Sono le undici di mattina quando arrivo nel centro di Anversa, la più importante città delle Fiandre, nel nord del Belgio. Per ragioni di sicurezza l’accesso alla Borsa dei diamanti sulla Schupstraat non è più il portone monumentale affacciato sulla splendida stazione ferroviaria. Dopo severi controlli riesco comunque a entrare nella grande sala centrale della Beurs voor Diamanthandel. Inaugurata il 4 settembre del 1921, è tappezzata di bacheche con le foto e i curriculum degli aspiranti trader e broker, segnalazioni di sicurezza, gli elenchi dei commercianti falliti e le offerte di macchinari e software. Ai pochi computer occupati siedono degli ebrei ortodossi ma non si occupano di pietre preziose, passano invece il tempo giocando a solitario (forse anche perché, fa notare il mio esperto accompagnatore, a casa non possono utilizzare un computer per motivi religiosi).
Attorno alla Borsa dei diamanti si radunano i pochi palazzi dimessi del Diamond Quarter, compreso tra la Pelikanstraat (che costeggia la Stazione centrale) e la Quinten Matsijslei, ai margini dello Staadspark. Qui ogni ufficio è legato al commercio, al taglio e alla vendita delle pietre. Sulle tre corte strade del quartiere, a due passi dal portale della Sinagoga portoghese, secondo Margaux Ponckier dell’Antwerp World Diamond Centre lavorano millesettecento trader specializzati in diamanti. Dalle mura e sui lampioni brillano gli occhi elettronici di oltre duemila telecamere, mentre l’andirivieni degli uomini d’affari con le loro valigette scure è interrotto solo per un attimo dalle manovre di un colossale furgone blindato della Brinks, utilizzato per i trasporti verso le camere di sicurezza dell’aeroporto.
In questo angolo di Anversa hanno sede le due banche specializzate nel credito ai broker e anche l’organismo statale che controlla la regolarità fiscale dei commerci diretti al di fuori dell’Unione Europea. Ogni piccola vetrina espone diamanti e gioielli, in altri casi mole e sofisticate attrezzature da taglio, o ancora la pubblicità di software israeliani in grado di scansionare in profondità ogni singola pietra grezza per scoprire le impurità e suggerire le proporzioni di taglio più redditizie.
La lavorazione e il commercio dei diamanti ad Anversa è sempre stato riservato alla comunità ebraica, a partire almeno dal 1447, quando un magistrato cittadino emanò un editto per contrastare la vendita di diamanti contraffatti. Il commercio delle pietre preziose ebbe un impulso straordinario dopo che Vasco da Gama nel 1498 percorse per la prima volta la rotta marittima diretta per l’India, dove le miniere di diamanti erano numerose. Da qui la crescita repentina di Lisbona e Anversa nel mercato dei diamanti, a spese di Venezia. La comunità ebraica dei Paesi Bassi crebbe ulteriormente con la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, al termine della Reconquista dei Re cattolici Ferdinando e Isabella. Solo negli ultimi decenni si sono affacciati con prepotenza sulla piazza anche gli indiani, seguiti da armeni, libanesi e ovviamente cinesi.
Sedendo a un tavolo da Hoffy’s – sulla piccola Lange Kievitstraat, a due passi dalla Borsa – davanti a un piatto di pollo marinato con prugne e vino rosso rigorosamente Yiddish si può scoprire molto (se si hanno i contatti giusti) sul mondo dei diamanti: esclusivo, chiuso, misterioso. Per esempio attraverso queste tre stradine secondarie, meno di un chilometro quadrato di superficie, passano l’84% dei diamanti grezzi e il 50% delle pietre tagliate del mondo (per un totale di 202 milioni di carati); il mercato della città belga da solo muove circa 48 miliardi di dollari americani.
Ma non tutto è perfetto, nel luccicante mondo dei diamanti: anche nelle stanzette ovattate – dove gli accordi commerciali erano sanciti da una stretta di mano e da un pezzetto di carta firmato – sono entrati i computer. In apparenza è una benedizione per chi doveva rimanere in piedi per ore nella sala fumosa della Borsa e precipitarsi alle cabine telefoniche per ogni comunicazione. Il rovescio della medaglia però è divenuto sempre più evidente con il trascorrere del tempo. Oggi pochi grandi siti web propongono buona parte dell’offerta internazionale di pietre, con descrizioni, filmati in alta definizione e stime (provare per credere: www.bluenile.com). Ne risulta inevitabilmente sminuito il lavoro dei venditori, profondi conoscitori dei diamanti, dei tagli e delle loro quotazioni, in contatto con centinaia di broker sparsi tra New York, Anversa, Tel Aviv, Bombay e Dubai. «Tra qualche anno il mercato sarà diventato in buona parte virtuale» riflette a voce alta il mio broker di fiducia davanti a un bicchiere di vino rosso «e nel caro vecchio Diamond Quarter resisteranno ben pochi degli impiegati e imprenditori di oggi. Forse in queste strade rimarrà solo il commercio delle pietre grezze, mentre il grosso del mercato al dettaglio si sarà spostato altrove: magari a Dubai, dove il governo offre condizioni fiscali eccezionali, impensabili altrove, a chi decide di spostarsi a lavorare ai margini del deserto…».
Forse un giorno i diamanti saranno il passato di Anversa e allora visiteremo il nuovo museo multimediale DIVA, dedicato alla storia e alle curiosità di questo prezioso commercio. Ma per adesso meglio passeggiare nelle stradine del quartiere dei broker, osservando l’andirivieni frettoloso dei gioiellieri con le loro preziose borse, ammirando gli anelli d’oro nelle vetrine con il castone vuoto, pronto a ricevere un diamante, o anche solo sostando per un caffè e un pasticcino al miele in un caffè libanese, sotto alle volte della piccola galleria al termine di Rijfstraat. I diamanti, con le loro storie affascinanti, sono dovunque attorno a noi.