Csf (Come si fa)

In vescica è un metodo di cottura in cui la carne è lessata all’interno di una vescica di bue o maiale; la vescica funge da casseruola naturale con il vantaggio che la carne cuoce nei suoi grassi e gli aromi si intensificano per i ridotti scambi con l’esterno. Si preferisce in genere la vescica suina, più resistente di quella bovina: prima dell’uso questa è lavata con cura in acqua tiepida e tenuta a bagno per 1-2 giorni – ma lo fanno i macellai che la vendono. Dopo che la carne viene inserita dentro la vescica, questa viene cucita a una delle due estremità, lasciando fuoriuscire dall’altra una cannuccia che serve da sfiatatoio. Si immerge il tutto in una pentola con acqua fredda, portata al bollore minimo e mantenuta così per il tempo previsto. Si utilizza tipicamente per cuocere capponi, polli e volatili in genere. Una variante, che sembrerebbe risalire addirittura ai longobardi, prevede l’uso di scamone o biancostato di manzo. Vediamo come si fa. 

Manzo alla longobarda in vescica. Per 6 persone. Tagliate a cubotti 1,5 kg tra polpa di manzo o di bue e biancostato disossato e metteteli in una vescica di bue o di maiale. Unite 1 o 2 cipolle mondate e finemente tritate, 2 chiodi di garofano pestati, un pizzico di sale grosso, una macinata di pepe, se volete altre spezie comunque pestate e mezzo mestolo di brodo di carne o acqua. Legate in modo ermetico un’apertura della vescica e inserite nell’altra una cannuccia che permetta la fuoriuscita del vapore. Chiudete ermeticamente anche questa apertura intorno alla cannuccia e immergete la vescica in abbondante acqua fredda, facendo attenzione che la cannuccia esca dall’acqua. Portate a leggero bollore e cuocete per circa 3 ore a fuoco bassissimo, per evitare la rottura della vescica (l’acqua deve appena vibrare); se il liquido di cottura asciugasse troppo aggiungete altra acqua bollente. Servite la vescica ancora chiusa e apritela in tavola davanti ai commensali. 

 

 


Roma a tavola

Gastronomia - La tradizione laziale propone alcuni tra i piatti più celebri della cucina italiana e si fonda su una ricca cultura popolare
/ 05.11.2018
di Allan Bay

Nel nostro viaggio alla scoperta delle cucine regionali italiane, oggi tocca al Lazio. Quasi tutti chiamano romana questa cucina, dato che la Capitale domina e assorbe, però laziale è più corretto. Semplice, popolare e gustosa: queste le caratteristiche principali di questa tradizione. È figlia di tre filoni che si intrecciano strettamente: quello cosiddetto burino (che non è un termine dispregiativo come molti credono, sia chiaro, nel Lazio vuol dire campagnolo e basta), con comunque tanti influssi abruzzesi; il macellaro, creato dall’estro popolare utilizzando le parti di scarto della macellazione: zampe, coda, guance ecc; senza dimenticare quello ebraico, cittadino e non campagnolo ovviamente, raffinato e ingegnoso.

La cucina laziale abbonda di primi piatti, asciutti o in brodo: agli spaghetti cacio e pepe fanno compagnia quelli all’amatriciana – che richiedono l’apporto fondamentale del guanciale –, o alla gricia, o alla checca (pomodori crudi e semi di finocchio), e ancora i quadrucci (un tipo di pasta all’uovo) con i piselli, le penne all’arrabbiata e la pasta con broccoli o fave; molte di queste ricette gradiscono una spolverata del gustoso pecorino locale. Attenzione: la carbonara è invece un’invenzione recente avvenuta non si sa bene dove, che ha preso piede a Roma e dovunque in Italia.

Tra le zuppe emerge la celebre stracciatella, a base di uova, semolino e pangrattato. Le carni – ovine, suine e bovine – danno luogo a piatti saporiti come la coda alla vaccinara o la paiata – intestini di bovino e ovino sgrassati, stufati con il pomodoro e serviti preferibilmente con la pasta (interessanti esempi dell’arte del recupero) – o i celebri saltimbocca alla romana (fettine di vitello e prosciutto crudo); ma su tutti domina l’abbacchio, preparato in diverse versioni: al forno, alla cacciatora, brodettato…

Non meno ricca e appetitosa l’offerta di pesce: triglie fredde con uvetta e pinoli, un piatto di origine ebraica; anguilla all’agro o alla romana (con piselli) o ancora allo spiedo; baccalà con i peperoni o dorato; mazzancolle in umido o fritte; palombo con i piselli; zuppa di telline al pomodoro. Gli ortaggi abbondano nelle aree verdi della regione (broccoli, fave, puntarelle, cicoria, lattuga…), come pure i legumi (le fave, le tenere lenticchie di Onano, i fagioli cannellini di Atina o i quarantini di Viterbo, i piselli di Frosinone).

Preparazioni tipiche a base di ortaggi sono i carciofi alla giudia, fritti, o quelli alla romana, ripieni di acciughe e pangrattato, e la misticanza, un’insalata di almeno undici erbe spontanee. Oltre al pecorino, il Lazio produce anche un’ottima ricotta, utilizzata per la preparazione di dolci e in particolare per una deliziosa crostata. L’offerta dolciaria, semplice ma varia e golosa, propone poi maritozzi, sorta di pane dolce lievitato; tozzetti, biscotti con mandorle e nocciole; pangiallo, dolce lievitato tipico del periodo natalizio, arricchito da molta frutta secca; fave dolci o dei morti, dolcetti croccanti insaporiti dalle mandorle.

Nota bene. Alla romana si dice di alcune preparazioni tipiche della cucina della capitale, accomunare da nulla se non l’uso di questa dizione: non c’è veramente nessuna correlazione fra di loro a livello di ingredienti o di tecnica di cottura. Alcune sono di origine laziale, altre importate, comunque prosperano.