Pelabuhan Sandakan – nello Stato di Sabah, nel nord del Borneo malese – è una baia lunga quindici miglia, frastagliata da isole e insenature, in cui si gettano sette fiumi. Un approdo sicuro, dove per secoli i velieri si sono riparati dalle tempeste. Ma anche la base ideale per i pirati agli occhi di Emilio Salgari che, dopo un’attenta osservazione della mappa (il grande scrittore d’avventura non visitò mai di persona quei luoghi), trovò qui ispirazione e nome per il suo più famoso personaggio, Sandokan, protagonista di undici romanzi.
Oggi nel porto di Sandakan, la città affacciata sull’omonima baia, non entrano navi bucaniere ma mercantili e soprattutto pescherecci che scaricano tonni e barracuda in un mercato che sembra una rotonda sul mare, non fosse per il puzzo di pesce e il ritmo delle mannaie che affettano. Per il resto Sandakan è una griglia di strade bordate di negozi e ristoranti di cinesi, malesi e discendenti delle tribù originarie. Musulmani, cristiani e buddisti convivono e commerciano tra le sue vie. C’è una moschea in riva al mare, chiese sparse per la città e un tempio buddista che domina la baia da una collina. La parte più esotica è la più miserabile: il Sim Sim Water Village formato da cinquecento case in legno a palafitta colorate, dove vive chi non può permettersi un’abitazione sulla terra ferma. Dei colonialisti inglesi che Sandokan – figlio dell’ultimo re del Borneo – combatteva in Le Tigri di Mompracem, resta solo una leziosa English Tea House.
Anche se non ci sono pirati né kriss malesi, Sabah è ancora oggi una terra avventurosa, grazie però a interpreti molto diversi dall’eroe salgariano divulgato da otto film e da una fortunata serie televisiva. A due ore da Sandakan si risalgono in barca le acque limacciose del Kinabatangan, il maggiore fiume di Sabah, per incontri ravvicinati con un bestiario degno del più selvaggio immaginario del Borneo: oranghi che vivono appollaiati su alberi torreggianti; buffe scimmie della proboscide, con un lunghissimo naso, che abitano tra paludi salmastre e foreste di mangrovie; dispettosi macachi dalla lunga coda; orsi di sun, la più piccola varietà di urside; e ancora enormi varani, serpenti giganti, elefanti indiani, stormi di buceri e tanti coccodrilli.
Anche chi visita Sabah però sembra preferire l’avventura narrata rispetto alla natura selvaggia. Infatti pochissimi raggiungono il Maliau Basin Conservation, una delle ultime foreste integre dove nel 2016 è stato scoperto l’albero più alto del mondo: una Shorea faguetiana di 89,5 metri. E gran parte dei turisti rinuncia alle escursioni sul fiume Kinabatangan verso l’interno a favore della Sepilok Rain Forest, una riserva di 4300 ettari a mezz’ora da Sandakan che ospita l’Orangutan Rehabilitation Center, il Bornean Sun Bear Conservation Centre e l’omonimo elegante resort. Perché qui, oltre alla comodità, si ha la certezza di vedere gli animali, anche se in un contesto artificiale: gli oranghi sono attirati dalla distribuzione di cibo e gli orsetti si muovono in uno spazio recintato.
La pigrizia dei turisti tuttavia non toglie nulla al valore delle due istituzioni. L’Orangutan Rehabilitation Center fu aperto nel 1964 per la cura degli orfani di questa specie dall’inglese Barbara Harrison, pioniera della difesa ambientale del Borneo. Ed è ancora più importante oggi quando nel resto del Borneo l’orango è a rischio di estinzione: centomila esemplari sono stati abbattuti dal 2000 da agricoltori e coltivatori di palma da olio con la scusa che lo scimmione antropomorfo (condivide il 96,4% del DNA umano) saccheggia le piantagioni per nutrirsi.
Con un terzo del territorio protetto e l’istituzione di corridoi per i loro spostamenti, Sabah è la regione che dà più speranze per la sopravvivenza degli oranghi. Qui la coltivazione delle più redditizie piantagioni di palma da olio è stata limitata al 30 per cento del territorio anche grazie al progetto di riforestazione della Nestlé (700mila alberi), il principale coltivatore del Borneo. Dopo il documentario del 2011 di David Attenborough, molti vip hanno visitato e finanziato l’Orangutan Rehabilitation Center: sono venuti Leonardo di Caprio e il principe William, non s’è visto invece Kabir Bedi, l’interprete televisivo di Sandokan.
Gli abitanti di Sabah sono meno esotici di quelli narrati da Salgari. I Sungai dei fiumi pescano con barche a motore. I Dusun, cristianizzati, continuano a coltivare il riso. I Suluk si sono convertiti all’Islam, come i Bajau, nomadi del mare qui sedentarizzati. Sono conversioni sincretiche che conservano spesso riti tribali, come quello di fecondare la semina col sangue d’un pollo, sacrificato per l’occasione. Sono scomparse solo la nudità e le cerbottane con cui cacciavano sputando frecce.
A Kota Kinabalu, capitale di Sabah, lo stile di vita è più occidentalizzato rispetto a quello dei malesi della penisola: tra grattacieli, centri commerciali, alberghi a cinque stelle e un vivace lungomare con pub e ristoranti, è evidente la ricchezza frutto delle piattaforme petrolifere offshore. La città prende il nome dal vicino monte Kinabalu, il più alto del Borneo (4095 m s/lm), scalato ogni anno da ventimila alpinisti.
La maggior parte dei duecentomila visitatori dell’omonimo parco, patrimonio dell’umanità Unesco, si danno invece al birdwatching e percorrono la rete di sentieri nella foresta pluviale tra felci arboree, liane, orchidee, piante carnivore, farfalle giganti e oltre trecento specie di colorati uccelli.
Sulla costa nord c’è l’isola di Labuan, che ispirò a Salgari la Perla di Labuan, Lady Marianna Guillonk, l’amata di Sandokan. Al confine col Brunei, Labuan non ha però nulla di romantico: è un pragmatico porto franco. L’arrembaggio tanto caro a Salgari negli anni scorsi è comunque tornato in voga nel Mare di Sulu, a nord di Sandakan: in quel caso però non erano pirati ma militanti di Abu Sayyaf, un gruppo jihadista filippino che ha rapito decine di turisti cinesi. L’esercito lo ha neutralizzato e oggi la situazione è tranquilla, anche se per sicurezza si scortano i visitatori nelle isole al largo di Sandakan, dove depongono le uova le tartarughe marine. Nella spartana Selingan (in un parco marino condiviso con le Filippine), come nella lussuosa Lankayan, si soggiorna per vedere le tartarughe deporre le uova sulla spiaggia e i loro piccoli prendere il mare nella notte…