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Le piante tossiche di casa nostra

Botanica - Per rischiare di procedere con una raccolta, serve una buona conoscenza, moderazione e rispetto dell’ambiente
/ 14.05.2018
di Laura Di Corcia

Primavera: il sole, le temperature miti (quest’anno più che mai), il risveglio della natura spingono a uscire di casa, a fondersi con il verde, a raccogliere fiori e odori per arricchire insalate e piatti. Ma attenzione: le scampagnate possono diventare anche pericolose se non conosciamo la materia. Così come i funghi, anche le piante vanno selezionate con cura e attenzione, perché alcune di esse sono tossiche. E se una volta le conoscenze venivano passate di generazione in generazione, oggi quel filo si è spezzato: il rischio è quello di accostarsi alle erbe spontanee in modo un po’ approssimativo e ingenuo, rischiando nel migliore dei casi qualche mal di stomaco. 

«Anche dalle nostre parti crescono in abbondanza le piante tossiche» spiega Antonella Borsari, fitoterapista e botanica. «Ce ne sono di alta montagna, di collina, alcune non tipicamente primaverili ma presenti tutto l’anno, come può essere il tasso. Altre, invece, sono tipiche della stagione primaverile». L’insidia risulta accentuata in quelle piante all’apparenza innocua, che si confondono facilmente con piante commestibili, soprattutto quando stanno per spuntare e non hanno ancora raggiunto la loro forma finale. «Alcune piante nella prima fase di sviluppo imitano le foglie di piante commestibili. È molto importante conoscere le loro caratteristiche per evitare di mettere nei nostri piatti qualcosa di tossico». 

Veniamo ai nomi e partiamo dal bellissimo maggiociondolo, un arbusto ornamentale che si nota nel mese di maggio: i suoi semi sono molto velenosi per la presenza di un alcaloide tossico, la citisina. I frutti, che ricordano i baccelli del fagiolo, sono insidiosi perché possono parere innocui ed essere ingeriti anche dai bambini. In letteratura è riportato un caso di avvelenamento collettivo di un gruppo di persone che preparò una frittata con i fiori della pianta, confusi con quelli della robinia. «Nausea, vomito e alterazione dei centri vasomotori e respiratori: questi sono i sintomi più frequenti. Solo in rari casi può avere esiti mortali».

Il maggiociondolo non è la pianta più insidiosa: più facile farsi attrarre dal colchico e dal mughetto, che un occhio inesperto può scambiare facilmente per l’odorosissimo aglio orsino. Capitano spesso casi di avvelenamento? «Devo dire di sì – precisa Antonella Borsari – anche perché negli ultimi tempi c’è stato un ritorno alla raccolta spontanea delle piante. Il mughetto, oltre a creare problemi al tratto gastro-intestinale (nausea, vomito e diarrea), è una pianta che contiene delle sostanze cardioattive, che hanno un’azione diretta sul cuore. Rallentano il battito cardiaco e possono provocare anche dei collassi. Non è una pianta mortale, a differenza del colchico». 

In effetti la pianta alla quale bisogna stare più attenti è proprio il colchico, il finto zafferano che lo scorso autunno ha ucciso due coniugi nel Veneto, i quali, ignari degli effetti mortali di ciò che avevano generosamente inserito nel piatto, ci avevano fatto un risotto. Il colchico ha un bulbo simile all’aglio, un fiore simile allo zafferano che fiorisce tra agosto e settembre; cresce spontaneo nei prati grassi e umidi delle valli di montagna, per lo più ai margini dei boschi. Contiene un alcaloide, che si chiama colchicina, un veleno anti-mitotico che in pratica blocca la divisione delle cellule. «A piccolissime dosi, sotto forma di estratto standardizzato, e sempre solo sotto stretto controllo medico, viene usato in fitoterapia, per rallentare i processi metabolici che portano alla formazione dell’acido urico, rappresentando un buon rimedio contro la gotta», aggiunge la botanica, ricordando che alcuni veleni, in piccole dosi, risultano curativi e sono utilizzati dagli erboristi da sempre. 

Ma quindi come fare per evitare che l’immersione nella natura abbia spiacevoli effetti collaterali, talvolta anche gravi? «È importante conoscere le piante nostrane, prima di farne una raccolta spontanea. Circa un terzo della nostra flora è costituito da piante potenzialmente tossiche – precisa Antonella Borsari. «Aggiungo un altro elemento che magari sfugge ai lettori: da un punto di vista legale è permesso raccogliere piante spontanee in una quantità tale da starci nel palmo di una mano». Esiste una lista rossa delle piante protette e minacciate, che si trova facilmente sul sito www.infoflora.ch

«Ci sono tante piante che una volta venivano raccolte e oggi sono a rischio estinzione, come per esempio l’asparago selvatico. Oggi, essendo poco presente in Ticino, se ne sconsiglia la raccolta. Vorrei fare un appello: non andare a raccogliere di tutto e di più, ma con una certa moderazione e nel rispetto dell’ambiente». Fra le varie attività proposte da Antonella Borsari, che collabora con il Museo cantonale di storia naturale di Lugano e con Pro Natura, ci sono delle uscite in natura per conoscere le piante indigene. La prossima riguarda le piante tossiche e si svolge alle isole di Brissago; sarà effettuata in collaborazione con Daniela Soldati, giardiniera del giardino botanico. C’è ancora posto per l’uscita del 31 maggio, per informazioni scrivere a info(at)isolebrissago.ch.