Alla metà del XVII secolo, l’Europa vitivinicola era ampiamente autosufficiente e i Paesi europei si scambiavano le varie merci, vino incluso, tra loro. Fu tuttavia questa l’epoca delle grandi compagnie d’oltremare che non tardarono a scontrarsi per il dominio delle nascenti colonie, ciò che portò a una lotta sempre più cruenta tra le grandi potenze dell’epoca per la dominazione dei mercati marittimi.
La viticoltura era largamente diffusa nel centro sud dell’Europa, tanto da coprire un ampio territorio che andava dall’Ungheria al Portogallo. Molto rinomati erano i vigneti germanici sulla Mosella e sul Reno che – per via fluviale – rifornivano il Paese ed esportavano il vino in Olanda. Ma poiché verso la fine del secolo l’importanza di questi vini era andata diminuendo e il Portogallo non era ancora riuscito a conquistare un grande mercato, nel 1670 il commercio europeo era dominato dalla Spagna e in maggior misura dalla Francia.
I vini di Borgogna, apprezzati nella Parigi di Luigi XIV erano però meno conosciuti nel resto della Francia e cominciarono a diffondersi nel Paese solo dopo l’apertura (avvenuta nel 1720) dei nuovi canali. Quanto al resto del mondo conosciuto, il vino francese si identificava essenzialmente con i vini di Bordeaux. I grandi crus, che avrebbero reso famoso il Bordeaux nel futuro, ancora non esistevano e le esportazioni di vino consistevano per lo più in vino ordinario e non invecchiato, bevuto soprattutto in Inghilterra.
Tuttavia, gli olandesi, che controllavano i mercati del nord dal porto commerciale di Amsterdam ed erano meno affezionati ai «chiaretti» di Bordeaux, cercavano altre fonti di approvvigionamento lungo la costa e all’interno, dove scoprirono dei vini locali sino allora mai esportati e molto più adatti al loro gusto: vini dolci bianchi, più zuccherati e densi, come i vini del Périgord, Aunis, Saintonge e i nuovi vini di Sauternes prodotti appositamente per il mercato olandese.
Si assistette anche per la prima volta alla produzione commerciale di altre bevande alcoliche, come pure a vini di grande struttura e a una gradazione alcolica più elevata, utilizzati per il taglio di vini più deboli. Grazie alla forte domanda e all’iniziativa degli olandesi che si facevano promotori del taglio dei vini direttamente nello scalo di smistamento, si aprì un prospero e redditizio mercato per la viticoltura di alcune regioni del Mediterraneo.
Sin dal 1675, l’Olanda aveva incominciato a importare vini dal Portogallo, seguita a ruota dall’Inghilterra, grazie agli effetti dell’immagine «internazionale» del vino portoghese; fu così che, favorita da simili remunerative richieste dall’estero, ma soprattutto dalle scelte politiche condizionate dai grandi proprietari terrieri che avevano annusato sicuri profitti, si assistette a un repentino sviluppo portoghese dell’Alta Valle del Duero.
Soprattutto in Inghilterra si faceva sempre più difficile la competizione con i vini francesi che in coincidenza con il breve periodo della pacificazione tra i due Paesi (1675-1678) rappresentavano sul mercato londinese i quattro quinti circa del vino consumato in Inghilterra. Grazie a documenti dell’epoca, infatti, noi sappiamo che erano 8535 i barili di vino francese che competevano con i 5000 barili provenienti dalla Spagna, i circa 1000 che provenivano dalla Valle del Reno e i poco più di 100 da Portogallo e Toscana.
Quando però, per circa sette anni, si interruppero i rapporti commerciali tra Inghilterra e Francia, fu il Portogallo che vide le sue esportazioni salire a circa 17’000 barili.
In seguito, però, le esportazioni del vino francese – che avevano già subito un crollo a causa del boicottaggio inglese in seguito agli avvenimenti bellici a cavallo tra il XVII e XVIII secolo – subirono il blocco totale. Fu allora che il vino spagnolo occupò lo spazio che era stato dei vini del Bordolese e della Borgogna. Oltre il 70 per cento del vino proveniva dalle Canarie, tuttavia anche il Portogallo tornava ad essere competitivo con i suoi vini, grazie al miglioramento qualitativo di quelli prodotti a Porto, ma soprattutto per le mutate esigenze sensoriali dei consumatori inglesi.
Non fu solo la qualità, ma soprattutto la scelta economica a favorire i vini della penisola Iberica, visto che fruivano di una minore tassazione (meno della metà dei vini francesi). Appare comunque chiaro che il vino francese alla fine del XVIII secolo subì un trattamento negativo per ragioni politiche più che economiche (vedi guerre Napoleoniche). Dopo un reale benessere economico la viticoltura francese e i suoi abili promoter, ripiombarono in un amaro periodo dominato da un’economia di sopravvivenza.
Si dovette ricorrere a una forzata distillazione per utilizzare l’enorme quantità di vino invenduto, ottenendo acquavite che avrebbe dovuto prendere strade diverse. Nel frattempo a intaccare il predominio del vino, apparivano all’orizzonte altri prodotti derivanti dal vino, dalle vinacce e altri vegetali come il ginepro, prodotti in decine di milioni di litri: Cognac, Brandy e Gin.
Ma a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo sino ai primi del XX arriva il momento del riscatto: nel mondo si comincia a ricercare vini di qualitatà garantita, e questo riporterà la Francia ad essere il porta bandiera dell’enologia mondiale.
La grandeur ostentata con merito dai vignaioli di Francia, che era stata «umiliata», troverà una soddisfacente «vendetta» commerciale nei riguardi di Londra e sui vini della penisola Iberica. Giungeranno in quel periodo di tempo vini importanti sulla scena del consumo soprattutto elitario e quindi con prezzi interessanti non solo per i mercati, ma anche per gli abili vignaioli. Avrà così inizio il periodo dei grands crus del Bordolese e della Borgogna che conquisteranno da dominatori i raffinati calici dei gourmet non solo inglesi, ma di tutto il mondo.