Storie dall’oasi verde di Rohuna

Il seme nel cassetto - Umberto Pasti racconta la sua esperienza in un piccolo villaggio del Marocco, dove ha costruito una casa con giardino
/ 28.05.2018
di Laura Di Corcia

«Non dovevo arrovellarmi. Qui a Rohuna c’è bisogno di elefanti e c’è bisogno di mammut. Basta guardare la valle, la petraia sconfinata, il mare. È un luogo arcaico e solenne, dove scambi i cani per unicorni e le vacche che rientrano al tramonto, se non fai attenzione, si trasformano in minotauri». Si capisce subito quale atmosfera domini l’ultimo libro di Umberto Pasti, Perduto in paradiso (Bompiani, 283 pagg.), un diario scritto con una lingua raffinatissima, colta e di originale inventiva.

Di lui avevamo già parlato nel corso di questa rubrica, recensendo il suo Giardini e no, un libro di costume volto ad indagare la moda del verde alle nostre latitudini, che, smascherata, rivela una sola cosa: la paura dei fiori, delle piante, delle erbe, di tutto ciò che è vivo e pulsa e ci ricorda le nostre origini contadine (e forse prima ancora quelle animali). Il lettore che abbia già affrontato quel testo e magari anche il successivo Animali e no non si aspetti di trovare qualcosa di simile: con questa nuova fatica Pasti affonda le mani in qualcosa di totalmente diverso, prima di tutto a livello linguistico.

A parte che questo libro, che racconta della costruzione di una casa e di un giardino nel piccolo villaggio di Rohuna, in Marocco (Pasti aveva già da tempo una casa a Tangeri), ha una vocazione spiccatamente narrativa. Ma è proprio la lingua a cambiare, a lasciare le forse comode forre dell’ironia, habitat in cui l’acutissimo scrittore e giardiniere si muove benissimo, per addentrarsi nei territori della magia, dell’incantamento, della compenetrazione dei tempi. Del resto, a Rohuna, Pasti ha voluto costruire un vero e proprio Paradiso, aiutato in questo da un nutrito gruppetto di contadini locali, dediti, fra le altre cose, allo spaccio di hashish e all’organizzazione dell’immigrazione clandestina. E quale lingua può raccontare il Paradiso, se non quella dell’immaginazione, quella surrealista, volta a trasformare i dati del reale in qualcosa di diverso, di invisibile e forse per questo ancora più vero?

L’oasi di Rohuna nelle sue mani diventa un luogo di potenti accadimenti, una terra di passaggio dove il confine fra reale e irreale si slabbra così come quello fra presente e passato. Giova proporre qualche altro passaggio: «E l’allure di quasi tutti i miei amici, il coraggio e una certa violenza, retaggio del loro passato di macellatori di basilosauri in questo mare dove le sirene non hanno mai osato mettere coda, a me evocano il periodo azzurro e oro in cui qui, oltre le Colonne d’Ercole, si stabilirono cartaginesi e fenici, e venticinque secoli prima di me, accanto ad altari intrisi del sangue di bambini immolati alla dea, piantarono i loro Giardini delle Esperidi, protetti da muraglie di gusci di murici bolliti per estrarne la porpora». Un luogo in cui è facile perdersi nell’incantamento, ma attraversato da squarci di violenza, dal male, per esempio quello dell’ignoranza, che porta il gruppo di contadini-operai-giardinieri a picchiare un ragazzo per la sua omosessualità.

Le contese sono all’ordine del giorno, le asce si alzano con una certa facilità, ma la sera cala sulle teste di tutti come una calda coperta, e allora il giardino diventa il luogo in cui i conflitti si appianano e in cui è possibile esperire un’autentica esperienza di comunione. Pasti descrive un Marocco che è in bilico fra presente e futuro, dove zone protette e incontaminate, come Rohuna e i suoi dintorni, si stanno sgretolando sotto i colpi secchi del progresso, dell’odio degli esseri umani nei confronti della natura. I suoi tentativi di salvare gli iris dalla costruzione di hotel e case di vacanza sono commoventi – anche se concreti e fattivi.

In quel Paradiso, dove il sesso va spostato ai margini, quindi sulla spiaggia, dove possono avvenire stupri e bisogna stare attenti, dove il bene e il male sono intimamente connessi e rivelano il loro doppio volto proprio dove meno te lo aspetti, si può trovare la felicità. Come? Lavorando la terra. Onorandola proprio nel momento in cui è brutalizzata da un tempo ostile, che se ne vuole liberare perché umiliato dalla sua bellezza.

BibliografiaUmberto Pasti, Perduto in paradiso, Bompiani, 201, 283 pagg.