Csf (Come si fa)

(Prince Roy)

I ragoût sono preparazioni della cucina francese, simile allo spezzatino. Possono essere a base di carne, pesce o verdure, tagliati a pezzetti e cotti quanto basta in umido; il sugo viene a volte addensato con farina o patate. In italiano, la parola ragoût si è via via modificata in ragù, mutando significato e venendo a indicare un sugo di carne usato di solito come condimento per la pasta. Vediamo come si fanno due classici ragoût.

Ragoût di agnello
Ingredienti per 8 persone. Disossate 2 kg di spalla di agnello e con gli ossi e le verdure canoniche preparate un brodo. Mondate e tagliate a dadi 1 kg di verdure a piacere – patate, zucchine, porri, carote – e sbollentatele per un paio di minuti (il tempo può variare a seconda delle verdure utilizzate). Tagliate a cubi la carne, infarinatela leggermente, fate rosolare con 50 g di burro, coprite a filo con il brodo preparato, unite 8 cucchiai di soffritto di cipolla e cuocete per 2 ore. Unite le verdure e cuocete per 10’, fino a ottenere un umido. Profumate con zafferano e regolate di sale. Condite con 8 cucchiaiate di panna acida e accompagnate con patate bollite.

Ragoût rapido di controfiletto e pollo al pomodoro
Per 8 persone. Tagliate 500 g di controfiletto a bocconcini. Disossate 500 g di cosce di pollo e tagliatele a striscioline. Scaldate in una casseruola un filo d’olio con una noce di burro, unite il controfiletto, rosolatelo per 5’ mescolando, poi unite le striscioline di cosce di pollo, rosolate per 1 altro minuto, sfumate con 1 bicchiere di vino bianco secco, levate il tutto e tenete in caldo. Mettete nella padella 5 cipollotti mondati a tagliati ad anelli, con anche un po’ del verde, 2 carote tagliate a julienne e 24 pomodorini ciliegini divisi in 4 parti, bagnate con poco brodo vegetale e cuocete per 10’. Rimettete le carni, profumate con abbondante prezzemolo tritato e con la buccia di un limone non trattato finemente grattugiata e regolate di sale e di pepe.


Pasta ripiena a chi piace

Gastronomia - Le liste di gradimento personali sono sempre soggettive, anche se impopolari
/ 11.03.2019
di Allan Bay

So di sfidare l’impopolarità, forse più in Italia che in Europa, peraltro…, ma una cosa devo dire: non amo più di tanto la pasta ripiena. Lo so, esistono variabili di questa preparazione in tutto il mondo e, nello specifico, ogni comune, ma che dico, ogni frazione italiana ha le sue grandi tradizioni legate alla pasta ripiena. Persino i cinesi vantano prodotti affini, basti pensare ai loro dim sum (ravioli misti cotti a vapore che si vendono in baracchini per strada, soprattutto nel sud della Cina), che sono da un lato un classico break per pranzo e dall’altro una loro gloria riproposta in tutto il mondo, con tantissimi ristoranti specializzati e no, che prosperano ovunque.

Per correttezza ricordo che la pasta ripiena in Italia ha infiniti termini che la contraddistinguono; lemmi legati al ripieno, alla forma del raviolo, eccetera. Per comodità, in questo articolo li chiamerò tutti ravioli: qui termine generico per la pasta ripiena. 

No. Potendo scegliere, al primo posto metto il mio piatto «perfetto», cioè un risotto – sono per tre quarti piemontese, ma lo sapete, tant’è che in questi anni vi ho proposto più di cinquanta ricette di risotti. Segue nella graduatoria, la pasta secca – il restante quarto è napoletano. E poi a scendere vengono l’amatissima polenta, gli gnocchi e via elencando; per ultime le zuppe, che non mi hanno mai convinto fino in fondo. Seguono le tagliatelle nei vari formati e si chiude con la pasta ripiena. 

Forse è una sequenza un po’ barbara, so anche questo, ma è la mia… E comunque, se (anzi: dato che) la vera suddivisione dei piatti è tra quelli buonissimi, quindi quelli molto buoni, poi eccetera fino a quelli pessimi, resta valido un postulato che mi guida sempre: fra un risotto fatto male (dio mio, quanti ne ho incontrati in vita mia…) e dei buoni ravioli, vincono quest’ultimi. Però il cuore dice che la sequenza sopra indicata segue proprio il mio gusto…

Fra i ravioli, preferisco quelli asciutti a quelli in brodo (e già sento volare le pietre, pare che il raviolo in brodo sia la quintessenza del politicamente corretto); quelli piccoli a quelli grossi (questo è un dato neutro); quelli con la pasta tirata così sottile fino a essere trasparente a quella spessa (e questo invece lo condivido con la maggioranza dei miei amici). 

Ciò detto, nell’ambito dei ravioli, se proprio devo puntualizzare, amo quelli del plin – in piemontese è il pizzicotto. Il nome del piatto deriva dal fatto che la pasta all’uovo viene stesa in lunghe strisce strette, sulle quali poi si distribuisce con un sac-à-poche il ripieno a intervalli regolari, si chiude la striscia, si sigilla al meglio e poi con un pizzicotto si separano i ravioli. 

La farcia non è mai canonica, ognuno mette quella che vuole, i più utilizzano quella a base di carne arrosto (carni miste di vitello o bovino, maiale o coniglio) con spinaci o bietoline; ma esistono anche versioni di magro, con spinaci lessi e grana e più raramente con la ricotta. 

Anche da questa sommaria descrizione si evince quanto siano difficili da preparare. Io credo che si possa essere in grado di farli se si ha visto nonne e mamme farli per anni, e anche in questo caso le prime cinquanta volte, li si chiuderà male e il ripieno fuoriuscirà. Solo dopo la cinquantesima si impara.

Io non ho visto nonne e mamme all’opera e quindi mi è mancato il prerequisito. Forse è questo il motivo per cui non li ho mai fatti: li ho solo mangiati (poco…) in ristoranti di fiducia.

Il politicamente corretto dice che i ravioli del plin andrebbero mangiati senza nulla, disposti in bell’ordine su un tovagliolo che alla fine non deve risultare unto. A molti invece piacciono con (tanto) burro scaldato a color nocciola e salvia, e se proprio è giornata, spolverizzati con tartufo bianco…