Trilogia del viaggio

Lo scorso 17 gennaio Paolo Rumiz e Stefano Faravelli hanno discusso del «Senso del viaggio nel mondo globale» allo Studio 2 RSI, davanti a un pubblico da tutto esaurito. Giovedì 21 febbraio 2019, alle ore 9.00, i passaggi più interessanti di quella serata saranno proposti in una puntata del programma «Laser» (Rete Due). Quello stesso giovedì 21 febbraio, alle 18.00, presso Scuola Club Migros (Via Pretorio 15, Lugano) è previsto il secondo incontro della Trilogia del viaggio, organizzata da Scuola Club Migros insieme a RSI Rete Due. Lo scrittore e psicologo Andrea Bocconi dialogherà con Sandra Sain di «Viaggio e cambiamento. Perdersi, ritrovarsi, crescere» (l’evento è gratuito, per informazioni e prenotazioni 091 8217150 oppure scuolaclub.lugano@migrosticino.ch). L’ultimo incontro, sempre presso Scuola Club Migros, sarà giovedì 21 marzo 2019, alle ore 18.00: la scrittrice Alessandra Beltrame dialogherà con Barbara Sangiovanni: «Io viaggio da sola. Storie di donne».

Questa tempera di grande formato, intitolata «Per vedere l'elefante», è un omaggio alla grande stagione delle esplorazioni coloniali. Mi sono autoritratto in veste di esploratore; ma se abiti, casco e ombrellino sono una ironica citazione dell'immaginario ottocentesco, l'atelier portatile, completo di acquerelli e pennelli, è proprio quello che mi accompagnò nel corso dei miei viaggi indiani. La foresta è uno scorcio di jungla del Kerala in via di sparizione ma nei pochi scampoli rimasti resta, come disse Kipling, «antica e vera come il cielo» (S. Faravelli)

Kashgar, Xinjiang, Cina. Questa millenaria città di confine, importante tappa sulla Via della seta, è divisa tra due etnie, cinesi han e turchi uighur. Così per ogni parola uighur ce n’è una han, in una guerra segreta tra dizionari. Per esempio i cinesi chiamano il pioppo peyang; gli uighur usano invece una parola turca, kavak. Tutto qui è doppio come il pioppo, la cui foglia è vellutata e bianca di sotto, verde e coriacea di sopra.
Nella luce delle nove del mattino, tra i pioppi in duplice filare, i bambini uighur vanno a scuola. Lo zaino azzurro della bambina di spalle vestita di ciniglia stampata con motivi iqat reca l’immagine di Topolino. Lo zaino della ragazzina un po’ più grande, con il capo coperto dal fazzoletto, segno di raggiunta pubertà, ha invece il logo della ben nota bevanda multinazionale.
Tra i bassi edifici in fango e terra battuta altri bambini uighur, forse meno fortunati, si aggirano con cesti di paglia in cerca di escrementi di vacche e di asini. Anche qui, come in Tibet, lo sterco è usato come combustibile (S. Faravelli)

Uno dei banchetti di stret food in Piazza Jemaa el-Fnaa, a Marrakech, Marocco. Da Mohammed Baolo, allo stand 76, la testa grande costa 70 dirham, 60 la testa piccola e 30 dirham mezza testa media.
Dark side del pianeta vegano dell’esangue occidente. Il popolo mangia carne, si sa. Come a Firenze il lampredotto o a Genova la trippa. E qui a Marrakech il popolo non ha ancora ceduto il passo demografico alla classe media, mediamente istruita ma già dimentica della fame ancestrale.
Se il cibo ha ancora il volto della tradizione, la bevanda lo sta perdendo: regge il thè alla menta, ma dilagano gassate dolciastre. Appena camuffato dal fluente ductus calligrafico il logo bianco-rosso fa capolino nella scritta in arabo. «Ecce Signum! Coca-Cola» (S. Faravelli)

Un angolo del tradizionale, affollatissimo mercato di Chandni Chowk nella vecchia Delhi, vicino alla stazione.
L’insegna con il logo della nota bevanda fa capolino tra altre di gusto locale. In India sono ancora in circolazione etichette e insegne che riflettono una grafica deliziosamente datata, in certi casi addirittura riproduzioni di cromolitografie ottocentesche (come il baffuto in alto a destra). È il caso anche delle confezioni di minisigarette (bidies), come quelle incollate sulla pagina. Si noti, in basso, accanto al disegno, la scritta «For real smoking pleasure», che ignora bellamente il terrorismo dissuasivo degli avvertimenti sui pacchetti di sigarette occidentali (S. Faravelli)

 

Una Coca-Cola per Leopardi

Viaggiatori d’Occidente - Avventure attorno al globo nel tempo... della globalizzazione
/ 11.02.2019
di Stefano Faravelli

«Ahi ahi, ma conosciuto il mondo / Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto / L’etra sonante e l’alma terra e il mare / Al fanciullin, che non al saggio, appare./ Nostri sogni leggiadri ove son giti /Dell’ignoto ricetto / D’ignoti abitatori, o del diurno / Degli astri albergo, e del rimoto letto / Della giovane Aurora, e del notturno / Occulto sonno del maggior pianeta? / Ecco svaniro a un punto, / E figurato è il mondo in breve carta; / Ecco tutto è simile, e discoprendo, / Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta / Il vero appena è giunto, / O caro immaginar; da te s’apparta / Nostra mente in eterno; allo stupendo / Poter tuo primo ne sottraggon gli anni; / E il conforto perì de’ nostri affanni».

Qualche tempo fa ripensavo a questi versi di Giacomo Leopardi (tratti dalla canzone Ad Angelo Mai). L’arte del viaggio nel mondo globalizzato potrebbe avere in essi una sorta di disincantata premessa e al tempo stesso un culmine. Questi versi furono scritti nel 1820, quando venne ufficialmente «scoperta» l’Antartide: allora, davvero, tutto il mondo fu «figurato in breve carta». Ma se è vero che l’ultima grande incognita geografica sparì dalle carte, è anche vero che il mondo di allora aveva ancora vaste riserve inesplorate; quegli spazi vuoti sulle mappe così invitanti, che facevano sognare da bambino Charles Marlow, il protagonista di Cuore di tenebra di Joseph Conrad.

Eppure con quanto anticipo e con quale implacabile lucidità il poeta Giacomo Leopardi vede in questo progredire delle conoscenze positive la voragine di nulla che si spalanca nello spirito umano. Come se intravedesse il nostro mondo, già dispiegato. Questo contrarsi del globo, questo scemare del mondo man mano che lo si misura, lo si pesa, lo si quantifica, è già compiuto nell’atto stesso del suo nascere. Ed è per questo che il disincanto leopardiano è totale; si dovranno aspettare le diagnosi crepuscolari di un filosofo, Friedrich Nietzsche, per ritrovare un nichilismo altrettanto radicale.

Il poeta di Recanati sembra trascinare nella sua rovina anche il «caro immaginar», che resta allora nient’altro che uno svaporato sogno infantile. Quella finzione di «arcani mondi» tutti da scoprire che suscitava in lui, come scrive nelle Ricordanze, «pensieri immensi e dolci sogni». Eppure, per quanto paradossale, sono proprio le parole del poeta, il suo canto sul rimpianto del mondo, a schiudere un nuovo modo di vedere il globo: come se quell’impossibile sogno infantile dovesse risorgere su un altro piano più vero del vero, la cui cifra è appunto la nostalgia.

Perché forse la varietà del mondo si salva nel ricordo; in quella particolare nostalgia (dove nostos è infatti cifra di un viaggiare), a cui solo l’arte sa dar forma compiuta. Ed è per questo che una riflessione sull’arte del viaggio nell’epoca della globalizzazione dovrà forse capovolgersi in un viaggio dell’arte. Se la globalizzazione non è altro che una perdita della distanza, è nell’universo dei segni (e dei di-segni) che bisognerà ritrovarla per contrastare l’uniformizzazione che minaccia il mondo. Come scriveva Victor Segalen, altro profetico avversario di quella che definiva la crescente monotonia del mondo («la sfera è monotonia»), «le parole sono più evocatrici delle cose racchiuse in esse» e permangono anche quando le cose sono sparite. Come autore di carnet di viaggio, sulle tracce di una bellezza e di un mistero sempre sul punto di sparire, ingoiati nelle fauci dell’accelerazione globalizzante, so bene come parole e immagini collaborino nel ricomporre il mondo attraverso quell’elemento fittizio e miracoloso che costituisce la ragion d’essere dell’Arte.