Csf (Come si fa)

Alla Demidoff è un’espressione che designa alcuni piatti dedicati al principe russo Anatoli Demidov (traslitterando dal russo, i francesi, che usano un sistema tutto loro, scrivono alla fine dei cognomi ff, mentre il resto del mondo, che utilizza un sistema ufficiale, al posto di ff mette v). Nacque nel 1812, morì nel 1870. Fu ricchissimo, illustre gastronomo, appassionato d’arte, raffinato bon viveur. Filo conduttore delle preparazioni a lui dedicate è la presenza del tartufo nero. Il piatto più celebre è un pollo al burro, servito con verdure varie e sormontato dal tartufo.

Pollo alla Demidoff. Per 4 persone. Pulite 1 pollo da 1,5 kg e, con un coltello affilato, prelevatene i petti, le cosce e le controcosce. Tagliate a pezzi la parte rimanente, passateli nella farina, scuoteteli per far cadere quella in eccesso e rosolateli in una casseruola con 1 filo di olio, meglio se di semi, mescolando. Sfumate con 1 bicchiere di vino bianco secco sobbollito per 3’ e coprite con 2 dl di brodo di pollo bollente. Cuocete per 40’ poi filtrate il fondo e conservatelo. Nel frattempo, tagliate a juliénne 2 carote, 1 rapa, 2 gambi di sedano e 1 cipolla. Infarinate le parti del pollo tenute da parte e rosolatele uniformemente in una casseruola con 1 noce di burro. Unite le verdure, poi il fondo di cottura, coprite e cuocete in forno a 150° per 40’, unendo il brodo necessario. Sfornate, profumate il pollo con 100 g di prosciutto crudo tagliato a julienne e 80 g di tartufo nero mondato e tagliato a cubetti, e rimettete in forno, sempre coperto, per altri 10’ – ricordiamo che mentre il tartufo bianco non va mai cotto, quello nero va sempre cotto. Infine, prelevate i pezzi di pollo e teneteli in caldo. Unite nelle casseruola 10 g di farina setacciata e 1 bicchierino di Porto o Marsala secchi sobbolliti per 3’ e mescolate per pochi minuti a fiamma moderata. Regolate di sale e di pepe. Nappate il pollo con la salsa e servite.


Un piatto pugliese, anzi angioino

È una specialità molto conosciuta la cui storia però è difficile da ricostruire
/ 24.09.2018
di Allan Bay

Le orecchiette sono un formato di pasta corta, di semola di grano duro, di produzione artigianale e industriale. Diffuse in tutta l’Italia meridionale, sono da sempre considerate l’emblema gastronomico della Puglia; eppure, l’origine è controversa, anzi un mistero, perché non esistono documenti che ne attestino la nascita. Potrebbero in realtà essere originarie della Provenza, dove nel Medioevo si produceva una pasta molto simile: spessa, a forma di disco e incavata al centro mediante la pressione del pollice (per facilitare l’essiccazione e quindi la conservazione per i periodi di carestia); dalla Francia le avrebbero poi introdotte in Puglia gli Angioini, che nel Duecento dominavano la regione. Ma altri sostengono che le orecchiette avrebbero avuto origine tra il XII e il XIII secolo nella regione di Bari e che la loro forma s’ispiri a quella dei tetti dei trulli; altri ancora le vedono collegate alla comunità israelitica ossia derivate da ricette della tradizione ebraica come le orecchie di Amman (che sono dolcetti a forma di orecchio, costituiti da una semplice sfoglia realizzata con uova, farina, poco zucchero, scorza di limone e vaniglia; tagliate a pezzetti, vengono fritte in olio di semi e infine cosparse di zucchero a velo).

Comunque sia, la preparazione delle orecchiette deve avvenire a regola d’arte: l’interno dev’essere liscio e la superficie esterna, trascinata sulla spianatoia, rugosa (per meglio trattenere il condimento). Da questo gesto deriva uno dei tanti nomi assunti dalle orecchiette: strascinati; ma i dialetti hanno dato luogo alle varianti recchie o recchietelle, ma anche chianchiarelle, se piccole, e pociacche, se più grosse. La tradizione vuole che le orecchiette siano prodotte artigianalmente, ma da tempo la produzione industriale di pasta secca le ha incluse tra i suoi formati. L’abbinata classica è con le cime di rapa, ma nel Salento si condiscono con sugo di pomodoro – con o senza spezzatino di carne o polpette o braciole – e ricotta di pecora.

Se volete cimentarvi, ecco come si fanno. Per 4 persone. Setacciate 100 g di farina di grano duro con 200 g di farina bianca e impastatele sulla spianatoia con un pizzico di sale e acqua tiepida in quantità sufficiente a ottenere un impasto abbastanza sodo. Staccatene una piccola parte per volta, formate un cilindro dello spessore di 5-6 mm e tagliatelo in pezzetti della lunghezza di 1 cm. Coprite la pasta rimasta con una ciotola per evitare che asciughi troppo. Premendo leggermente con la punta arrotondata di un coltello, dal lato del dorso, «strisciate» i pezzetti di pasta sulla spianatoia in modo da formare un piccolo incavo. Rovesciate quindi i pezzetti sulla punta del pollice ottenendo così le orecchiette. Trasferitele su un canovaccio infarinato per farle asciugare. Proseguite con la stessa procedura fino a esaurimento della pasta.

In cottura, tradizionalmente vengono cotte in acqua salata al bollore insieme alle verdure prescelte e cotte in tutto circa 6/8 minuti se fresche: ma se le comprata già fatte, secche, controllate sulla confezione. Ovviamente tuffando le verdure mondate in base al loro tempo di cottura, quindi o prima o insieme o anche dopo aver tuffato le orecchiette, ché in genere cuociono più rapidamente delle orecchiette. Poi si scola il tutto e si salta in padella, con olio e poca acqua di cottura.