Viaggiare con gli autobus di linea sulle strade secondarie della Toscana è un bighellonare tanto raffinato quanto economico. Girovagando a bassa velocità, da Siena raggiungerò senza fretta Radicofani.
Il mio viaggio inizia idealmente di fronte al ciclo Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo, affrescato nel Trecento da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo pubblico di Siena. È un dipinto molto noto e spesso riprodotto, eppure ogni volta che lo guardo con attenzione scopro qualcosa di nuovo. La scena degli Effetti del buon governo in campagna per esempio raffigura proprio il paesaggio rurale a sud della città: dolci colline punteggiate di casali, borghi, fortilizi, vigne, uliveti e campi dove i contadini preparano la terra per la semina. La strada che attraversa il dipinto e che alcuni viandanti percorrono in sicurezza dovrebbe essere la Cassia, antica consolare romana affiancata dalla via Francigena nel punto in cui costeggia il corso del fiume Orcia.
È una partenza ideale ma anche reale perché l’autostazione di via Tozzi è a poche centinaia di metri da Piazza del Campo. Col passo lento dell’autobus mi avvio lungo quella che il poeta Mario Luzi definì «una strada fuori dal tempo», osservando a ogni chilometro che in effetti il paesaggio non è poi molto diverso da quello del Trecento.
Il mio piccolo cabotaggio in corriera tocca Pienza, S. Quirico d’Orcia e Bagno Vignoni prima di approdare a Bisarca, dove una navetta in coincidenza risale agevolmente la strada asfaltata, risparmiandomi le terribili svolte di Radicofani, ovvero i nove chilometri di curve in salita del vecchio tracciato, oggi abbandonato, incubo dei viaggiatori al tempo delle diligenze traballanti.
Radicofani dall’alto della sua rupe domina quel tratto della via Cassia dove il Monte Amiata segna il confine tra la Val d’Orcia e l’Alta Tuscia. Il borgo medievale sormontato da una possente fortezza era l’ultima propaggine del Granducato di Toscana e qui, dove correva la frontiera con lo Stato Pontificio, trovo la Posta Medicea, edificata per volere di Ferdinando I dei Medici nel 1584, su progetto dell’architetto Bernardo Buontalenti.
Al tempo dei viaggi in diligenza la stazione di posta era una sorta di caravanserraglio, dove dare il cambio ai cavalli stanchi e far riposare i viaggiatori per la notte. Rese di colpo inutili dalla ferrovia, le stazioni di posta andarono in rovina una dopo l’altra. Questa di Radicofani invece alla fine dell’Ottocento divenne una dimora privata e in questo modo si preservò, anche se oggi è chiusa al pubblico in attesa di restauri.
L’antica struttura conserva un aspetto austero che il doppio loggiato a sei arcate della facciata non riesce a mitigare. Al piano terra, sopra le enormi cantine, c’erano le stalle, le cucine, le sale da pranzo e le stanze delle guardie; al primo piano due grandi saloni, l’appartamento dei gestori, la chiesetta e gli alloggi per gli ospiti di riguardo; infine al secondo piano altre sale, le stanze per la servitù e le camere per l’ospitalità più semplice. Di fronte all’edificio sorge la monumentale Fontana Medicea, generosa d’acqua ai viandanti.
In più di tre secoli d’esercizio, la Posta Medicea ha ospitato i Papi Pio VI e Pio VII, i Granduchi Ferdinando I, Cosimo II, Leopoldo II, l’imperatore Giuseppe II d’Austria, Goethe, Giacomo Casanova, il marchese De Sade, il poeta Thomas Gray, Stendhal, Chateaubriand, John Ruskin… Nell’inverno del 1845 Charles Dickens vi sostò per una notte, descrivendola in Pictures from Italy come «una locanda spettrale, fatta per i folletti». A suo dire «in questa locanda di Radicofani, c’è un tale frusciar di vento, un cigolio continuo, un brulichio, un crepitio, un aprirsi di porte, uno scalpiccio per le scale, quale non ho udito in alcun altro posto». È noto che Dickens viaggiava con moglie, cognata, quattro figli piccoli e tre cameriere al seguito e forse questo influiva negativamente sul suo umore…
In Toscana le corriere sono infinite come le vie del Signore e così di primo mattino lascio Radicofani col bus per Chiusi. Da qui tre quarti d’ora di treno mi portano ad Arezzo, dove sosto con l’unico intento di rendere omaggio alle mortali spoglie dello scrittore satirico Pietro L’Aretino. La lingua velenosa del suo contemporaneo Paolo Giovio, che pure era un vescovo, compose per lui un celebre epitaffio: «Qui giace l’Aretin, poeta Tosco: di tutti disse mal fuorché di Cristo, scusandosi col dir: “Non lo conosco”!». Ignorando che l’Aretino, morto nel 1556, è sepolto a Venezia nella Chiesa di San Luca, lo cerco inutilmente nella Basilica di San Francesco, dove però gli affreschi di Piero della Francesca dedicati alle Storie della Vera Croce mi mettono voglia di fare un salto a Sansepolcro.
Sempre in bus raggiungo agilmente la «cittadina circondata da mura in un’ampia valle pianeggiante fra le colline» (Aldous Huxley), da dove poi conto di prendere il pullman per Urbino. Anche Huxley, in una primavera d’inizio Novecento, viaggiò su queste strade con un vecchio torpedone di linea, proprio come me oggi (sia pure con mezzi più moderni). Non furono certo dei facili entusiasmi giovanili a fargli definire la Resurrezione di Piero della Francesca, conservata nel Museo civico di Sansepolcro, «il più bel dipinto del mondo». Al termine di un importante restauro durato tre anni l’affresco è tornato ad attirare visitatori e quando arrivo di fronte al Museo civico trovo coda.
Inganno il tempo dell’attesa proprio con le impressioni di viaggio di Aldous Huxley, raccolte nel 1925 nel libro Along the Road: Notes and Essays of a Tourist, (1925 Chatto & Windus, pubblicato in italiano nel 1990 da Frassinelli col titolo Lungo la strada: annotazioni di un turista). E proprio poche righe di questo splendido libro salvarono Sansepolcro dalle devastazioni della Seconda guerra mondiale. Infatti durante le fasi finali del conflitto il capitano alleato Anthony Clarke aveva iniziato a cannoneggiare la cittadina quando improvvisamente ricordò di aver letto di Sansepolcro sul libro di Huxley. E così, non volendo rischiare di distruggere «il più bel dipinto del mondo», fece cessare immediatamente il fuoco. Una storia da raccontare quando vi chiederanno a che cosa servono i libri…