Il 1600, oltre a essere un secolo di innovazioni, ha il pregio di essere il secolo fondamentale per la produzione del vino europeo. Fu quello in cui s’incominciò a usare il turacciolo di sughero per la chiusura ermetica e si cominciarono quindi a conservare i vini in bottiglia di vetro con tappatura stagna. Nella bottiglia chiusa da un tappo il vino, infatti, non ha più contatto con l’aria che è il suo mortale nemico.
Il vino contiene più di 600 diversi ingredienti naturali: oltre agli zuccheri, acidi, tannini, pigmenti, altri centinaia di composti organici continuano a combinarsi e scambiarsi formando nuovi composti. Nel chiuso di una bottiglia, tutti i processi vitali degli organismi, che poi determineranno profumi e aromi, sono rallentati in quanto il vino si trova in uno stato di «ridotto». Questo periodo viene chiamato «affinamento» e ogni vino dovrebbe avere il suo per poter essere meglio apprezzato.
Questa innovazione è legata soprattutto all’evoluzione del vetro da bottiglia e alle vetrerie inglesi. Tutto ebbe inizio, infatti, quando, nell’Inghilterra del 1615, venne emesso un editto reale che proibiva l’uso del legno per l’alimentazione dei forni. A quel punto il legno fu sostituito dal carbone. Questo portò alla produzione di bottiglie dal vetro spesso, meno eleganti forse, ma certamente più robuste.
Si pensa che l’inventore dell’odierna bottiglia sia stato un certo sir Kenelm Digby (1603-1665). Era costui il classico gentiluomo inglese del Seicento, colto, raffinato, elegante, versatile, molto irrequieto. Viaggiò in lungo e in largo, dicono le malelingue inseguendo varie amanti (sembra che abbia persino ricevuto proposte dall’allora regina di Francia, Maria de’ Medici). Partecipò anche a diverse azioni piratesche dimostrando così di essere un temerario; insomma fece una vita spericolata come quella cantata da Vasco Rossi, sempre in bilico tra guai e fama. Fu vicino alla miniera di carbone di Dean, nel Glouchestershire, che sir Digby, poco dopo il 1630, impiantò una vetreria per fabbricare bottiglie.
Molto più pesanti, meno care e più scure, senza saperlo, queste bottiglie avrebbero protetto il vino dalle fonti luminose. Avevano una forma tondeggiante di bolla e il collo molto lungo terminava con un colletto che serviva per tenere la cordicella che fermava il tappo. Queste bottiglie dal collo molto resistente contribuirono a una svolta fondamentale nella tecnica enologica: portarono infatti alla possibilità di invecchiamento in vetro dei vini rossi.
Le prime bottiglie per lo Champagne erano proprio quelle tipiche bottiglie panciute, scure, a forma di mela o di pera, conosciute come champenoises, perché venivano utilizzate in quella zona della Francia, ma erano inizialmente, di fattura inglese. Solo gli inglesi difatti conoscevano la formula di quel tipo di vetro resistente.
La tecnica inglese venne adattata dagli olandesi vero il 1670, i quali (gente molto pratica) avevano pensato di produrre bottiglie quadrate (antenate delle moderne bottiglie di Gin) per meglio imballarle nelle casse e non occupare troppo spazio a bordo delle loro imbarcazioni; i francesi cominciarono a usare la tecnica inglese per produrre bottiglie solo (si fa per dire) nel 1710.
La bottiglia tappata ermeticamente non ebbe solo influenza sui vini spumanti, ma segnò la fine anche dei vini chiaretti giovani e condusse alla possibilità di produrre grandi rossi importanti da invecchiamento. Il matrimonio fra bottiglia e tappo, avvenne tuttavia per gradi; lo stesso Digby, sperimentatore incallito, non ne fu del tutto convinto.
La storia secondo cui furono i pellegrini provenienti da Santiago di Compostela a diffondere i tappi di sughero, ha solo il sapore di leggenda. Nel suo Treatise of Cider, l’inglese Worlidge (1676) scrive che molto vino viene rovinato dal sughero al quale vanno preferiti tappi di vetro, ma questo tappo il più delle volte creava molti inconvenienti e alle volte si dovevano rompere le bottiglie. Qualche anno dopo, lo stesso scrittore indica il modo che crea la premessa per il moderno imbottigliamento: «Avendo scelto dei buoni tappi di sughero, metterli nell’acqua bollente in modo che meglio s’adattino alla bocca della bottiglia; inoltre l’umidità del tappo permette di trattenere meglio lo spirito. Perciò s’ha da consigliare di coricare la bottiglia sul suo fianco, non solo per conservare umido il tappo, ma acciocché l’aria rimasta nella bottiglia può espirare (fuggire) né può nuova aria entrare».
Sembra che alla fine del 600 la conservazione del vino in bottiglie tappate fosse noto a tutti, ma il tappo rimaneva un grosso problema, infatti restava sempre un po’ fuori dal collo perché ancora non era stato inventato il cavatappi.
Con esattezza non si sa chi abbia inventato questo prezioso strumento. La prima versione ufficiale risale comunque al 1681. Un certo Nehemiah Grew descrive qualcosa di simile all’antenato del noto utensile usato con destrezza dai sommeliers. Erano delle viti d’acciaio, usate per estrarre le pallottole e gli stoppini dalle armi da fuoco che avevano fatto cilecca, operazione tra l’altro molto rischiosa. Pare certo comunque che anche il cavatappi sia un’invenzione inglese, infatti su un volume stampato a Londra nel 1700 che parla degli usi e costumi dell’epoca, c’è una descrizione di un cavatappi, ma di certo il mistero del nome del suo inventore rimane aperto.
Tra il XVII e il XVIII sec. la nuova realtà economica e commerciale aprì nuovi mercati, creò nuove regioni e nuove esigenze di conservazione per il vino commercializzato.
Le condizioni politiche, storiche, tecniche e commerciali che si verificarono in Europa tra il 1600 e 1700, influirono anche sull’enologia. Furono così gettate le basi per la produzione di nuovi vini che diventarono universalmente celebri come: Tokay, Sherry, Porto, Madeira, Marsala e Champagne.