2020
di Claudio Visentin

Come ha scritto Luigi Farrauto, cartografo e autore di guide di viaggio, il virus assomiglia molto a un turista di massa. Ha cominciato il suo viaggio da un mercato locale (che scelta banale!) e poi ha frequentato soprattutto le grandi città internazionali, con una preferenza spiccata per i grandi eventi: non si è perso un concerto né un carnevale. Si è rivelato un viaggiatore compulsivo (niente Slow travel!), con una tendenza a danneggiare i luoghi che visita.

Per colpa sua tutti hanno dovuto adattare i propri comportamenti. Per esempio Airbnb, il popolare portale di affitti brevi, ha creato un fondo da duecentocinquanta milioni di dollari per aiutare i proprietari colpiti dalle cancellazioni. Già prima del blocco, Airbnb puntava sulle «esperienze», ovvero attività pensate e proposte dai locali per far condividere ai turisti la vita quotidiana della loro città. Ora una buona parte di queste esperienze sono diventate virtuali e si svolgono in rete ( it.airbnb.ch/s/experiences/online ). E così potete meditare guidati dal violoncello di Janice Wong, aiutare i cani di Chernobyl nella zona contaminata attraverso l’associazione che si prende cura di loro, cucinare la «pasta della nonna» con l’aiuto di Chiara da Roma (se invece siete italiani e nonna vi fa sempre la pasta, Lhea, panettiera svedese, vi insegna a preparare panini alla cannella e al cardamomo). Infine, Aneta, dalla sua casa nella contea di Galway, vi introduce alle danze irlandesi.

Il cofondatore e amministratore delegato di Airbnb, Brian Chesky, si mangia le mani: avrebbe potuto quotarsi in Borsa nel 2018 per un valore stimato tra 50 e 70 miliardi di dollari; secondo stime recenti la sua azienda potrebbe valere ora tra 20 e 30 miliardi di dollari soltanto (The Wall Street Journal). La fiducia dei mercati è solo un ricordo: per ottenere un prestito di un miliardo di dollari, necessario per sopravvivere al blocco completo delle sue attività, Airbnb ha dovuto garantire un interesse del 10 per cento (non proprio un segno di buona salute).

Il futuro è incredibilmente incerto. Se, come pare probabile, si tornerà lentamente alla normalità, i clienti saranno inclini a evitare hotel affollati, preferendo appunto Airbnb, o al contrario penseranno che gli alberghi diano maggiori garanzie di pulizia?

Anche la principale casa editrice turistica del mondo, Lonely Planet (oltre 30 per cento del mercato delle guide turistiche), ha chiuso il suo ufficio di Londra e soprattutto lo storico ufficio di Melbourne, dove tutto cominciò nel 1973 quando due giovani viaggiatori, Maureen e Tony Wheeler, dopo aver percorso l’Hippie Trail da Londra a Katmandu via terra, pubblicarono la loro prima, smilza guida turistica (Across Asia on the Cheap).

La pubblicazione delle guide per ora continuerà a singhiozzo dall’Irlanda, ma molti collaboratori esperti hanno già perso il loro lavoro. Paula Hardy, autrice di diverse guide sull’Italia, ha scritto: «Ho cominciato a lavorare per Lonely Planet nel 1999 preparando la guida dell’Etiopia e i viaggi seguenti sono stati esperienze di vita fondamentali. Ho guarito il mio cuore spezzato tra i paesaggi desertici della Namibia. Anni in Italia mi hanno insegnato ad apprezzare i semplici piaceri della vita. Quando mia madre morì, mio padre in lutto mi raggiunse in Sicilia. La scorsa settimana un amico ha telefonato da Bengasi, in Libia, per informarsi sulla mia salute e sicurezza – un’ironia toccante considerato che lui ora vive in una città governata dalle milizie». In un modo o nell’altro, Airbnb e Lonely Planet sopravviveranno. Più incerto è il futuro delle compagnie aeree, schiacciate da enormi investimenti e alti costi di esercizio: quest’anno sono a rischio oltre trecento miliardi di dollari e venticinque milioni di posti di lavoro (IATA). Un migliaio di aerei potrebbero non tornare mai più nei cieli. Anche le crociere scontano il loro gigantismo. Il 2019 è stato un anno da sogno: trecento grandi navi, centocinquanta miliardi di dollari di giro d’affari, un milione e duecentomila posti di lavoro, trenta milioni di passeggeri (CLIA – Cruise Lines International Association). In tre settimane la Guardia costiera americana ha coordinato lo sbarco di duecentocinquantamila crocieristi, poi ogni attività si è arrestata.

Ora ogni giorno di sospensione causa una perdita di quasi cento milioni di dollari e trecento posti di lavoro, senza contare l’indotto (BREA/CLIA – Economic Impact Analysis). Senza aiuti queste compagnie di navigazione non resisteranno a lungo, ma non è detto possano riceverne dal governo americano, avendo scelto in passato sedi estere e bandiere di comodo per le loro navi.

Nell’insieme, l’industria turistica negli ultimi anni è stata più cicala che formica, immaginando cieli azzurri, frontiere aperte e domanda crescente. Ma il virus non è stato un «cigno nero» (secondo la celebre definizione di Nassim Nicholas Taleb), non è stato cioè un evento di forte impatto ma raro e imprevedibile; al contrario era stato ampiamente previsto (per esempio Spillover. L’evoluzione delle pandemie di David Quammen, Adelphi).

La lezione è stata dura ma non ci sono solo ombre. Tutte le ricerche mostrano che il desiderio di viaggiare non si è spento. Per cominciare molti hanno preferito rimandare la partenza invece di chiedere un rimborso (era stato anche il nostro suggerimento, alcune settimane fa) e, non appena sarà possibile, oltre tre quarti del campione intervistato vuole tornare a viaggiare. Ripartiamo da qui.