Csf (Come si fa)

(pxhere.com)

Parliamo di canapè: un piatto un po’ vecchio stile che oggi, purtroppo, molti non conoscono.

È una preparazione gastronomica per antipasti o buffet freddi. Più grandi di una comune tartina, sono costituiti da una fetta di pane privata della crosta e guarnita variamente, calda o fredda (nel primo caso sono assimilabili a dei crostini). I canapè freddi sono solitamente preparati con pancarré tagliato in due triangoli, lasciato indurire per circa un’ora e spalmato con burro o maionese. Se il burro è aromatizzato con gamberi, acciughe, senape o altro non sono previste guarnizioni; se invece viene servito al naturale, si può scegliere di arricchire la guarnizione con salmone affumicato, bottarga, salumi, caviale, fegato grasso e così via. La maionese si accosta invece con crostacei lessati, uova, verdura cruda (in genere lattuga) o cotta (per esempio piselli o asparagi), olive nere o verdi, petto di pollo cotto. Si possono usare anche gelatine o creme con formaggi misti, come gorgonzola o mascarpone. Una variante molto apprezzata è costituita da pane spalmato di burro e bordato con maionese, guarnito con pesci affumicati come tonno, storione, spada o trota. Il pancarré può essere sostituito da pane integrale o di segale; in questi casi, si utilizza il burro guarnito con speck o pesci marinati (anguilla, sgombro o aringa). In ogni caso, i canapè devono essere preparati appena prima di essere serviti.

Vediamo come si fanno. 

Canapè di pesce
Ingredienti per 4 persone. Saltate 300 g di ritagli di qualsiasi pesce con un filo d’olio per 1’, poi scolate. Unite nella padella 1 peperone giallo mondato e tagliato a juliénne, saltate per 2’, poi legate con una punta di concentrato di pomodoro stemperato in poca acqua e cuocete ancora per 1’. Levate, fate intiepidire e mescolatelo ai pesci, regolate di sale e di pepe. Servite su triangoli di pancarrè fatti come indicato sopra. 

Al posto del pesce potete mettere straccetti di qualsiasi carne.  


Tra il frugale e il sontuoso

Un viaggio culinario nella terra campana e in particolare per scoprire la cucina napoletana
/ 08.10.2018
di Allan Bay

In questi anni abbiamo parlato di tante cucine regionali italiane e di tanti paesi del mondo, ma mai di quella della Campania. 

Piatti di semplice frugalità e sontuosa sovrabbondanza si affiancano e si contrappongono nella cucina campana, in particolare in quella napoletana, erede dei fasti della corte borbonica. Influssi francesi, spagnoli, normanni, greci e bizantini si fondono indissolubilmente tra di loro, mescolandosi ai prodotti ortofrutticoli, vero e proprio vanto della regione insieme all’assortimento di pesce.

Protagonisti indiscussi del mercato ortofrutticolo sono i pomodori – approdati qui piuttosto tardi, solo nella seconda metà dell’Ottocento – cui si affiancano peperoni, broccoli, carciofi e scarole. Utilizzati per guarnire la pizza, piatto simbolo della gastronomia campana e napoletana in particolare, sono alla base anche dei tanti sughi destinati alla pasta, altro emblema della regione.

Cucinati rapidamente o stufati a fuoco lento con la carne, si trasformano in condimenti squisiti; se poi il sugo è arricchito con la carne, la pasta diventa un piatto unico. Molto apprezzati anche gli ortaggi ripieni; oltre ai peperoni, si usa per esempio farcire la scarola con un gustoso ripieno di olive, acciughe, capperi, pinoli e aglio. Una simile combinazione insaporisce i polpi alla Posillipo, mentre quelli alla Luciana sono cotti con peperoncino e pomodoro. 

Piatti semplici, quindi, ma non per questo meno saporiti, da consumare quotidianamente, a differenza delle complesse ed elaborate pietanze che serbano memoria della cucina di corte e che sono oggi riservate ai giorni di festa. L’esempio migliore è offerto dalle infinite ricette fatte con gli spaghetti o con altri formati di pasta. Ma anche dal sartù di riso, un ricco timballo composto da una farcia (pancetta, piselli, salsiccia, fegatini, funghi, mozzarella, prosciutto), da polpettine di carne trita e parmigiano, e da riso condito con ragù alla napoletana (carne di maiale o manzo, lardo, verdure aromatiche, pomodori). 

Ampio spazio trovano anche i latticini di bufala o di vacca, a cominciare dalle ben note mozzarelle, protagoniste della pizza, di piatti come gli spaghetti alla caprese, o racchiuse tra due fette di pane e fritte per finire in carrozza. Ma non di sola mozzarella vivono i campani: ecco allora la scamorza, il caciocavallo, il provolone, il burrino.

Fuori del capoluogo, si segnalano i torroni e in un’area influenzata dalla cucina pugliese – un influsso rilevabile, per esempio, nel consumo di orecchiette, sconosciuta a Napoli; anche il casertano si difende bene, con la pasta lardiata, preparata con il lardo, e gli Ziti ripieni, farciti con salame, uova, cipolle e caciocavallo; a Salerno si prepara invece il Viccillo, una ciambella salata con uova sode, mozzarella e salame. Tra i dolci ricordiamo la pastiera napoletana, tipica del periodo pasquale, le sfogliatelle ripiene di ricotta e canditi, e gli struffoli.

E poi c’è la pizza. Piatto popolare da sempre, non era «riconosciuto» come tale dalla critica gastronomica. Al punto che quando il sommo Pellegrino Artusi, vate della cucina dell’Italia Unita, va a Napoli, non la vede, proprio non la cita nell’ultima edizione del suo libro, che comprende piatti di tutte le regioni. Chiama pizza un dolce che ancora esiste con questo nome, ma è un piatto storico semi sconosciuto, oggi.