Può essere letto come una guida, ma anche utilizzato per mettere a frutto l’immaginazione: L’Italia è un giardino, del poeta e scrittore Tiziano Fratus, è un viaggio erudito e colto attraverso il patrimonio verde del Bel Paese, un’indagine che cerca di stabilire le sottili connessioni fra storia, tempo, natura selvaggia e tentativo di addomesticamento della stessa. Se spesso nei libri di genere il giardino viene visto con occhio critico, tacciato di ipocrisia (si cerca di rendere urbano ciò che per definizione non lo è), Fratus, che l’Italia la conosce bene e l’ha percorsa in lungo e in largo alla ricerca di alberi secolari di cui è in grado di ricostruire la storia e le vicissitudini (non a caso tiene una rubrica su questo tema sul quotidiano «La Stampa»), cambia prospettiva e ci fa capire come il riassunto di tutti i giardini stia in bilico fra solitudine contemplativa e senso del tempo che passa.
«In ciascuno di questi luoghi – spiega nell’introduzione – fedele a una radice portante, alla radice fondamentale del mio vivere da Homo radix (così si autodefinisce, ndr), ho messo alla prova il bambino che sta dentro di me, mischiando facili e istintive gioie alla meditazione del tempo che consuma e cancella». Vedere una fontanella con statue greche consumate dal tempo, assediata da forme vegetali come le eriche e circondata da alberi che resistono alle opere, crea un cortocircuito che ci porta alle domande essenziali (chi siamo, soprattutto dove andiamo), realizzando, forse, l’affrancamento dalla chiacchiera dimentica della morte già auspicato da Heidegger.
Il giardino – e Pia Pera, alla quale avevamo dedicato una puntata della rubrica parlando del suo ultimo libro e che a fine luglio ci ha lasciati, lo sapeva bene – ha a che fare con la morte, ma anche con la vita. «In queste pagine non è custodita soltanto una percezione naturalistica felix, non si tratta di mero ed estatico viaggiare alla ricerca di bellezza e magia. La radice principe è al contrario dolens, nasce dalla solitudine». È vero, ma è anche vero che questo libro trabocca di vita, di meraviglia. Percorrendo con Fratus i più bei parchi di Italia, da quello della Reggia di Monza con i suoi faggi piangenti, i lecci e i rododendri a quello della Reggia di Caserta con la Fontana di Eolo in cui il tempo «ha smangiato mani, braccia, piedi», un’anticipazione della Fontana di Venere e Adone e di quella di Diana e Atteone; passando dalla Reggia di Venaria in cui si apprende che «il rigore estetico e l’attento accostamento delle sfumature cromatiche delle fioriture costituiscono il valore aggiunto dei giardini, proprio come avviene a Versailles», sognando incantati di fronte al racconto del giardino delle rose, seguendolo ancora fino in Sicilia e agli splendidi orti botanici di Palermo, non dimenticando di passare a salutare la «grande quercia rossa secolare», alta nove metri, che sorge nell’orto botanico di Brera, lì lì per morire, non si può non sperimentare con l’autore una sensazione di sospensione, la percezione immediata della bellezza che appare di colpo, ma che fa presentire la sua presenza.
È l’entrata in una nuova, più veritiera dimensione, dove tutte le cose appaiono di colpo nette, come irrobustite nei contorni da una matita colorata. Quindi, se è vero (come sottolineava lo storico François Crouzet nell’intruduzione del libro From Folly to Follies. Discovering the World of Gardens, di Michel Saudan e Sylvia Saudan-Skira) che «tutti i giardini sono costruiti da bambini» e che «sfortunatamente i bambini crescono e si fanno adulti», apprendendo quindi che «tutto quello che pensavano fosse unico è nei fatti banale», viaggiando per le meraviglie verdi italiane, noi possiamo tornare indietro, emigrare nei territori vitalistici dell’infanzia.
Seguite Fratus in questo percorso; partite. Mettetevi in viaggio e andate a scoprire la cattedrale vegetale realizzata da Giuliano Mauri ad Arte Stella, vicino Trento, un luogo consacrato alla Land art dove all’artista è richiesto di entrare in connessione profonda con il bosco, di abbandonare per quanto possibile l’ego; andate a visitare col suo libro sotto il braccio il Parco di Pinocchio a Collodi, in Toscana, ammirando lì vicino, fra Pescia e Capannori, una delle querce più famose d’Italia, «un gigante di età compresa fra i 400 e i 600 anni», probabilmente l’albero nero descritto nella fiaba, al quale Pinocchio fu impiccato prima che arrivasse in soccorso la fatina.
Sperimentate l’elemento del tempo, «la quarta dimensione che noi attraversiamo», che nei giardini, come spiega l’autore, si concretizza nel «muro sbriciolato e tinto di giallo», nel «volto di un padre della Chiesa che il sole e le muffe stanno cancellando»; e ancora nella «vegetazione abbondante, che pitta il fondo del fiume meglio di un quadro». Seguitelo, immergetevi in quei ritagli di tempo e spazio, in quei microcosmi che alludono silenziosi al più ampio macrocosmo. Non ve ne pentirete.