Un grande grazie a Caterina

Il vino nella storia - Uno sguardo sui banchetti delle grandi corti rinascimentali
/ 10.04.2017
di Davide Comoli

Un invito alla sobrietà nel bere ci viene fornita da Pietro Aretino (1452-1556) personaggio famoso perché temuto dai potenti per le sue pasquinate licenziose e sferzanti che interpretavano lo scontento del popolo per la condotta del conclave seguito alla morte di Leone X. 

Conteso dalle grandi corti rinascimentali (Paolo III lo volle alla corte papale, i Gonzaga a Mantova, i Medici a Firenze), Pietro Aretino riteneva che i banchetti servissero per le relazioni sociali e per rinsaldare i rapporti con gli altri. Amava molto il vino e la sua cantina era notoriamente ben fornita; fu un gastronomo smodato, ma non un bevitore sfrenato e consigliava la moderazione se si voleva gustare appieno tutte le qualità del vino. In una lettera all’amico Jacopo Sansovino, detto il Tatti, famoso architetto e scultore dell’epoca dice: «Il vino temperatamente bevuto moltiplica le forze, cresce il sangue, desta l’appetito, fortifica i nervi, discarica la malinconia, desta l’allegrezza».

Se fino verso il 1400 i vini italiani famosi non superavano la ventina, già nella prima metà del 1500 sembrava quasi di ritrovare tante qualità di vini quante Plinio ne aveva descritte nella sua Historia naturalis. Se pur brevemente, ecco riassunta la situazione vinicola delle regioni più prossime al Ticino.

Che il Nebbiolo fosse già conosciuto in Piemonte lo dimostra una bolla del 1300 che minacciava i Canonici di S. Maria a Novara di scomunica perché tenevano Tabernam nel monastero stesso, ma già Pier de Crescenzi nel 1300 scriveva: «L’uva nibiola produce un vino ottimo da serbare e potente molto».

Nel XV secolo un anonimo descrive il Resenium, l’antenato dell’odierno Arneis in questo modo: «Faceva uva buona da mangiare e vini atti a tagliare il Nebbiolo che così si faceva più leggero e morbido».

Nel 1303 il Marchese di Clavesana rese obbligatoria in quel comune la coltivazione del Dolcetto e solo nel 1609 appare il nome Barbera; non mancano poi i bianchi tra i quali spiccano il Cortese e il Moscato.

Avendo Genova un mercato in espansione, in città arrivavano vini dalle due riviere: da Dolceacqua arrivò un vino chiamato Rossese portato in Liguria dagli uomini di Andrea Doria (1466-1560) dopo una scorreria in territorio francese. Da Lerici e Portovenere arrivarono le Vernacciole, il Vermentino e i Moscatelli, vitigni probabilmente importati in Italia durante la dominazione Aragonese alla fine del XIV sec. Ma già il Boccaccio (1313-1375) nel suo Decamerone cita la Vernaccia di Corniglia.

In Lombardia i luoghi intorno ai laghi alpini sono importanti centri di produzione, ma Voghera in quel tempo era sicuramente il maggior centro di viticoltura lombarda.

In Valtellina le uve Pignole vengono già menzionate da Pietro de Crescenzi e Ortensio Lando (1548) nel suo Commentario delle più nobili e mostruose cose d’Italia definendole: «L’archetipo di tutti i vini della valle». Grazie ai mercati di Bormio, il vino valtellinese trova sbocco verso i mercati svizzeri. Nel 1616, lo storico e diplomatico Giovanni Guler Von Weineck fa stampare a Zurigo un libro, Raetia, nel quale dice tra l’altro che «I vini che si producono in Valtellina sono rossi e si preparano con grappoli sceltissimi. Essi sono buoni e gradevoli al palato e costituiscono una bevanda gradevole al palato e anche assai generosa salubre e opportuna… Essi sono limpidi e chiari come cristallo, generosi come l’acquavite…».

Per chi fosse interessato a questo argomento consigliamo di consultare I vini italiani nel medioevo di Federigo Melis, stampato nel 1984 dall’Istituto Internazionale di Storia Economica «F. Datini» di Prato.

Visto che siamo a Prato perché non accennare ai vini Toscani dell’epoca?

Bianco famoso era già la Vernaccia di San Gimignano; altri bianchi provenivano dall’isola d’Elba e del Giglio, singolare il caso del Trebbiano di Montecarlo che alcune lettere datate 1492 dicono assai ambito a Firenze.

In tema di rossi (che erano i più diffusi) abbiamo i robusti vini di Montepulciano, quelli di Cortona e i vini del Casentino un po’ più leggeri, più all’interno già emerge il Montalcino (il nome Brunello lo si ritroverà alla fine del 500). Il vino che darà fama alla Toscana appare alla fine del XIV sec. Molte sono le ipotesi sulle origini del nome Chianti, recenti studi affermano che il nome derivi dalla voce etrusca clanis l’antico nome del Mastallone affluente del fiume Arbia, che attraversa appunto la zona del Chianti. Da una lettera della contessa Isabella Guicciardini, 9 gennaio 1542, scritta al consorte, apprendiamo che: «Il Chianti mi piace assai e io non me ne diparto».

Nella Firenze inizio 1400 esistevano nel raggio di 3 miglia 90 spacci di vino tra taverne e venditori al minuto.

Nel Rinascimento una delle figure più romanzate sotto l’aspetto che interessa alla nostra storia è Caterina de Medici, pronipote di Lorenzo il Magnifico. Caterina nacque a Firenze nel 1519. Personaggio molto importante nella storia e politica di quel tempo, fu madre di tre re di Francia e attraverso loro reggente per trent’anni. Secondo alcuni studiosi, Caterina è stata l’anello di congiunzione fra la civiltà rinascimentale italiana e quella francese (ma non tutti sono d’accordo).

Bravissima a organizzare feste e balli, Caterina porta rinnovamenti alla corte di Francia anche in campo gastronomico, al suo seguito condusse maestri pasticcieri, cuochi e bottiglieri. A Firenze nel 500 già si producevano ottimi liquori profumando l’acquavite. I Rosoli, grazie a Caterina arrivarono in Francia e da allora Montpellier diventò un famoso centro di produzione di liquori. Infatti tra i suoi accompagnatori figurano i nomi di veri specialisti della distillazione come Arnaldo della Stufa, Rinaldo Montecuccoli e Luigi Alemanni, che scrisse un poema didascalico sul tema enologico che portò un avvicinamento tra le tecniche di vinificazione in uso in Francia e quelle Toscane.

E fu grazie all’intervento di Caterina e del vitigno Trebbiano, portato con sé dalla Toscana, se oggi possiamo godere di quel meraviglioso distillato che è il Cognac, prodotto con il vitigno Ugni Blanc ovvero per l’appunto con il Trebbiano.