È l’estate di Airbnb. La popolare piattaforma di prenotazioni in rete fu inaugurata dieci anni fa, l’11 agosto 2008, proprio mentre si consumava il fallimento di Lehman Brothers e cominciava la crisi economica nella quale ancora ci dibattiamo. Ma nessuno allora poteva immaginare che quella minuscola società in pochi anni sarebbe diventata un pilastro della nuova sharing economy.
La crescita di Airbnb è stata impetuosa. Nel febbraio 2011 si contava un milione di pernottamenti venduti, diventati già cinque milioni nel gennaio 2012 e dieci milioni solo cinque mesi più tardi. Tra il 1 giugno e il 31 agosto 2018 Airbnb ha registrato sessanta milioni di arrivi in tutto il mondo e proprio l’anniversario dell’11 agosto 2018 ha segnato il record di 3,5 milioni di transazioni. Airbnb è attiva in 191 paesi (come dire ovunque), con un milione di ospiti ogni giorno.
Dalla seconda metà del 2016 Airbnb macinava profitti in rapida crescita: fattura 2,6 miliardi di dollari all’anno, impiega oltre tremila persone e alla vigilia della quotazione in Borsa è valutata trenta miliardi di dollari. Grazie al suo aiuto, negli ultimi dieci anni i proprietari di case (host) hanno guadagnato oltre quaranta miliardi di dollari (i dati sono della stessa società).
L’anniversario è l’occasione perfetta per raccontare ancora una volta la storia di due compagni di studi, Brian Chesky e Joe Gebbia, che nell’ottobre 2007 si trasferiscono a San Francisco ma rimangono presto a corto di risorse per pagare l’affitto. In occasione di un importante congresso di design, con tutti gli alberghi della città al completo, decidono di sistemare dei materassi ad aria nel salotto del loro loft e di affittarlo ai partecipanti. Per qualche tempo quel loft fu anche il primo ufficio della nuova società.
In principio gli alloggi offerti su questa piattaforma erano soprattutto stanze in case private, dunque con un prezzo più abbordabile rispetto agli hotel, oltre a offrire la possibilità di prendere parte alla vita dei residenti. Ben presto però l’offerta si è estesa a ogni tipo di alloggio: appartamenti, intere case e qualsiasi altro tipo di proprietà. Anche questo passaggio cruciale è stato raccontato in modo divertente, proponendo case sugli alberi, iurte mongole, baite, case nella roccia, trulli pugliesi, chiatte...
Fino a quel momento Airbnb piaceva a tutti. A differenza della spigolosa Uber, in lotta con il mondo intero e alla fine ridimensionata, Airbnb ha sempre raccontato storie coinvolgenti di condivisione di spazi ed esperienze, di preziosi guadagni a sostegno delle famiglie del ceto medio in crisi. In realtà molti proprietari si occupano ormai a tempo pieno delle case che affittano, spesso più di una, o impiegano persone di fiducia per questo compito. In alcuni casi interi palazzi sono stati messi sul mercato degli affitti brevi con Airbnb.
E così insieme al successo sono arrivate le critiche. Il punto di svolta è il 2016, quando abbiamo smesso di amare Airbnb. Dapprima furono accuse di razzismo, perché i padroni di casa erano restii ad affittare a neri (o omosessuali). Altri criticarono la scelta di mettere in vendita alloggi nei territori occupati da Israele. In questi casi tuttavia Airbnb ha saputo sciogliere le tensioni con scelte nitide. Anche gli albergatori protestano da sempre, ma ormai si sono rassegnati alla presenza di questo competitore; e in parte si tratta di tensioni inevitabili quando vecchie regole si scontrano con l’innovazione. È stato invece più difficile mantenere sotto controllo alcune trasformazioni profonde innescate da Airbnb nel territorio.
Un tempo si affittava la stanza libera nella casa di una persona che ti avrebbe poi consigliato e introdotto alla vita del quartiere. Ancora oggi il portale incoraggia queste «esperienze»: il surf a Los Angeles, la cerimonia del tè a Tokyo, un corso per imparare a fare la pasta a Roma… Da quando però è aumentato il numero di case destinate solo al turista, senza abitanti stabili, queste hanno cominciato ad assomigliarsi tutte. L’arredamento IKEA (un altro simbolo della globalizzazione) total white garantisce un’apparenza gradevole a buon mercato; se fotografato con la giusta luce piace sempre, ma può dare un senso di smarrimento al risveglio: dove siete? Tokyo, Londra, Los Angeles? L’architetto olandese Rem Koolhaas ha parlato di un’«allucinazione della normalità», riferendosi all’estetica di Airbnb.
Sempre più di rado abbiamo la possibilità di aggirarci curiosi tra librerie, cucine e spazi di vita quotidiana altrui con una storia da raccontare. Harrison Jacobs, corrispondente dall’Italia di «Business Insider», giura di poter riconoscere questo tipo di appartamenti dalla qualità del cuscino: «La maggior parte delle persone non compra un cuscino scadente per sé. È fondamentale per dormire bene di notte. Se soggiornate in un alloggio di Airbnb che è la casa di qualcuno, potete quindi stare piuttosto certi che avrete dei cuscini decenti per dormire».
Dagli appartamenti l’influenza di Airbnb si estende poi al quartiere circostante e all’intera città. Nelle destinazioni più richieste i proprietari ritirano dalla vendita o dall’affitto a lungo termine le loro case, riservandole ai turisti: per esempio secondo una recente ricerca dell’Università di Siena il venti per cento degli alloggi nel centro di Firenze sarebbe affittato su Airbnb. Gli affitti e i prezzi di vendita aumentano grazie alle nuove opportunità di guadagno e per i residenti è sempre più difficile (e costoso) trovare una casa alla loro portata. I negozi di alimentari lasciano il posto a caffè tutti uguali tra loro o all’affitto di biciclette per turisti. Paradossalmente proprio i visitatori che vogliono condividere la vita di quartiere, come i clienti di Airbnb, possono disturbare più dei turisti di massa degli hotel: valigie trascinate sul selciato di notte, i locali preferiti sempre affollati ecc. Da qualche tempo diverse città limitano l’attività di Airbnb: Amsterdam, Barcellona, Berlino, New Orleans, New York, Parigi, Vancouver… Airbnb poi fa troppo poco perché i profitti realizzati grazie alla sua mediazione siano regolarmente tassati nei diversi Paesi. La stessa società del resto è costantemente alla ricerca di regimi fiscali più favorevoli; non a caso i movimenti di denaro passano tutti per la sede in Irlanda, un Paese notoriamente compiacente da questo punto di vista.
Nell’immediato futuro la vera sfida per Airbnb sarà trovare un punto d’equilibrio tra la standardizzazione necessaria alla crescita, la retribuzione degli investitori e quell’ideale di apertura, autenticità e condivisione alla radice del suo successo. Sarebbe il perfetto regalo di compleanno.