L’aeroporto di Singapore Changi accoglie ogni anno sessantacinque milioni di passeggeri in transito i quali, negli ultimi sette anni, lo hanno premiato come il miglior aeroporto del mondo (sondaggio Skytrax). Da qualche tempo tuttavia Singapore Changi si rifiuta di essere solo un non-luogo (secondo la famosa definizione di Marc Augé). Non si accontenta più di garantire un rapido ed efficiente passaggio tra il check in e il gate; propone invece esperienze immersive ed emozionanti.
Sotto una gigantesca cupola di vetro una cascata si tuffa per quaranta metri attraverso la foresta e a volte, quando il sole l’attraversa, si vede l’arcobaleno. Un sentiero tortuoso conduce tra palme e ficus, orchidee e anthurium. Dietro alla curva un robot offre da bere. Poco oltre, si cammina su una gigantesca rete sospesa a venticinque metri di altezza. Oppure si può oziare nel giardino di girasoli sul tetto e ammirare le farfalle… È una natura addomesticata, strettamente legata ai grandi marchi: gli alberi sono sponsorizzati da Shiseido cosmetici, la cascata da HSBC Bank; dai negozi e ristoranti intorno il visitatore può ammirare lo spettacolo della giungla insieme alle ultime proposte di Calvin Klein.
Tutta l’esperienza di questo modernissimo aeroporto è costruita su un’idea ingenua – ma efficace – di stupore. A Changi il tema è il fuori posto: la natura selvaggia tra gli aerei, là dove non ci aspetteremmo mai di trovarla. Ma tutto il turismo moderno in fondo si nutre di facili stupori. A Sonoma, California, nel gennaio 2020 aprirà un Hotel Nutella, con colazioni ispirate alla famosa crema di nocciole. Anche qui troviamo un marchio in primo piano e il tentativo di ricreare un mondo da favola: l’Hotel Nutella è la casa di marzapane di Hänsel e Gretel, il Paese dei balocchi di Pinocchio, la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka… Ancora in California, a Malibu, Airbnb offre la possibilità di soggiornare nella ricostruzione a grandezza naturale della casa di Barbie, in occasione del sessantesimo anniversario della famosa bambola.
Nel frattempo, il Virginia Museum of Fine Arts ha dedicato una mostra al grande pittore dei luoghi di transito – «Edward Hopper e l’albergo in America» – esponendo sessanta sue opere. Ma la vera attrazione è la perfetta riproduzione a grandezza naturale della stanza d’albergo ritratta nel quadro Western Motel (1957), con i suoi colori verde acido e porpora. La stanza viene offerta al ragionevole costo di centocinquanta dollari e così, tra le nove della sera e le otto del mattino, quando la galleria d’arte è chiusa, si può passare «Una notte al museo», come nel popolare film del 2006. E pazienza se lo stesso Hopper scrisse una volta che «Nessuna abile invenzione può sostituire l’elemento essenziale dell’immaginazione».
Nel tempo dei social, e in particolare di Instagram, un altro museo, il Cali Dreams Pop Up Museum di Düsseldorf, ha rinunciato anche alle opere d’arte puntando direttamente sull’offerta di sfondi spettacolari davanti ai quali scattarsi un selfie. Si può scegliere una Cadillac rosa sullo sfondo di palme al tramonto, quel «sogno californiano» contenuto già nel nome del museo; e ancora unicorni da cavalcare, la famosa palestra di Bodybuilding Gold’s Gym e altre stravaganze. Parola d’ordine: «Be awesome» («Sii fantastico»).
Alla reception dell’Henn na Hotel di Tokyo sarete accolti da impiegati virtuali, ologrammi di un dinosauro e di un guerriero ninja. In tutta la Cina poi si costruiscono ponti sospesi sull’abisso col fondo di vetro (sono già duemilatrecento). La passerella East Taihang Glasswalk va ancora oltre e simula una rottura del vetro quando ci si cammina sopra…
Gli esempi potrebbero continuare a lungo, con infinite variazioni sul tema. Nel tempo dell’iperturismo (Overtourism) lo stupore è largamente fine a sé stesso, di breve durata; e per questo ha bisogno di essere rilanciato in dosi sempre maggiori perché dà una rapida assuefazione. Altra cosa è lo stupore vero, profondo. Quando si desta in noi un senso di meraviglia, i nostri sensi si fanno più attenti e un varco si schiude verso la comprensione dei luoghi attraversati: l’armonia di un edificio rimanda alle sue misure, la luminosità di un quadro alla sua composizione.
Lo stupore porta in sé una domanda, ci spinge a indagare le cause della bellezza, a comprenderla a fondo attraverso la ragione. Anche la natura ha mille segreti da raccontare. Il rumore di un ruscello di montagna, la forma sempre diversa degli alberi del bosco possono stupirci anche senza il contorno di un aeroporto internazionale.
Nel presepe classico della tradizione italiana c’è un personaggio che non può assolutamente mancare: lo stupìto. È un pastorello che tiene la mano a visiera sugli occhi; viene generalmente posizionato su una collinetta di muschio e guarda incantato, a debita distanza, la natività. E al centro della scena niente effetti speciali, ma un normalissimo bambino «avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Solo la comparsa dell’angelo svela ai pastori – gente semplice, umile e per questo ancora capace di stupirsi – il valore nascosto di quello che è davanti ai loro occhi. Il presepe mette in scena la più grande sorpresa che Dio fa al mondo, incastonata nella vita di ogni giorno, tra i poveri e i ricchi, i credenti e gli indifferenti, il buio e la luce. Lo stupore parla di Dio, lo stupore conduce a Dio.