La pizza è un argomento «caldo». Per tre motivi: 1. La conoscono tutti e quando se ne parla, tutti se ne interessano. 2. Soprattutto per merito degli americani, è un piatto-mondo, onnipresente, forse anche più dell’hamburger. 3. Specialmente in Italia, ma non solo, c’è una grande crescita della pizza di qualità, nel senso che viene sempre più arricchita con ingredienti preziosi che la nobilitano.
Giunta a Napoli nel Cinquecento, prende la sua forma attuale, con pomodoro e mozzarella, soltanto nel 1889
La pizza, nelle sue diverse versioni, è presente dovunque si coltivi il grano. È una focaccia lievitata monoporzione, rotonda, piatta, alta di più o di meno, preparata con farina di frumento e condita con una ricca varietà di ingredienti, salati (ma anche dolci) che viene infine cotta brevemente in forno. A volte è anche rettangolare e cotta, sempre in formato pluri-porzione, al trancio, in una teglia unta: in questo caso i puristi dicono che se si usa olio si dovrebbe chiamare focaccia e non pizza, noi che puristi non siamo chiediamo solo che sia buona. Tonda o rettangolare che sia, resta a base di ingredienti poco costosi, di conseguenza è sempre stata e continua a essere il cibo popolare, di strada per eccellenza.
Il nome deriva da pita, termine condiviso da greci, ebrei e arabi. È il pane soffice dei nostri vicini, a volte condito a volte no. Nel Cinquecento arriva a Napoli, dove si acclimata alla grande, al punto da diventare il piatto simbolo di quella tradizione, anche più della pasta. Oltre che a Napoli, la pita ha dato origine anche ad altre tradizioni: come la pizza di patate pugliese; la bassa pizzalandrea della costa ligure, variante della provenzale pissaladière; o la alta, come lo sfinciuni siciliano. Ma il cuore è sempre stato sotto il Vesuvio.
Nella città partenopea si sposa, a fine Ottocento, col pomodoro, formando un solidissimo matrimonio d’amore e d’interesse. Poi arriva un terzo incomodo: la mozzarella fiordilatte. L’aggiunta della mozzarella risalirebbe al 1889, quando il pizzaiolo campano Raffaele Esposito elaborò questa sua creazione intitolandola alla regina Margherita di Savoia. È allora che nasce la pizza come la conosciamo oggi. Resta circoscritta a Napoli fino a questo secolo e non diventa popolare in tutta Italia sino a dopo l’ultima guerra: la prima pizzeria a Milano data 1955. Oggi, noi italiani la amiamo alla grande: si calcola che mangiamo ben tre miliardi di pizze all’anno fuori casa. Ma anche in casa, grazie al boom di quelle surgelate e alla pasta pronta da guarnire a piacimento.
Poi la scoprono gli americani: nel 1958 nasce Pizza Hut, che la propone oggi in più di 11mila ristoranti nel mondo: altre catene di pizza prosperano anche loro. All’estero la propongono sempre più alta, sempre più condita, spesso molto ricca, tanto da venir considerata un vero piatto unico. Tale è il successo, che non solo negli Stati Uniti ma in molte parti del mondo viene considerata un’invenzione americana… Succede, meglio riderne che arrabbiarsi, però, perché la cucina è un immane melting pot (minestrone) delle più disparate tradizioni: tutti copiano e tradiscono, ma è giusto così.
Le varianti italiane e internazionali sono infinite. Dobbiamo preoccuparci per questo? Assolutamente no. I nostri avi hanno avuto il coraggio di aggiungere alla loro pizza un esotico frutto americano, il pomodoro: il pubblico ha apprezzato ed è diventato subito «tradizione», che si sa è un’innovazione di successo. Quindi non dobbiamo soffrire se vediamo aggiungere cose strane sulle nostre amate pizze: sarà poi il mercato a decidere quanto valgono.