È affascinante la Marrakech dell’immensa piazza Jamenaa el-Flaa con i suoi saltimbanchi a formare crocchi di curiosi tra ritmi berberi e gli incantatori di serpenti. Ma è altrettanto capace di lasciare a bocca aperta anche la periferia. E non occorre andare lontano. Bastano alcune centinaia di metri al di là della zona turistica. Viuzze che paiono essere tracciate da fili di lana impazziti. Piccoli bugigattoli, carretti, una semplice tela messa sul selciato diventano negozi di quartiere. C’è di tutto, mancano solo gli oggetti per turisti, sempre decantati più in là come autentici prodotti artigianali.
È bello perdersi in questo mare di umanità. Camminare senza meta, lasciarsi guidare dal solo istinto, dalla semplice curiosità. Un vagare ricco di incontri. Qui nessuno vuole venderti qualcosa. Siamo a maggio, e per tutto il mese sarà rispettato il Ramadan, un lungo periodo annuale di astensione sessuale e digiuno diurno.
Nel piccolissimo negozio di spezie, il barbuto venditore infilato nell’immancabile camicione sembra non curarsi di te. Forse gli pare strano che un turista si sia fermato da lui. Bastano un sorriso e due parole in un misto di francese e inglese e ci si incontra dopo la domanda di sempre «Da dove vieni?». Gli argomenti si ripetono: quanto è duro rispettare il Ramadan; la meteorologia, ma senza grandi possibilità di variazioni, il sole sembra splendere sempre. Non c’è nessuna voglia di trattare il prezzo, sembrerebbe scortese, anche perché si tratta di una spesa di pochi franchi. Più in là, invece, nel cuore della Marrakech turistica, nel suk attraversato in continuazione da migliaia di stranieri, negoziare i prezzi è d’obbligo, anche per una sola bottiglietta d’acqua minerale. Una modalità di fare gli acquisti che irrita molti turisti.
Non manca molto al tramonto. Al richiamo della moschea si potrà mangiare, dopo una lunga e assolata giornata di digiuno. Le viuzze diventano un formicolio di donne, molte velate, altre a capo scoperto. In mano borse gonfie di cibi: pagnotte, uova, datteri, dolci, frutta, verdure, bottiglie d’acqua. Si sente una frenesia nell’aria, dopo una giornata in cui tutto sembrava procedere al rallentatore. Aumenta il traffico delle motorette che sfrecciano tra la gente. Un carretto trainato da un cavallo avanza a fatica. Si spostano i banchetti con le merci esposte per lasciarlo passare. Si crea un ingorgo. Nessuno protesta. Si aspetta, semplicemente. Come non pensare alle colonne sulle nostre strade e alla reazione di insofferenza di noi automobilisti.
Non è facile tornare nel quartiere turistico. C’è quasi fastidio incrociando i primi stranieri. Terrazze dei ristoranti bene con gente che sorseggia una bibita fresca, chi già si gusta la tajine o un panino. Ai tavoli dei ristoranti popolari e attorno ai banchetti dei rivenditori ambulanti tutto è pronto per la cena. Ma mancano ancora dieci minuti alla preghiera e tutti aspettano. Incrociamo un’avvenente ragazza bionda, vestitino di seta rosa, cortissimo e lungo la parte posteriore un vertiginoso spacco che nasconde poco della sua schiena e altro ancora. Figura per lo meno strana in una realtà fatta soprattutto di donne le cui fattezze del corpo possono essere solamente indovinate. Mondi che si confrontano, o forse semplicemente stanno imparando a ignorarsi.
La moschea della Koutoubia è la più grande di Marrakech. Il suo minareto è uno dei pochi punti di riferimento per chi si perde in una città senza alture. È già calata la notte. Migliaia di fedeli riempiono le strade. Tutti con il tappetino della preghiera sotto il braccio. Con grande ordine si allineano sul grande spiazzo. Donne da una parte, uomini dall’altra. Una voce possente, ricama le parole del Corano con la leggerezza della calligrafia araba. Pare una supplica, un lamento; ma anche un canto di gioia, di riconoscenza. Difficile capire per chi sta dall’altra parte delle transenne a fotografare le ondate di schiene che all’unisono si piegano, si stendono, si rialzano. Rimarranno verosimilmente solo immagini da esibire una volta tornati a casa.