Bussole

Andare oltre  il tempo

«Un passo più in là, un movimento ampio o breve. Andare via proprio in un certo momento. È allora che le cose cominciano ad accadere. Quando si schiude la porta della stanza dei giorni quotidiani e si va oltre l’incanto di un tempo immutabile, oltre la promessa beffarda che la vita può attendere ancora a lungo. Andare via. È allora che la vita sembra poter accadere in maniera più decisa e repentina. Intensa e improvvisa. Un passo poco più in là, un movimento ampio, l’andare via proprio in un certo momento. Un gesto che possa placare l’inquietudine…»

Le nostre speranze abitano lontane, si nascondono immobili dietro il filo dell’orizzonte. Per questo chi cerca un nuovo inizio deve partire. Può essere un viaggio interminabile, alla fine del mondo, come quello intrapreso da Paul Gauguin nel 1891 verso i colori e la primitiva purezza di Tahiti; oppure il viaggio del diciassettenne Fernando Pessoa per tornare dal Sudafrica a Lisbona nel 1905, solo, pronto ad ascoltare la folla di voci che abitava in lui; ancora la fuga dal nazismo di Albert Einstein attraverso l’Atlantico; infine la traversata degli Stati Uniti in auto compiuta da Joni Mitchell nel 1976, per lasciarsi alle spalle il disincanto di un amore finito.

In altre vite invece per varcare quella soglia basta poco, anche solo attraversare Parigi sull’autobus n. 80 per rispondere a un’offerta di lavoro letta sul giornale, come accade un giorno di agosto del 1961 al giovane Robert Luchini, figlio di immigrati italiani, con un negozio di frutta e verdura; alla fine di quel minimo viaggio lo aspettava un lavoro umile presso un elegante parrucchiere per signora vicino agli Champs-Élysées, il nome d’arte di Fabrice, dei corsi di recitazione, una luminosa carriera di attore cinematografico e teatrale…

Bibliografia
Federico Pace, Controvento. Storie e viaggi che cambiano la vita, Einaudi, 2017, pp. 178, € 14.00.

La copertina del libro di Federico Pace, «Controvento»

Sulle ali di una vespa

Viaggiatori d’Occidente - Darsi all’avventura a bordo di veicoli storici è di moda
/ 10.07.2017
di Claudio Visentin

«Perché esplorare quando puoi rassettare? Perché veleggiare in solitaria quando puoi leggere in tranquillità, fare del trekking quando puoi prendere un taxi, calarti in corda doppia quando puoi scendere le scale, stare in piedi quando puoi sederti, o ascoltare i Greatest Hits di Neil Sedaka quando puoi toglierti la vita da solo?» Così si chiedeva qualche anno fa il comico inglese Tony Hawks e noi potremmo aggiungere alla lista: «Perché viaggiare con un vecchio mezzo di trasporto se puoi usarne uno nuovo?».

Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare al 1946. In quell’anno la Piaggio, un’industria aeronautica dell’Italia sconfitta, cercava nuovi prodotti di largo consumo. E l’idea vincente fu una motocicletta diversa da tutte le altre, la Vespa: economica, comoda e divertente. Il suo segreto? La carrozzeria copriva il motore e le parti meccaniche principali; al tempo stesso proteggeva dalla polvere e dal fango della strada, permettendo di guidare con gli abiti di ogni giorno. 

Superate le necessità immediate dei primi, difficili anni del dopoguerra, la Vespa fu utilizzata anche nel tempo libero per escursioni domenicali, ma certo nessuno poteva immaginare che a distanza di decenni sarebbe stata scelta per lunghi viaggi. Il protagonista di quella svolta fu Giorgio Bettinelli: dopo una fortunata carriera tra musica e cabaret, seguita da una stagione più oscura e difficile, negli anni Novanta Bettinelli comincia una nuova vita in sella a una Vespa ricevuta a saldo di un debito mai pagato. Nel 1992-93 viaggia dall’Italia al Vietnam percorrendo ventiquattromila chilometri in sette mesi (In Vespa. Da Roma a Saigon, Feltrinelli 1997). Poi non si ferma più: nel 1994-95 discende l’intero continente americano, tra il 1997 e il 2001 compie il giro del mondo (144mila chilometri). Dopo aver superato infiniti pericoli e disavventure in sella alla sua Vespa, Bettinelli muore improvvisamente nel 2008 in Cina per un’infezione; e proprio La Cina in Vespa resterà il suo ultimo libro. Oggi i viaggiatori in Vespa sparsi per il mondo non si contano più e molti di loro utilizzano veicoli storici.

Nel 1948, proprio a partire dalla Vespa, la Piaggio realizzò un piccolo veicolo commerciale a tre ruote, l’Ape, anch’esso destinato a un luminoso futuro (sino a oggi solo in Europa ne sono stati venduti due milioni e mezzo di esemplari). Dapprima l’Ape prese semplicemente il posto dell’asino nel trasporto locale. Poi, quando giunsero i primi turisti internazionali, fu realizzata la versione «Calessino», una sorta di risciò motorizzato per muoversi nelle strette vie dei borghi di mare italiani: diventerà uno dei simboli della Dolce vita, oggi riscoperto in chiave nostalgica. 

Una sua fortunata filiazione sono i colorati tuk-tuk del sud-est asiatico. L’anniversario dei settant’anni dal primo Ape Piaggio sarà l’anno prossimo, ma i festeggiamenti sono già cominciati con raduni, gare ecc. Nonostante la sua minuscola cilindrata, anche l’Ape è stato usato per lunghi viaggi. Nel 1998 un nostro collaboratore abituale, Paolo Brovelli, guidò un Ape per venticinquemila chilometri da Lisbona a Pechino (Sulle ali di un Ape, Corbaccio 2007). Così Brovelli ricorda quell’esperienza: «Se viaggi alla guida di un Ape il mondo ti accoglie con un sorriso, anche solo per prenderti in giro, e il sorriso è il miglior lasciapassare per nuove conoscenze». Non sono mancati imitatori: l’anno scorso otto ragazzi hanno viaggiato e raccontato l’Etiopia a bordo di tre Ape, col progetto Il mondo al rallentatore.

Il regno incontrastato della Vespa durò un decennio, poi gli Italiani, grazie al boom economico, cominciarono a sognare le vacanze al mare. La Fiat propone loro la Seicento, presentata a Ginevra nel 1955. Ma per qualche misteriosa ragione, a distanza di decenni, gli appassionati di viaggi gli preferiranno la super utilitaria Fiat 500, messa in vendita per la prima volta nel 1957, sessant’anni fa. Uno dei più grandi viaggiatori in Cinquecento è stato un altro nostro collaboratore, Danilo Elia: nel 2005 con una «500 R» del 1973 ha percorso sedicimila chilometri a una media di trenta all’ora attraverso mezza Europa, la steppa del Kazakistan e la taiga della Siberia fino a Vladivostok (La bizzarra impresa – In Fiat 500 da Bari a Pechino, CDA & Vivalda 2006). E nel 2007, con lo stesso mezzo, Elia ha compiuto il periplo del Mediterraneo (Intorno al mare. Tunisia, Libia, Egitto, Giordania, Siria, Turchia in 500, Hoepli 2014).

Certo, per percorrere lunghe distanze con una Vespa o una Cinquecento ci vogliono coraggio, spirito di avventura, una briciola di pazzia. Ma ci sono anche molte buone ragioni per questa scelta apparentemente irrazionale. Per cominciare questi curiosi veicoli attirano l’attenzione dei media e quindi rendono più facile trovare sponsor, anche solo per coprire le spese. Durante il viaggio poi sono meno esposti ai guasti perché privi di componenti elettroniche («In un’automobile tutto quello che non c’è non si può rompere», sosteneva Henry Ford) e al bisogno la loro meccanica intuitiva consente riparazioni di fortuna da parte di meccanici del posto, senza attendere pezzi di ricambio. 

Infine attirano l’attenzione dei locali, li incoraggiano ad accostarsi spontaneamente ai viaggiatori.

L’ispirazione per questi viaggi è nata regolarmente dal basso. Solo quando si accorsero del successo le aziende produttrici concessero supporto tecnico e qualche sponsorizzazione. Del resto andò così anche nel caso più famoso, il furgone Volkswagen, che gli Inglesi chiamano Combi e i Tedeschi Bulli. Incontriamo di nuovo una storia curiosa (e un anniversario). Nel 1947 nessuno ancora sapeva cosa fare dell’auto del popolo (Volkswagen) fortemente voluta da Adolf Hitler, il celebre «maggiolino». In quell’anno si cominciò a pensare a un furgone multiuso, il Transporter, costruito utilizzando lo stesso motore. Come nel caso dell’Ape, il Bulli fu dapprima usato da contadini e artigiani. Ma negli anni Sessanta alcune versioni bicolori col tetto apribile furono adottate dai surfer californiani. E dopo la celebre Summer of Love di San Francisco del 1967, molti giovani provenienti da tutto il mondo guidarono i loro Combi verso oriente lungo l’Hippie Trail, attraverso Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, India e Nepal: il viaggio più grande.