(Foto di: Lara604)

 

CSF (come si fa)

Molte ricette si chiamano: «qualcosa alla paesana». Questa espressione viene usata nei ricettari e nei menu per indicare genericamente un piatto genuino e rustico, di origini campagnole. Vuole anche indicare, come traduzione del francese paysanne, un misto di verdure tagliate a cubetti, sbollentate e utilizzate per arricchire piatti vari, minestre, fondi di cottura e guarnizioni. Ecco due straclassici «piatti alla paesana». 

Riso alla paesana
Per 4 persone. Sgusciate 400 g circa di fave fresche. Lavate, spuntate e tagliate a dadini 1 zucchina. Preparate 200 g di dadolata di pomodori. Mettete le verdure in una casseruola con 1 carota, 1 cipolla e 1 gambo di sedano tagliati a dadini, 50 g di pancetta tagliata a cubetti e cuocete a fuoco basso per 10’, mescolando. Unite 150 g di pisellini freschi e 300 g di riso Carnaroli. Portate il riso a cottura aggiungendo acqua bollente o brodo vegetale bollente, 1 mestolo alla volta e lasciandolo alla fine più o meno brodoso a piacere. Condite il riso con abbondante grana grattugiato, regolate di sale e di pepe e servite.

Filetto alla paesana
Per 4 persone. Tagliate a dadini e sbollentate: 2 patate medie, 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 zucchina, 1 pezzo di melanzana, 1 rapa, 1 piccolo peperone e altro a piacer vostro. Sbucciate e tagliate a velo 1 cipolla. Scaldate in una padella poco olio e rosolate la cipolla per pochi minuti, mescolando, poi unite le verdure e cuocetele per 2’, sempre mescolando, di seguito regolatele di sale, di prezzemolo e di peperoncino. In una padella scaldate poco olio e saltate 4 filetti da 150 g l’uno 1’ per parte, o poco più se li amate più cotti. Metteteli in una teglia, copriteli con la dadolata e passateli per 10’ in forno a 90°, quindi serviteli.


La pizza s’impreziosisce

Gastronomia Sempre più amata in tutto il mondo, la tradizionale specialità napoletana d’origine araba si presta a mille trasformazioni
/ 10.10.2016
di Allan Bay

La pizza è un argomento «caldo». Per tre motivi: 1. La conoscono tutti e quando se ne parla, tutti se ne interessano. 2. Soprattutto per merito degli americani, è un piatto-mondo, onnipresente, forse anche più dell’hamburger. 3. Specialmente in Italia, ma non solo, c’è una grande crescita della pizza di qualità, nel senso che viene sempre più arricchita con ingredienti preziosi che la nobilitano.

Giunta a Napoli nel Cinquecento, prende la sua forma attuale, con pomodoro e mozzarella, soltanto nel 1889

La pizza, nelle sue diverse versioni, è presente dovunque si coltivi il grano. È una focaccia lievitata monoporzione, rotonda, piatta, alta di più o di meno, preparata con farina di frumento e condita con una ricca varietà di ingredienti, salati (ma anche dolci) che viene infine cotta brevemente in forno. A volte è anche rettangolare e cotta, sempre in formato pluri-porzione, al trancio, in una teglia unta: in questo caso i puristi dicono che se si usa olio si dovrebbe chiamare focaccia e non pizza, noi che puristi non siamo chiediamo solo che sia buona. Tonda o rettangolare che sia, resta a base di ingredienti poco costosi, di conseguenza è sempre stata e continua a essere il cibo popolare, di strada per eccellenza.

Il nome deriva da pita, termine condiviso da greci, ebrei e arabi. È il pane soffice dei nostri vicini, a volte condito a volte no. Nel Cinquecento arriva a Napoli, dove si acclimata alla grande, al punto da diventare il piatto simbolo di quella tradizione, anche più della pasta. Oltre che a Napoli, la pita ha dato origine anche ad altre tradizioni: come la pizza di patate pugliese; la bassa pizzalandrea della costa ligure, variante della provenzale pissaladière; o la alta, come lo sfinciuni siciliano. Ma il cuore è sempre stato sotto il Vesuvio.

Nella città partenopea si sposa, a fine Ottocento, col pomodoro, formando un solidissimo matrimonio d’amore e d’interesse. Poi arriva un terzo incomodo: la mozzarella fiordilatte. L’aggiunta della mozzarella risalirebbe al 1889, quando il pizzaiolo campano Raffaele Esposito elaborò questa sua creazione intitolandola alla regina Margherita di Savoia. È allora che nasce la pizza come la conosciamo oggi. Resta circoscritta a Napoli fino a questo secolo e non diventa popolare in tutta Italia sino a dopo l’ultima guerra: la prima pizzeria a Milano data 1955. Oggi, noi italiani la amiamo alla grande: si calcola che mangiamo ben tre miliardi di pizze all’anno fuori casa. Ma anche in casa, grazie al boom di quelle surgelate e alla pasta pronta da guarnire a piacimento. 

Poi la scoprono gli americani: nel 1958 nasce Pizza Hut, che la propone oggi in più di 11mila ristoranti nel mondo: altre catene di pizza prosperano anche loro. All’estero la propongono sempre più alta, sempre più condita, spesso molto ricca, tanto da venir considerata un vero piatto unico. Tale è il successo, che non solo negli Stati Uniti ma in molte parti del mondo viene considerata un’invenzione americana… Succede, meglio riderne che arrabbiarsi, però, perché la cucina è un immane melting pot (minestrone) delle più disparate tradizioni: tutti copiano e tradiscono, ma è giusto così.

Le varianti italiane e internazionali sono infinite. Dobbiamo preoccuparci per questo? Assolutamente no. I nostri avi hanno avuto il coraggio di aggiungere alla loro pizza un esotico frutto americano, il pomodoro: il pubblico ha apprezzato ed è diventato subito «tradizione», che si sa è un’innovazione di successo. Quindi non dobbiamo soffrire se vediamo aggiungere cose strane sulle nostre amate pizze: sarà poi il mercato a decidere quanto valgono.