La bevanda di Bacco attraverso i libri

Il vino nella storia - Tra medici, poeti e filosofi non furono pochi gli estimatori del succo d’uva fermentato che gli dedicarono anche opere intere
/ 06.06.2017
di Davide Comoli

Nel fervore del Rinascimento, quando la cultura generale incominciò a diffondersi attraverso i libri, non mancarono opere ispirate al vino e alla vite, oggetti di approfonditi studi. Arrivarono a esaminare i vari cloni, il terreno, le caratteristiche organolettiche e le attribuzioni più o meno salutari della bevanda cara a Bacco per mezzo di varie opere.

Già Pier de Crescenzi nel suo Opus ruralium commodorum composto verso il 1305, spiegò le modalità di degustazione di un vino: per meglio apprezzare le qualità fra le molte variabili, essenziale è il cibo con cui il vino s’accompagna.

A metà del 400, sarà la poesia con l’orvietano Simone Prudenzani a occuparsi di questa bevanda. In un sonetto del suo Modus placitus et mundus blandus elenca i vini più di moda in quel tempo: «Vernaccia di Corniglia, Trebbiano Marchigiano, il Greco, il Moscatello, il Gaglioppo, ecc. ecc».

Al poeta fanno eco, nel secolo successivo, opere come De vini natura disquisitio di G.B. Confalonieri (1535); De diversorum vini generum natura di Giacomo Prefetto (1559); Discorso della natura del vino del medico fiorentino Paolo Mini.

Interessante è un trattato di viticoltura intitolato De l’humore dovuto alla penna di Bartolomeo Taegio (1564), nel quale si spiega come il vino bianco vada bene per lo stomaco e i reni, mentre il rosso è indicato per la cura della gotta. Inoltre identifica i cinque punti più importanti per una degustazione di vino: odore, colore, sapore, età, corpo.

L’umanista cremonese Bartolomeo Sacchi detto Platina, nella sua colta opera De honesta voluptate e valetudine (1474), parla del vino in modo molto dottrinale e scrive: «La cena e il pranzo senza bevande non solo sono ritenuti poco gradevoli, ma anche poco salutari poiché il bere, per chi ha sete, è più dolce e più gradito di un cibo qualsiasi di chi ha fame». 

Domenico Romoli detto Panunto, nella sua opera La singolar dottrina (1560) che è un trattato sull’arte dello scalco, cioè il modo di tranciare e preparare le varie vivande, dedica diverse pagine alle bevande e a quelle che sono le mansioni del bottigliere che deve scegliere gli abbinamenti, ma che ha anche il compito di scegliere i bicchieri adatti per ogni tipo di vino.

Alle grandi Corti rinascimentali il coppiere o il bottigliere veniva scelto con grande oculatezza essendo, come scrive il Panunto: «questo ufficio così nobile da richiedere a costui esperienza nell’esercizio della professione e requisiti personali ben precisi». Castore Durante fu archiatra (medico di corte) di Sisto V (1590), nelle sue opere troviamo dodici regole da seguire nel consumo del vino, la dodicesima è quella che noi preferiamo e dice: «Il vino deve essere negato ai fanciulli, concesso moderatamente ai giovani, largamente ai vecchi perché tempera la loro complessione fredda».

Sia Vincenzo Cervio (1581) nel suo Il Trinciante, sia Cristoforo di Messisbugo (1557) nei I banchetti indicano una lista di vini che non dovrebbero mai mancare (a quell’epoca) in cantina: La Malvasia dolce e garba (secca o aspra), il Greco, il Chiarello, il Sirvolo (vino delle Marche?), il Trebbiano, il Razzese, il Mazzacane, l’Asprino, il Lagrima, la Vernaccia sia bianca sia nera. E ancora ne parlarono Faria degli Uberti (1346), Andrea Palladio (1580) e il bresciano Agostino Gallo (1499-1570).

Un altro citatissimo autore è Andrea Bacci (1524-1600), era un naturalista (botanico) e medico del pontefice Sisto V, scrisse due opere, una sul vino, De naturali vinorum historia (1596, in sette volumi), e una sull’acqua del Tevere, Della natura e bontà delle acque, ma la fama gli venne dal lavoro sul vino (avevate qualche dubbio?).

Essendo medico guardava al vino come rimedio, come un medico d’oggi potrebbe scrivere un trattato di farmacologia clinica. Sentite un po’ cosa scrive del Chiaretto di Cirella: «…che è gradevolissimo al palato e scende nelle vene fino ai reni, è molto nutriente e genera sangue buono e sottile, conduce alle loro vie naturali i residui degli umori, provoca sudore e l’urina e scaccia la renella».

Prendendo in visione il sesto libro, dove si parte con i vini del Lazio per risalire vero l’Italia settentrionale, dove troviamo un capitolo che parla dei vini degli Insubri e a un certo punto il Bacci scrive: «Tra i monti ha cinque laghi bellissimi oltre alcune zone paludose. Tre di essi si trovano nell’agro di Milano alle falde degli stessi monti della Rezia, il Verbano che chiamano Maggiore e ha per affluente il Ticino, più sotto quello di Lugano e ancora più a sud i laghi di Gavirate e Monate, e il deliziosissimo Lario sotto le mura di Como».

Dopo aver messo in evidenza le caratteristiche del territorio fa risaltare la felice disposizione dell’intera regione e la favorevole positura per una buona produzione d’ogni cosa oltre che la buona salute della popolazione. Dopo aver descritto di piante e frutti, il Bacci descrive i vini ivi prodotti: «I suoi vini, a dire il vero, non sono generosi, ma abbondanti e di medio vigore e anche di tipi diversi. L’agro Ticinese confina con il Novarese, più basso con il Vercellese e verso oriente con Como, produce tipi di vini simili a quelli propri di questi luoghi, alcuni vigorosi, per lo più fulvi di colore, altri rossi, di sapore leggermente restringente, secco e gradevole. Unitamente a questi ne produce alcuni altri che sono dolci, gradevoli quanto le Vernacce; altri ancora bianchi o anche neri un po’ deboli, di scarso vigore e molto adatti agli infermi e provengono dalle colline che sono situate più in alto verso le località montane».

Con il termine Vernaccia si definiscono un numeroso gruppo di varietà tra loro anche molto differenti dal punto di vista ampelografico, che hanno in comune la caratteristica di dare origine a un vino dalle doti organolettiche simili. Il termine deriverebbe dal latino tardo Vermaculus con il quale si definiva tutto ciò che proveniva da un dato luogo, non importato, autoctono come la nostra Bondola.