Nel nostro viaggio alla scoperta delle cucine regionali italiane, oggi tocca al Lazio. Quasi tutti chiamano romana questa cucina, dato che la Capitale domina e assorbe, però laziale è più corretto. Semplice, popolare e gustosa: queste le caratteristiche principali di questa tradizione. È figlia di tre filoni che si intrecciano strettamente: quello cosiddetto burino (che non è un termine dispregiativo come molti credono, sia chiaro, nel Lazio vuol dire campagnolo e basta), con comunque tanti influssi abruzzesi; il macellaro, creato dall’estro popolare utilizzando le parti di scarto della macellazione: zampe, coda, guance ecc; senza dimenticare quello ebraico, cittadino e non campagnolo ovviamente, raffinato e ingegnoso.
La cucina laziale abbonda di primi piatti, asciutti o in brodo: agli spaghetti cacio e pepe fanno compagnia quelli all’amatriciana – che richiedono l’apporto fondamentale del guanciale –, o alla gricia, o alla checca (pomodori crudi e semi di finocchio), e ancora i quadrucci (un tipo di pasta all’uovo) con i piselli, le penne all’arrabbiata e la pasta con broccoli o fave; molte di queste ricette gradiscono una spolverata del gustoso pecorino locale. Attenzione: la carbonara è invece un’invenzione recente avvenuta non si sa bene dove, che ha preso piede a Roma e dovunque in Italia.
Tra le zuppe emerge la celebre stracciatella, a base di uova, semolino e pangrattato. Le carni – ovine, suine e bovine – danno luogo a piatti saporiti come la coda alla vaccinara o la paiata – intestini di bovino e ovino sgrassati, stufati con il pomodoro e serviti preferibilmente con la pasta (interessanti esempi dell’arte del recupero) – o i celebri saltimbocca alla romana (fettine di vitello e prosciutto crudo); ma su tutti domina l’abbacchio, preparato in diverse versioni: al forno, alla cacciatora, brodettato…
Non meno ricca e appetitosa l’offerta di pesce: triglie fredde con uvetta e pinoli, un piatto di origine ebraica; anguilla all’agro o alla romana (con piselli) o ancora allo spiedo; baccalà con i peperoni o dorato; mazzancolle in umido o fritte; palombo con i piselli; zuppa di telline al pomodoro. Gli ortaggi abbondano nelle aree verdi della regione (broccoli, fave, puntarelle, cicoria, lattuga…), come pure i legumi (le fave, le tenere lenticchie di Onano, i fagioli cannellini di Atina o i quarantini di Viterbo, i piselli di Frosinone).
Preparazioni tipiche a base di ortaggi sono i carciofi alla giudia, fritti, o quelli alla romana, ripieni di acciughe e pangrattato, e la misticanza, un’insalata di almeno undici erbe spontanee. Oltre al pecorino, il Lazio produce anche un’ottima ricotta, utilizzata per la preparazione di dolci e in particolare per una deliziosa crostata. L’offerta dolciaria, semplice ma varia e golosa, propone poi maritozzi, sorta di pane dolce lievitato; tozzetti, biscotti con mandorle e nocciole; pangiallo, dolce lievitato tipico del periodo natalizio, arricchito da molta frutta secca; fave dolci o dei morti, dolcetti croccanti insaporiti dalle mandorle.
Nota bene. Alla romana si dice di alcune preparazioni tipiche della cucina della capitale, accomunare da nulla se non l’uso di questa dizione: non c’è veramente nessuna correlazione fra di loro a livello di ingredienti o di tecnica di cottura. Alcune sono di origine laziale, altre importate, comunque prosperano.