Tra il XVI e il XVII secolo sulle colline ungheresi della zona del Tokaj, si cominciò a vendemmiare separatamente i grappoli appassiti per la produzione di un vino conosciuto come «aszú bon» (vino passito).
L’elaborazione di questo nuovo tipo di vino è legata secondo leggenda, al nome del pastore evangelico Maté Szepsi Laczkó. Il mito delle origini del Tokaj, racconta che dopo una vendemmia ritardata per il timore di un attacco da parte degli Ottomani, Laczkó fece pigiare gli acini botritizzati, separati dagli altri e con questi fece un vino squisito che in occasione della Pasqua del 1650, offrì in omaggio alla principessa Zsuzsanna Lorántffy consorte del Re ungherese György Rákóczi I. Quello venne considerato il giorno della nascita ufficiale del vino che fu battezzato Rex Vinorum: il Tokaj Aszú.
Tuttavia già nel 1576 S.F. Balazs nella sua «Nomenclature» accennava a un vino prodotto con uve aszú e recentemente sono stati trovati documenti risalenti al 1571, dove si parlava di una spartizione di eredità e si accennava a delle botti di «vino fatto con aszú».
La pratica di produzione di questo tipo di vino si estese rapidamente nella Tokajhegyalia. Nel 1700, Ferenc Rákóczi, grande e ricco possidente terriero, emanò una legge che regolamentava la viticoltura e la produzione di Tokaj. Questa legge durò per molto tempo e prevedeva tra l’altro l’istruzione professionale dei responsabili della cantina. Il principe Rákóczi, capo dei nobili regnanti in Transilvania, divenne il leader degli ungheresi nella loro rivolta contro gli Asburgo. Alla ricerca di alleati, prese contatto con lo Zar Pietro il Grande. L’invio degli emissari in Russia alla corte dello Zar fu naturalmente accompagnato da qualche barile del miglior Tokaj, tanto che lo stesso Zar, divenne promotore del suo consumo e del commercio in Russia.
A partire dal XVII sec. la regione di Tokajhegyalia sviluppò ampiamente il commercio con altre nazioni, rivolgendosi in modo particolare verso la Polonia.
Il commercio con il nord e con l’est si estese animato da mercanti ebrei, verso Varsavia, Danzica, Vienna, San Pietroburgo e Parigi, dove pare che Luigi XIV amasse in modo particolare questo nettare. Si arrivò addirittura a trovare un accordo con le esigenze connesse alle regole religiose degli Ebrei Ortodossi così da produrre anche un Tokaj Kosher.
Di sicuro questo vino fece breccia in modo positivo su molte personalità politiche, artisti e scrittori dei secoli passati; Voltaire e Goethe cercarono spesso l’ispirazione in un bicchiere di questo liquido dorato, cui addirittura è stato reso omaggio nell’inno nazionale ungherese.
La particolarità di questo celeberrimo vino, è quello di essere vinificato con uve botritizzate, cioè attaccate dalla Botrytis Cinerea, meglio conosciuta sotto il nome di «Muffa Nobile».
Alla fine del 1500, le varietà di uve più diffuse nell’area erano il: Fehér Szolo e il Purcsin. Solo nel 1700 il Furmint diventò il vitigno principale della regione; ancora oggi si discute sull’origine del nome: alcuni sostengono che derivi dall’antico francese forment (frumento) parola che ricorda il colore del vino, altri sostengono che l’etimologia del nome derivi dalla città di Formia, luogo d’origine di viticoltori italiani chiamati in loco.
Alla fine del secolo cominciò ad affermarsi un altro vitigno l’Harslevelu (foglia di tiglio); altre varietà diffuse all’inizio dell’800 furono anche il Gohér e il Muskotály: ma Furmint e Harslevelu, dopo l’invasione filosserica del 1885, divennero i vitigni principali. Alcuni studiosi di ampelografia ungheresi, sostengono che la prima citazione del Furmint risalga al 1623 e si trovi in documenti relativi del pastore M.S. Laczkó.
Il Furmint si affermò in modo particolare perché era molto adatto alla sovramaturazione e alla botritizzazione, e noi aggiungiamo con le conoscenze odierne, per la sua aromaticità. Nell’Harslevelu si nota invece un’elegante speziatura e morbidezza. Nei moderni Tokaj entra anche un cinque per cento di Muscat de Lunel (il Muskotály) che arricchisce i vini con note fruttate e floreali.
Questo è il metodo elaborato della tradizione: nella vendemmia si asportano i grappoli e gli acini attaccati da Botrytis. Si tengono separati dagli altri e si mettono nei puttonyos, recipienti di legno dalla capienza di circa 25 kg di aszú.
I Tokaj possono contenere da due sino a sei e alle volte otto puttonyos. L’unità di misura è un fusto da 136 litri. Più alto è il numero dei puttonyos aggiunti, più alta è la concentrazione di zucchero nel vino.
Ai mercati, i contadini vendevano l’aszú o andavano a proporlo ai vinificatori che immergevano la mano nei contenitori, schiacciavano l’aszú e lo annusavano affinché non ci fosse «muffa» non nobile.
Gli acini botritizzati, dopo la vendemmia vengono accumulati insieme e messi in un recipiente forato nella parte inferiore. Il succo che ne cola, per il peso dell’uva sovrastante, va a formare la preziosissima eszencia che viene consegnata in damigiane di vetro e può raggiungere 850 g/l di zucchero. Il vino così prodotto richiede in genere almeno dieci anni di evoluzione: è un vino, inutile aggiungere, estremamente dolce, con profumi di marzapane, datteri, mele al forno e confettura d’albicocca; provatelo con il Somloi-Galuska, una delizia di torta cioccolato e panna.