Un viso sorridente, incorniciato da un vistoso cappello di piume di struzzo, mi osserva di soppiatto da un manifesto a un angolo di strada. Non è il volto di una donna, o meglio, è ciò che ne rimane: siamo a Oaxaca, nel cuore del Messico, e quella raffigurata sui poster appesi a vetrine di negozi e bancarelle di artigianato con altari e pan de muertos non è altro che una delle innumerevoli rappresentazioni della Calavera Catrina (dallo spagnolo, letteralmente: «Cranio Catrina»).
L’iconografica immagine della calavera garbancera (il teschio venditore di ceci) creato dal caricaturista José Guadalupe Posada intorno al 1913 è ormai entrato a far parte dei cliché sul Messico insieme a tacos e sombreri. I teschi di Posada, ispirati alla vita borghese e alla dittatura, assumono una forma di caricatura satirica e politica, e la Catrina – questo il nome attribuito in seguito al teschio da Diego Rivera – che raffigura lo scheletro di una donna messicana adornato da lussuosi vestiti «europei», si pone come una critica verso l’imitazione degli abiti e delle abitudini delle classi sociali più agiate.
Ma la Catrina ed El Catrín – il suo equivalente maschile – simboleggiano molto di più: ballano, passeggiano, si divertono insieme, rappresentano il piacere e la voglia di vivere del popolo messicano nonostante la consapevolezza della morte. Questo è un tema di difficile comprensione soprattutto nei paesi europei e nordamericani, dove la morte è una sorta di tabù contemporaneo, qualcosa di innominabile, da nascondere e dimenticare. Alla base dell’atteggiamento positivo di fronte alla mortalità vi sono da un lato la cosmogonia e il concetto di inframundo dei popoli preispanici, e dall’altro l’innesto della cultura cattolica con il giorno dei morti e quello di ognissanti.
Il momento della morte ha assunto connotazioni positive fin dai tempi degli Aztechi in quanto annunciatrice di una condizione migliore, celebrata in antichità con sacrifici in onore della dea della terra e della vita Coatlicue, rappresentata figurativamente con una maschera della morte.
In Messico la morte è celebrata in modo unico e speciale, al punto che il Giorno dei Morti è diventato un patrimonio orale e immateriale dell’umanità riconosciuto dall’UNESCO.
I cimiteri, detti pantheon, sono il miglior punto di partenza per celebrare il Día de los Muertos: il Pantheon San Miguel, nella zona centrale della capitale, di recente chiuso al pubblico in seguito ai terremoti del 2017, luogo per eccellenza per assistere alle veglie organizzate dalle famiglie locali, tra i fiori colorati di cempasúchil, il profumo di incenso o copal e la luce delle candele e delle lampade a olio di ricino, che tingono di giallo il grigio delle cripte e delle tombe. A mezz’ora dal centro di Oaxaca si trova il pantheon di Xoxocotlán, un altro dei punti chiave di questa celebrazione.
A partire dall’evangelizzazione di Oaxaca portata avanti dai frati domenicani Gonzalo Lucero e Bernardino de Minaya, a capo di innumerevoli missionari civilizzatori, sono state fissate le date del 1 e 2 novembre per celebrare tutti i fedeli defunti, traendo ispirazione dal culto dei morti già esistente tra le popolazioni indigene. La celebrazione dei Muertos inizia già a metà ottobre con la disposizione dei prodotti su un altare in segno di offerta. Fin dai primi giorni si installano le decorazioni di fiori dagli odori e colori caratteristici, quindi inizia l’arrivo delle persone in lutto.
Si possono trovare prodotti tipici di stagione come il mole negro, i dolci di zucca e i nicuatole, i frutti tejocote, il tutto accompagnato da cioccolato e pan de muertos. Queste prelibatezze sono utilizzate per decorare gli «altari dei morti» in onore di coloro che sono già partiti dal mondo terreno. Gli altari dei morti sono posizionati nelle case dei parenti o sulle tombe all’interno dei cimiteri, e variano secondo le tradizioni di ogni regione. Tutto ciò che il defunto amava in vita è ricordato durante la preparazione dell’altare e l’offerta viene preparata con cura il mattino del 31 ottobre. Questi altari sono solitamente posizionati su un tavolo rivestito da una tovaglia, un lenzuolo bianco o carta traforata; sulle gambe anteriori del tavolo sono legate canne da zucchero fino a formare un arco trionfale.
Il primo di novembre è il giorno in cui si «portano i morti», l’usanza è infatti quella di offrire ai parenti e agli amici della famiglia un assaggio dei piatti che fanno parte dell’offerta a chi non c’è più. Questo è anche il giorno della celebrazione dei i «piccoli angeli», coloro che sono morti da bambini. Il 2 novembre a essere celebrati saranno gli adulti.
Una volta posizionato l’altare, nessuno può toccare nulla. Gli ospiti principali sono i morti e saranno loro a dare il via alla festa; al loro ritorno negli inferi il cibo e le offerte saranno distribuite ai familiari. A nord del centro, nel quartiere Xochimilco, le famiglie aprono le loro porte a compaesani e turisti mostrando con orgoglio altari e decorazioni, mentre nella piazza antistante il Templo de Santo Tomas si svolgono degustazioni di pane e cioccolata di fronte a concerti e rappresentazioni teatrali a opera di artisti locali.
Un’altra delle esperienze imperdibili in occasione del giorno dei morti è il rituale delle comparsas. Al ritmo di chirimías, tromboni e tamburi, i quartieri e le strade principali della città sono invase da un’impressionante gara di costumi tradizionali. Allontanandosi dal centro storico, nella città di San Agustín Etla, a 20 minuti da Oaxaca, si svolge lo spettacolo delle Muerteadas, formate da gruppi di persone con costumi e caratterizzazioni di personaggi archetipici come la morte, la Catrina, il diavolo, la donna che piange, il vecchio, la vedova… a queste si aggiungono figure comuni come il fornaio, il tortillero, il macellaio della comunità, i funzionari pubblici. In queste giornate di commemorazione il gioco e la parodia invadono ogni parte della vita quotidiana, e che cos’è se non un modo di accettare gioiosamente una predestinazione che non risparmia nessuno?