In questi anni abbiamo parlato di tante cucine regionali italiane e di tanti paesi del mondo, ma mai di quella della Campania.
Piatti di semplice frugalità e sontuosa sovrabbondanza si affiancano e si contrappongono nella cucina campana, in particolare in quella napoletana, erede dei fasti della corte borbonica. Influssi francesi, spagnoli, normanni, greci e bizantini si fondono indissolubilmente tra di loro, mescolandosi ai prodotti ortofrutticoli, vero e proprio vanto della regione insieme all’assortimento di pesce.
Protagonisti indiscussi del mercato ortofrutticolo sono i pomodori – approdati qui piuttosto tardi, solo nella seconda metà dell’Ottocento – cui si affiancano peperoni, broccoli, carciofi e scarole. Utilizzati per guarnire la pizza, piatto simbolo della gastronomia campana e napoletana in particolare, sono alla base anche dei tanti sughi destinati alla pasta, altro emblema della regione.
Cucinati rapidamente o stufati a fuoco lento con la carne, si trasformano in condimenti squisiti; se poi il sugo è arricchito con la carne, la pasta diventa un piatto unico. Molto apprezzati anche gli ortaggi ripieni; oltre ai peperoni, si usa per esempio farcire la scarola con un gustoso ripieno di olive, acciughe, capperi, pinoli e aglio. Una simile combinazione insaporisce i polpi alla Posillipo, mentre quelli alla Luciana sono cotti con peperoncino e pomodoro.
Piatti semplici, quindi, ma non per questo meno saporiti, da consumare quotidianamente, a differenza delle complesse ed elaborate pietanze che serbano memoria della cucina di corte e che sono oggi riservate ai giorni di festa. L’esempio migliore è offerto dalle infinite ricette fatte con gli spaghetti o con altri formati di pasta. Ma anche dal sartù di riso, un ricco timballo composto da una farcia (pancetta, piselli, salsiccia, fegatini, funghi, mozzarella, prosciutto), da polpettine di carne trita e parmigiano, e da riso condito con ragù alla napoletana (carne di maiale o manzo, lardo, verdure aromatiche, pomodori).
Ampio spazio trovano anche i latticini di bufala o di vacca, a cominciare dalle ben note mozzarelle, protagoniste della pizza, di piatti come gli spaghetti alla caprese, o racchiuse tra due fette di pane e fritte per finire in carrozza. Ma non di sola mozzarella vivono i campani: ecco allora la scamorza, il caciocavallo, il provolone, il burrino.
Fuori del capoluogo, si segnalano i torroni e in un’area influenzata dalla cucina pugliese – un influsso rilevabile, per esempio, nel consumo di orecchiette, sconosciuta a Napoli; anche il casertano si difende bene, con la pasta lardiata, preparata con il lardo, e gli Ziti ripieni, farciti con salame, uova, cipolle e caciocavallo; a Salerno si prepara invece il Viccillo, una ciambella salata con uova sode, mozzarella e salame. Tra i dolci ricordiamo la pastiera napoletana, tipica del periodo pasquale, le sfogliatelle ripiene di ricotta e canditi, e gli struffoli.
E poi c’è la pizza. Piatto popolare da sempre, non era «riconosciuto» come tale dalla critica gastronomica. Al punto che quando il sommo Pellegrino Artusi, vate della cucina dell’Italia Unita, va a Napoli, non la vede, proprio non la cita nell’ultima edizione del suo libro, che comprende piatti di tutte le regioni. Chiama pizza un dolce che ancora esiste con questo nome, ma è un piatto storico semi sconosciuto, oggi.