Un lettore domanda cosa si intende con il termine: «cuocere al dente». Non è facile definirlo quanto sembra.
Di base è un’espressione che indica un grado di cottura ottimale che si applica principalmente ai cereali (alla pasta di semola di grano duro e ai cereali in chicchi). Questi non devono né «scuocere», diventando inconsistenti, né essere duri da masticare (con una parte interna ancora bianca e un aspetto traslucido, come l’ingrediente crudo), perché oltre a risultare sgradevoli sarebbero oltretutto indigesti.
Per essere «al dente», un chicco di riso o di orzo, uno spaghetto o un maccherone devono mantenere una certa elasticità e consistenza sotto i denti. La giusta cottura è una questione delicata, perché non ci sono tempi ad hoc fissati per ogni cereale: basti dire che il raccolto di una stessa varietà di riso proveniente dalla stessa risaia, è diverso un anno con l’altro.
E anche i maccheroni di una stessa marca possono avere un impasto diverso da una scatola all’altra… Ci vuole quindi un po’ di esperienza e molta attenzione, anche perché il punto giusto di cottura passa in fretta, un momento di troppo e la pasta o il riso sono scotti. È bene sapere che i tempi di cottura indicati sulle confezioni sono solo indicativi, che la cottura deve essere abbreviata se dopo è previsto un passaggio in forno o un salto in padella, che l’unico modo per sapere quando è il momento di scolare la pasta o di spegnere il fuoco sotto il risotto è quello di assaggiare spesso. Il giusto grado di cottura non rende soltanto i cereali più gustosi, ma anche più salutari: infatti, cotti al dente sono più digeribili e hanno un indice glicemico più basso rispetto ai cereali troppo cotti.
Per la pasta, il termine è d’uso da pochi decenni. Il motivo? Per secoli la pasta è stata fatta essiccare al sole; la texture di conseguenza era molto simile a quella delle tagliatelle di oggi: forse un pochino più dura, anche se non abbiamo certezze in merito dal momento che non c’è più nessuno a ricordare com’era la pasta essiccata al sole.
Con l’arrivo dei forni di essiccazione, che acceleravano e di molto questo processo, il «cuore» della pasta restava però leggermente duro. Che fare? Un geniale esperto di marketing, di cui non si sa nulla (anche se credo fosse un dipendente dei produttori di essiccatoi, non un pastaio), si «inventò» che la tenuta al dente era la migliore. Lo è, sia chiaro, dal punto di vista nutrizionale, ma lui o lei che fosse non lo sapevano, doveva solo trovare una spiegazione plausibile a una novità. Genialità pura.
Anche le verdure si avvantaggiano di una cottura al dente, risultando di un bel colore vivido, croccanti e più nutrienti. Per questo è consigliabile sempre, o quasi, la tradizione francese del blanchir (sbollentare in italiano): ovvero gettare le verdure in abbondante acqua bollente, cuocere rapidamente, da 1 a 3 minuti a seconda delle verdure, scolarle in acqua e ghiaccio. E alla fine cuocerle in padella molto rapidamente, diciamo 5 minuti, poi scolarle e tenerle per la bisogna a temperatura ambiente; attenzione: vanno consumate in giornata.
In mezza Europa la tradizione dice di cuocerle sino a spappolarle, in stile minestrone: ma per me questo è proprio sbagliato, si distruggono e perdono molti dei componenti buoni di cui sono ricche.
È invece esclusa la cottura al dente per i legumi, che devono essere cotti finché non sono perfettamente morbidi.